Peter
Camenzind camminava sfrontato, fiero ed inconsapevole dei suoi otto anni, lungo
il sentiero che dalla fine del paese portava all’incrocio con la strada
carraia. Marciava impettito, con la schiena dritta, slanciando le gambe tese in
un passo alternato come fanno i militari. Le braccia dondolavano in sincrono e
dentro il pugno chiuso della mano destra stringeva un bastone lungo e dritto
che doveva rappresentare una minaccia per il nemico. Nella testa gli risuonava
ossessivamente una marcetta, zumpa – zumpa – zumpa,pà, simile a quelle che aveva
sentito suonare dalla banda degli Ussari in piazza la domenica precedente. O
Forse era la fanfara dei dopolavoristi delle ferrovie? Non importa, comunque portavano
la divisa ed avevano un aspetto marziale e tanto bastava per accendere la
fantasia del ragazzino. Quel giorno cadeva il genetliaco dell’Imperatore e la
scuola era rimasta chiusa per festeggiare la ricorrenza, così Peter si era precipitato
fuori casa godendo dell’inaspettata vacanza. Il suo programma prevedeva di
raggiungere un amico che abitava in una contrada a poca distanza dal paese e
poi organizzare una caccia alle lucertole con la fionda, sport nel quale si
sentiva un campione. Era la fine di un Marzo che aveva fatto onore alla sua
fama di mese pazzerello. C’erano stati giorni nei quali sembrava di essere
ancora in pieno inverno, con acqua a catinelle e freddo intenso, ed altri in
cui il sole aveva vinto sulle nuvole splendendo alto e caldo, presagio di
un’estate tanto attesa. E così era quella mattina, senza una nuvola in cielo e
con la terra che sembrava risvegliarsi colorando di un bel verde intenso i
prati e le valli. Le piante distendevano le foglie accartocciate, gli insetti
volavano operosi alla ricerca delle prime corolle dei fiori già schiuse e tutto
sembrava rinvigorito ed allegro, come un inno alla vita che si rinnova. Il
ragazzo procedeva felice, senza vergognarsi di sfoderare un sorriso dove le
finestrelle dei denti persi occhieggiavano nella chiostra ancora da latte.
Improvvisamente
il suo incedere solitario fu disturbato da un rumore, anzi da un canto.
Proveniva da dietro la svolta del sentiero innanzi ai suoi passi e sembrava una
voce femminile che, gioiosa quanto lui, stava intonando una canzone di quelle
che si suonavano nelle aie. Peter abbandonò il suo portamento inamidato e si
fermò in ascolto, esitante. Era un ragazzo spavaldo, ma timido e, specialmente
con le donne, di qualsiasi età, si trovava sempre impacciato, incerto su cosa
dire e come comportarsi. Inoltre gli succedeva una strana reazione fisica,
assolutamente incontrollabile e imbarazzantissima. Quando una ragazza lo
guardava, e magari gli rivolgeva un saluto, subitaneamente gli s’infiammavano
le guance e la lingua sembrava diventare di felpa. Sebbene gli amici a volte lo
rimproverassero per la sua ininterrotta parlantina, in quelle occasioni
diventava muto, o al massimo balbuziente, facendo regolarmente delle figure
meschine. Per questo, in vista di un incontro con una canterina inaspettata, si
trovò perplesso sul da farsi. La ragione gli suggeriva di continuare per la sua
strada e, nel caso, proseguire ed andare oltre, ma il sistema neurovegetativo
già si stava allertando con la comparsa dei primi sintomi di ingiustificata
vergogna. Il suo corpo, quindi, decise per lui e Peter si diede
precipitosamente alla fuga verso il primo tronco d’albero sufficientemente
grande per poterlo nascondere. Lei sbucò dalla curva dopo pochi secondi. Era
una bambinetta più o meno dell’età del ragazzo, con le trecce bionde
d’ordinanza e un vestitino a fiori. Veniva avanti saltellando e cantando a
tutta voce un motivetto con le parole inventate sul momento e tanti: la-la-la.
Peter la spiò dal suo nascondiglio, come un soldato che vede il nemico
avanzare, e non poté fare a meno di pensare quanto fosse graziosa e diversa da
lui. Ancora una volta il suo corpo reagì, ed il cuore prima gli si fermò per un
momento e poi partì al galoppo. Peter ne fu spaventatissimo anche perché, alla
vista della fanciulla, provò uno strano languore alla bocca dello stomaco,
dalle parti della pancia. Pensò di stare male, di avere un “deliquio” come
quello che, ogni tanto, affliggeva sua sorella più grande. La bambina sfilò e
lui si acquietò. Ripensando a quegli strani sintomi non li riconobbe in nessuna
delle malattie che aveva avuto fino ad allora, ma decise che sarebbe passato
tutto con un buon panino al formaggio da mettere sotto ai denti. Lasciò il rifugio
e corse verso casa.
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