giovedì 22 febbraio 2018

Le parole non dette

Le parole non dette rimangono nell’aria per sempre. C’è tempo, si dice, domani lo farò, o quando uscirà il sole, magari sulla riva del mare. E i giorni passano, mentre il momento giusto non arriva mai. Però lo dovrebbe capire, si pensa, se ne dovrebbe accorgere, lo dovrebbe percepire senza bisogno di parlarne. E’ con lo sguardo che si chiede, s’implora una carezza o solo qualcosa che faccia sentire meno soli. Ma quanto costa la fatica di spalancare la propria anima? E’ un malinteso e vile pudore che frena gli slanci, quasi che togliersi lo stupido paravento che vela il cuore fosse come buttare a terra la corazza che protegge dai colpi inferti dalla vita. Invece avere il coraggio di dire apertamente quelle parole di cui spesso si ride, darebbe forza a chi le pronuncia e per chi le ascolta. Ci si potrebbe illudere di non essere come le nuvole nel cielo che uno sbuffo di vento trasporta lontano, ma simili a scogli rugosi capaci di resistere agli schiaffi del mare che urla intorno. Fino a quando ci si accorgerà che ormai si hanno più ricordi che sogni, forse più rimpianti che speranze, e che la maggior parte delle cose per le quali si è combattuto in realtà ha poco valore. E s’incroceranno quegli occhi che dicono: sono qui. Allora, per non arrivare troppo tardi, si dovrà ridere, piangere, parlare a lungo, stringersi le mani e odorare i capelli. Poi raccontarsi di quella volta e di come si è sofferto, di tutte le occasioni in cui abbiamo pensato e di come siamo stati stupidi a voltarci da un’altra parte. Dichiarare, quindi, dichiarare non solo di esserci fisicamente, ma anche quello che tutte le parole sdolcinate delle canzoni, tutti i versi poetici, ogni pennellata di artista non basterà mai a raccontare.

Però stasera è tardi, domani è pieno di impegni e tu già dormi. Ne parleremo, appena avremo tempo. Appena avremo tempo.    

venerdì 16 febbraio 2018

La vincita



-San Gennaro m’ha fatto la grazia.
-O vero?
-L’ho pregato tanto, ma alla fine ha ceduto.
-E allora?
-Ho vinto.
-Maronn… e che cosa hai vinto?
-Ho grattato, grattato e ancora grattato, peggio di un gatto rognoso, ma alla fine le finestrelle hanno combaciato.
-Gesù, Gesù! E quanto?
-Io non sono un tipo esoso. Avevo chiesto a San Gennaro una somma pari all’ammontare del mutuo ancora da pagare, più quanto mi serve per tacitare don Michele, che mi sta assillando per un piccolo prestito fatto qualche tempo addietro. Poi qualche migliaio di euro per sistemare alcune cosette e una somma forfettaria come fondo pensione per me e mia moglie.
-Beh, mi sembra il minimo sindacale.
-Esatto. Considera che non ho messo in conto automobili sportive, barche o vita brillante: solo il necessario e un po’ di companatico, diciamo così.
-Onestissimo. Ma di che cifra stiamo parlando?
-Fatti i conti, mi veniva un totale di trecentocinquantamila euro. Ovviamente netti e esentasse.
-E tanto hai vinto?
-No, no.
-Ahhh, mi pareva.
-Di più.
-A facc ro cazz! Non mi tenere sulle spine…quanto?
-Ancora non li ho presi, ma a occhio e croce dovrebbe essere all’incirca, su per giù, grossomodo…
-…modo???
-O’ millione!
-Maronn santissima benedetta del Monte del Carmelo trafitta e co o’ core dint’ e mann!
-Aggia capit, ma sta vincita me la sono sudata. Sacce ie quante candele ho acceso all’altare del Santo e le processioni che ho fatto dietro alla sua sacra immagine. E poi oboli, carità, fioretti e ‘na quantità di rosari tutt ‘e ser. Credimi, una fatica! Però non mi posso lamentare: l’investimento ha reso.
-E bravo il mio amico. Perché ricordati che noi siamo amici, molto amici. Però, scusami se te lo dico, ma sei imprudente. Di questa cosa non ne devi parlare con nisciun. La gente è invidiosa, maligna e invidiosa.
-Nun te lo dovevo a dicere?
-Lascia perdere me, che ti sono fratello, ma gli altri ti guardano subito con l’uocchie e male.
-E vabbuò. Peggio per loro, ormai posso anche non curarmene.
-E qui ti sbagli. Perché già di suo la vincita al gioco porta sfortuna, poi se ci carichi lo maluocchio…
-La vincita porta male? Ma cosa dici? Porta soldi, benessere e felicità per tutti.
-Ti devo contraddire, amico caro. Vatti a fare un giretto su internet e guarda come è finita la maggioranza di quelli che hanno vinto grosse somme alla lotteria o con il gioco d’azzardo.
-A panza all’aria alle Hawaii!
-Nossignore. Morti sparati e spesso da se medesimi. Si sono suicidati in preda alla disperazione dopo aver sperperato tutto in breve tempo.
- Maddai…
-Certamente. Si sa che troppa fortuna fa impazzire e, per compensazione, attira la jella. Gente che viveva normalmente, forse con qualche problema ma serena, si è trovata a perdere tutto. La moglie li ha lasciati…
-Assuntina…
-…I figli si sono liticati…
-…Carmelì, Fraceschiè…
-… e gli amici, quelli falsi, sono spariti o se ne sono approfittati. C’è stato un americano che vinse milioni e milioni di dollari e poi è finito a fare il barbone, solo e alcolizzato.
-Sarà stato un caso.
-Un caso? Io ti voglio bene e non vorrei mai vederti finire come tutti i vincitori del totocalcio, del super enalotto o delle corse: rovinati! Sissignore, rovinati e disperati.
-Mi stai spaventando.
-In fondo oggi cosa ti manca? E’ vero, hai qualche debituccio, un lavoro precario, la suocera a carico e devi svicolare quando vedi il fornaio, ma poi torni a casa.
-Che devo fini di pagare. Tra vent’anni.
-Sai che si dice? I debiti allungano la vita. E’ vero, tutti i mesi hai la rata del mutuo, ma la mattina, quando ti svegli, trovi accanto a te mugliereta. Mi vorresti dire che preferisci un azzeramento del muto all’amore di donna Assunta?
-Bhè, bhò, certamente no.
-E poi, siccome non puoi andare in vacanza, tutte le sere ti godi i figli e una sana pasta e fagioli, altroché caviale e champagne in compagnia di qualche prezzolata.
-Prezzolata?
-Ehhh, te piacciono ‘e prezzolat?
-Coi soldi?
-Con lo sterco del diavolo. Con quello che ti farebbe cadere nel baratro, giù giù fino all’inferno su questa terra.
-No, no, non voglio perdere anche il poco che ho!
-Bravo, così mi piaci. Ma non devi avere paura. I veri amici ci sono per questo, per prendersi carico dei tuoi problemi e non lasciarti andare alla deriva.
-Che intendi?
-Capisci che quella che adesso ti sembra una grazia in realtà è una maledizione. Però io ti voglio bene e non posso pensarti distrutto e derelitto. Ci sarebbe una soluzione.
-Quale?
-Possiamo fare finta che la vincita l’abbia fatta io. Incasserei il premio e poi non ti darei i soldi.
-Ma come…?
-Volevo dire: non tutti insieme. Quello che ti serve, man mano. Ti passerei giusto il necessario che ti faccia stare tranquillo, Il resto lo terrei io.
-Ma allora, la maledizione cadrebbe su di te.
-Nossignore. Qui sta il busillibus: a me non succederebbe niente perché in realtà non sarei il vincitore vero e proprio. Farei come da parafulmine nei tuoi confronti.
-Tu faresti questo per me?
-Per gli amici…sì, sono pronto a sacrificarmi.
-Oh che sollievo. Non ti ringrazierò mai abbastanza. Ecco il biglietto del gratta e vinci, incassalo e fai finta che siano soldi tuoi. Ci riuscirai?
-Mi ci metterò d’impegno, ma quando uno è buono d’animo niente gli pesa.

Per quanto riguarda il mutuo furono pagate altre due rate, mentre il fornaio continuò a fare le poste invano. Il vero vincitore non seppe mai spiegarsi perché l’amico rimase nel rione per poco tempo e poi sparì con tutti i soldi. Pensò che la sventura aveva colpito ancora e fu grato all’amico che ne aveva ricevuto il carico al suo posto. E’ proprio vero che le vincite al gioco portano alla perdizione e forse lui si era proprio perso, magari alle Hawaii.


sabato 3 febbraio 2018

Maria

La finestra della sua stanza si affacciava su un campo grande, vasto come il mare. Spesso si domandava perché il destino l’avesse legato a quel letto, ma dentro di sé sapeva che quella non era la fine. Guardava spesso attraverso i vetri e si beava del cielo azzurro e delle mille sfumature di verde che rendevano viva quella pianura fatta d’erba e radi alberi. C’era un casolare piantato solo in mezzo alla campagna e lui poteva vederne in lontananza i muri rossi e le finestre chiuse come gli occhi di un bel volto assopito. Ogni tanto una delle imposte si schiudeva ed una donna si affacciava poggiandosi sul davanzale. Era sempre la stessa e sembrava fosse l’unica abitante della cascina. Poteva avere una trentina d’anni, o forse più, ma questo non aveva importanza per lui che, non visto, ne spiava la vita. Maria, così si immaginò di chiamarla, apriva i vetri per fumare una sigaretta con aria pensosa e lui la vedeva scuotere la testa e scostarsi dal viso i lunghi capelli neri. Forse voleva scacciare i cattivi pensieri, e lui avrebbe voluto esserle accanto per condividerli.  Altre volte invece poggiava solo le mani sulla cornice della finestra, tendeva le braccia e fissava fuori, come se avesse avuto la voglia di saltare giù e scappare, anche se non poteva. Come gli sarebbe piaciuto porgerle la sua di mano ed aiutarla ad evadere, ma lui stesso era prigioniero ed impotente in quella stanza troppo piccola per la sua fantasia. E sognò la libertà, e sognò di andare via, via. E un anello vide già sulla mano di Maria. I mesi e poi gli anni passarono lenti ed uguali finché la sua costrizione finì a causa di un miracolo o per uno scherzo del destino. Con i capelli ormai bianchi, ma col cuore gonfio delle mille speranze dei tanti giorni passati nei solitari colloqui con lei che non c’era mai stata, raccolse tutto il suo coraggio ed andò a bussare alla porta della cascina. La chiamò: “Maria!”, ma ormai da tempo quelle finestre non si aprivano più, anche se lui non se n’era mai accorto. E fu solo, mentre cadeva la prima neve sulle sue spalle e sul tetto del rosso casolare.