Le parole
non dette rimangono nell’aria per sempre. C’è tempo, si dice, domani lo farò, o
quando uscirà il sole, magari sulla riva del mare. E i giorni passano, mentre
il momento giusto non arriva mai. Però lo dovrebbe capire, si pensa, se ne
dovrebbe accorgere, lo dovrebbe percepire senza bisogno di parlarne. E’ con lo
sguardo che si chiede, s’implora una carezza o solo qualcosa che faccia sentire
meno soli. Ma quanto costa la fatica di spalancare la propria anima? E’ un
malinteso e vile pudore che frena gli slanci, quasi che togliersi lo stupido
paravento che vela il cuore fosse come buttare a terra la corazza che protegge
dai colpi inferti dalla vita. Invece avere il coraggio di dire apertamente
quelle parole di cui spesso si ride, darebbe forza a chi le pronuncia e per chi
le ascolta. Ci si potrebbe illudere di non essere come le nuvole nel cielo che
uno sbuffo di vento trasporta lontano, ma simili a scogli rugosi capaci di
resistere agli schiaffi del mare che urla intorno. Fino a quando ci si accorgerà
che ormai si hanno più ricordi che sogni, forse più rimpianti che speranze, e
che la maggior parte delle cose per le quali si è combattuto in realtà ha poco
valore. E s’incroceranno quegli occhi che dicono: sono qui. Allora, per non
arrivare troppo tardi, si dovrà ridere, piangere, parlare a lungo, stringersi
le mani e odorare i capelli. Poi raccontarsi di quella volta e di come si è
sofferto, di tutte le occasioni in cui abbiamo pensato e di come siamo stati
stupidi a voltarci da un’altra parte. Dichiarare, quindi, dichiarare non solo
di esserci fisicamente, ma anche quello che tutte le parole sdolcinate delle
canzoni, tutti i versi poetici, ogni pennellata di artista non basterà mai a
raccontare.
Però stasera
è tardi, domani è pieno di impegni e tu già dormi. Ne parleremo, appena avremo
tempo. Appena avremo tempo.
Nessun commento:
Posta un commento