Prendo un
giornale, accendo la televisione. Sono le otto, sullo schermo appaiono e si
sovrappongono volti, macerie, calciatori e parolai, tutto in un guazzabuglio di
immagini che hanno il solo scopo di confondere. Mi siedo sul divano ed inforco
gli occhiali. Scorro i titoli del quotidiano con poca attenzione e meno
curiosità. In casa c’è un velo di polvere dove prima tutto brillava di pulito e
nell’aria resta sempre l’odore delle sigarette al posto del profumo che mi
piaceva tanto. Ormai è così da tempo e così lo voglio lasciare, nessuno mi
rimprovererà. Aggiusto i cuscini, lascio da parte il giornale e stendo le gambe
sul tavolino basso. Nel bicchiere si scioglie lentamente il ghiaccio rompendosi
con piccoli schiocchi. Chiudo gli occhi.
-E tu che ci
fai qui?
-Anche se
sembri dimenticarlo, ci sono anch’io oltre alla tua donna.
-Va bene,
fammi compagnia. Bevi qualcosa?
-Dai, ho
solo vent’anni, non mi tentare. E poi non mi va il whisky.
-Ok, come
sei morigerato…
-Almeno uno
di noi due deve restare lucido.
-Com’è
andata all’università?
-Oh, beh,
economia e commercio: una palla! Te l’avevo detto che non ci capisco niente di
matematica e statistica. Invece con i diritti vado come un treno. Avrei dovuto
fare Giurisprudenza.
-Già, i
primi ripensamenti. Ma sei ancora in tempo per cambiare.
-Ma che
dici? Ho i miei binari ben chiari davanti. Laurea e poi il lavoro, una famiglia
e soldi in tasca.
-E la
motocicletta?
-La venderò
con la nascita della prima figlia.
-Il coast to
coast negli Stati Uniti?
-Lo farò. A
cinquant’anni, forse.
-Quella
smania di avventura di cui mi parlavi?
-Adesso non
ho tempo. Più in là, si vedrà.
-No, caro,
non ci siamo. Bisogna avere il coraggio di scommettere, innanzi tutto su se
stessi, e poi prendere la vita per le corna, come un toro a Pamplona.
-Tu l’hai
fatto?
-Sto
parlando di te. Riempimi il bicchiere e ascolta. E’ vero che si può trovare
sempre una Harley che ti aspetta a Chicago pronta per lanciarsi sulla route 66,
ma bisogna decidere di prenderla. Il giubbotto di pelle con le frange sta bene
su un ragazzo o su un giovane uomo, ma un vecchio cow boy improvvisato è spesso
solo una maschera patetica di perdute illusioni. Lo stesso vale per qualsiasi
altro sogno. La giovinezza è un alibi che giustifica la pazzia, ma la pazzia
non è un alibi per la perduta giovinezza.
-Che vuoi
dire?
-Voglio dire
che ogni epoca della vita ha una cornice ben definita che delimita i
comportamenti e rinchiude in un quadro di doveri. Solo quando si è giovani la
tela è ancora bianca e si può sporcarla con qualsiasi colore. Dopo: si deve,
bisogna, tocca e qualsiasi altro verbo abbia a che fare con il concetto di
responsabilità ti tarperà le ali creando una sorta di ragnatela dalla quale non
sarà possibile districarti. E, ti dirò di più, ne sarai contento.
-Sarò
contento di essere prigioniero?
-Si, caro.
Sarà una gabbia fatta da tante cose a cui terrai con affetto, amore o
addirittura passione, ma comunque resterà una gabbia. Come nella sindrome di
Stoccolma, t’innamorerai di quelle cose che ti imprigionano e ti sembrerà
assurdo solo il pensiero di poterne fare a meno.
-Non
capisco. Se sei felice di quello che hai, perché rimpiangi quello che non hai?
Mi sembra un atteggiamento sciocco e, soprattutto, ansiogeno.
-No,
chiariamoci: nessun rimpianto o, tantomeno, rimorso. Solo qualche sogno che è
rimasto nell’aria e la rabbia di non poter fermare questo treno del quale
incomincio ad intravedere la stazione.
-Quindi che
mi consigli?
-Consigli?
Nessuno, non ne sono in grado. Anzi, solo uno: resta accanto a chi ti vuole
bene.
La
televisione continua nel suo monologo in sottofondo mentre sul divano, vicino a
me, non c’è nessuno.