lunedì 15 aprile 2019

Certe notti



“Certe notti la macchina è calda e dove ti porta lo decide lei. Certe notti la strada non conta
e quello che conta è sentire che vai.” A squarciagola Mario cantava il Liga scimmiottando il cipiglio tipico del rocker emiliano. Alla guida del suo camion percorreva la via Emilia forse per la decima volta in quel mese ed ormai gli sembrava di guidare col pilota automatico. Attraversava paesotti e cittadine, costeggiava i campi arati, scavalcava su ponti di ferro piccoli rivi ed il fiume gigantesco e placido che dominava la pianura. Ogni tanto, seguendo il nastro d’asfalto, si tuffava in qualche boschetto di betulle che con gli alti tronchi tutti in fila, rompeva la monotonia di una campagna piatta ed infinita. Conosceva ormai ogni svolta e tutte le traverse che sgusciavano via dalla strada principale; avrebbe addirittura potuto elencare la successione delle trattorie indicando per ciascuna la rispettiva specialità e la qualità del lambrusco. Era in confidenza con tutte le ostesse e si fermava volentieri da quelle che non solo gli portavano i piatti in tavola, ma lo facevano anche sentire in famiglia con la loro bonomia sempre paciosa e talvolta maliziosa. Qualcuna era anche belloccia, spesso in carne, con fianchi generosi e seni prosperosi che mettevano di buon umore solo a guardarle. Non poche volte Mario aveva scambiato una carezza per un sorriso e qualche mezz’ora con pochi soldi di ringraziamento. “Certe notti fai un po' di cagnara che sentano che non cambierai più. Quelle notti fra cosce e zanzare e nebbia e locali a cui dai del tu.” Il camion di Mario si distingueva per un festone di luci sopra la cabina e la scritta dietro al cassone che riportava il soprannome con il quale era conosciuto: “Il Tigre”. Le professioniste lungo la via lo riconoscevano da lontano e quando l’incrociavano gli facevano sempre un cenno di saluto che lui ricambiava sporgendosi dal finestrino e chiamandole per nome. Affermare che fosse felice sarebbe esagerato, ma la sua vita gli piaceva ed era consapevole che questa era una fortuna riservata a pochi.

Una sera Mario guidava più stanco del solito. Aveva fatto tre consegne tra Formigine e Montecchio ed ogni volta si era lasciato convincere a dare una mano nello scarico. Era un lavoro pesante e delicato, specialmente se si trattava di cartoni di vino che rischiavano sempre di cadere mandando in frantumi le bottiglie. Doveva tornare a casa e si teneva sveglio cantando appresso alla radio. I fari rompevano il buio tutt’intorno ed il muso del vecchio Ducato fendeva la notte come la prua di una nave in un mare di tenebra. Non bastava la fioca luce gialla di qualche lampione a dissolvere il soffice velo di una nebbia fitta a banchi come improvvisi sbuffi di un’irraggiungibile locomotiva. “Certe notti ti senti padrone di un posto che tanto di giorno non c'è. Certe notti se sei fortunato bussi alla porta di chi è come te.” Forse per l’ora tarda il traffico era molto scarso e sembrava di viaggiare soli in un mondo desolato di macchine e persone. Improvvisamente Mario vide, in lontananza, sul ciglio della strada, una donna con la mano alzata nel classico gesto dell’autostoppista. Non era sua abitudine caricare estranei, ma quella figura solitaria, con un trench stretto in vita sotto la pioggerella che sembrava averle inzuppato i capelli, lo fece rallentare. Sembrava una giovane magra e piccolina, persa e forse bisognosa d’aiuto. Mario si fermò.

-Dove vai? – Le chiese.

-Non molto lontano, – rispose lei – ma di notte ho paura ad andare per i campi. Può darmi un passaggio? – La ragazza pronunciò queste parole con lo sguardo quasi sempre basso o sfuggente, poi, in attesa della risposta, alzò il viso e guardò Mario dritto negli occhi. L’autista restò un momento sconcertato dagli occhi della giovane che sembravano stonare in un viso quasi da bambina. Avevano un’espressione vissuta, quasi antica, di quelle che si vedono nei vecchi quando ripensano alla loro vita, ma nello stesso tempo celavano un fondo di ironia, forse di divertimento. Era una cosa strana, un po’ inquietante, ma le gocce che le rigavano il volto ed il lieve tremito che a tratti scuoteva il gracile corpo della ragazza, convinsero l’uomo.

-Vieni, sali. Come ti chiami?

-Grazie, Veronica. E lei?

-Io, Mario. Ma dammi del tu. Dove ti porto?

-Fra cinque chilometri c’è un gruppo di case che si vede dalla strada. Puoi lasciarmi vicino alla chiesa poco prima, che poi da lì sono due passi.

-D’accordo.

Durante il tragitto restarono quasi sempre in silenzio. Mario si sentiva un po’ a disagio, e per lui era una sensazione nuova. La ragazza non sembrava una di campagna, anzi pareva uscita da una di quelle illustrazioni che ritraggono le signorine per bene dell’ottocento. Si teneva composta sul sedile, con le diafane mani dalle lunghe dita incrociate sul grembo. Lui ogni tanto le lanciava uno sguardo di sottecchi, ma lei non se ne accorgeva, o faceva finta.

-Ti posso chiedere quanti anni hai, Maria?

-Ventidue, compiuti da poco.

-Avrai un bel moroso, vero? – Cercò di scherzare l’uomo.

-L’avevo, è morto in guerra.

-Oh, mi dispiace. Un militare?

-Alpino. – “Durante una missione all’estero.” Pensò Mario ma non ebbe il coraggio di chiederlo. Dopo questo beve scambio di battute tacquero nuovamente entrambi, lasciando solo la radio a rompere il silenzio. “Non si può restare soli, certe notti qui, che se ti accontenti godi, così così. Certe notti son notti o le regaliamo a voi. Certe notti qui, certe notti qui, certe notti qui, certe notti…”

-Ferma, va bene qui. – Mario accostò al ciglio della strada.

-Aspetta. - Disse lui – Le case non sono poi tanto vicine. Se vuoi, parcheggio e ti accompagno.

-No, no, grazie. Non ti preoccupare, costeggio la Chiesa e sono arrivata.

-Come vuoi. Allora, ciao Veronica.

-Ciao Mario, mi ha fatto piacere incontrare un gentiluomo. – Beh, l’avevano chiamato in tante maniere durante la sua vita, ma gentiluomo…

La ragazza scese dal Ducato e si avviò lungo il marciapiede per un breve tratto, dopo di ché prese uno sterrato e sparì inghiottita dal buio. In quel momento si alzò una folata di vento impetuoso che scosse le fronde degli alberi ai lati della strada in maniera violenta. Rumore di foglie, il sibilo del vento tra i rami, colpi secchi e forti tonfi, tutto in un turbinio di tempesta inaspettato. Durò poco, poi la raffica passò e la nebbia avvolse nuovamente il paesaggio. Sulla via Emila tornò una quiete densa e colma di tutti i segreti che la pianura non voleva rivelare.

Mario accese il motore e riprese il suo viaggio. Dopo qualche minuto si accorse che, sul sedile accanto al suo, Veronica aveva dimenticato una piccola borsa. “E adesso? Forse le servirà. Guarda tu cosa mi tocca fare…” Disse tra sé mentre, di malavoglia, sfruttava uno slargo per fare inversione di marcia. Velocemente tornò al punto dove aveva lasciato la ragazza sperando di raggiungerla. Scese e si avviò, con passo veloce, per il sentiero che lei aveva imboccato. La mole della Chiesa era vicina ed un piccolo cimitero con vecchie lapidi ed angeli di marmo faceva da quinta ad una facciata ornata da colonne. Lo sguardo dell’uomo fu attirato da una delle pietre che spuntavano dal terreno. Non era più grande né più lavorata delle altre, anzi era quasi del tutto coperta da un’erba rampicante e pendeva su un lato, in procinto di cadere. L’uomo non si spiegò mai perché si sentì quasi costretto a fermarsi davanti a quella tomba, ma lesse distintamente il nome della povera defunta: “Veronica…1898 – 1920”. Aprì la borsetta. Non trovò niente tranne un bocciolo di rosa ormai secco, ma il profumo che ne scaturì non lo dimenticò mai più.

Mario percorse tante altre volte quel tratto della via Emilia, sempre sperando in cuor suo di rivedere quella fanciulla d’altri tempi. Ma forse era stato solo un sogno nella notte solitaria di un autista di camion.

“Certe notti sei solo più allegro, più ingordo, più ingenuo e coglione che puoi. Quelle notti son proprio quel vizio che non voglio smettere, smettere, mai. Certe notti qui, certe notti qui, certe notti qui.”




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