lunedì 22 maggio 2017

Il Vizio del Fumo

Filippo era sempre un po’ nervoso quando doveva andare dal dentista. Regolarmente, ogni sei mesi, si faceva controllare la bocca per snidare eventuali subdole carie o altri problemini che avrebbero potuto compromettere l’efficienza del suo apparato dentale. La periodicità della visita e la sicurezza che il dottore fosse ben fornito di anestetico, non lo facevano comunque stare tranquillo. Ricordava bene come avesse sofferto quando aveva dovuto sottoporsi ad una “canalare” e l’eventualità, seppure remota, di ricadere in quel tormento, gli si parava innanzi come un incubo ogniqualvolta s’approcciava allo studio medico. Anche quel giorno si trovava nella sala d’aspetto e fumava nell’attesa. Lo sapeva bene che era vietato, ma al momento non c’era nessun altro e lui ne approfittava per consolarsi con quel maledetto vizio che non riusciva a togliersi. Già sentiva i suoi nervi che, dopo l’ennesima lunga boccata, si stavano leggermente rilassando, quando improvvisamente la porta si aprì. Fece appena in tempo a buttare il mozzicone acceso nel cestino della carta straccia per non essere sorpreso in flagrante, che una ragazza più o meno della sua età, di una bellezza abbagliante, fluttuò dentro la stanza. Il verbo è assolutamente appropriato poiché al giovane parve che lei non camminasse come sono usi i mortali, ma simile ad una Venere botticelliana sfiorasse appena il pavimento muovendosi aggraziata ed eterea. Con l’immediatezza e la potenza di un fulmine a ciel sereno, Filippo si innamorò a prima vista.
-Buongiorno. Ma…cos’è quest’odore forte? – Disse la Dea arricciando quello che volgarmente si chiama naso e che in lei era una graziosa virgola posta a sottolineare i delicati lineamenti del viso.
-Quale? – Rispose il ragazzo tentando un disperato bluff.
-Puzza di bruciato. Oddio, il cestino! – Voltando i due laghetti alpini che altri più pedestremente avrebbero chiamato occhi, lei si accorse di una vivace ed allegra fiammella che si librava dal recipiente delle cartacce con l’intenzione di crescere per diventare un promettente piccolo incendio. Con la presumibile prontezza di Diana cacciatrice quando incrociava un cervo sulla rotta dei suoi dardi, la fanciulla prese una bicchiere di plastica dal distributore dell’acqua sistemato in un angolo e, riempito, ne verso il contenuto sull’improvvisata pira. Sfrigolando e sbuffando nuvolette di vapore, il fuoco nascente rintuzzò le sue ambizioni e poi, rassegnato, si spense.
-E’ stato lei? – Interrogò la donna guardando Filippo e contribuendo in tal modo ad aumentarne la confusione mentale.
-Chi, io? – Avrebbe voluto mentire, ma non si sentiva di ingannare chi sicuramente l’avrebbe comunque scoperto, dando di sé un’immagine di viltà. Quindi, assumendosi virilmente le proprie responsabilità, rispose: - Ebbene sì, l’ammetto. Ma non l’ho fatto di proposito.
-Vorrei ben vedere. Lei fuma?
-Confesso il mio vizio. Anzi, visto che siamo in tema di confidenze, le dirò che non è la prima volta che mi capita di incendiare cestini. Non so perché, saranno i miei trascorsi da pivot nella squadra di pallacanestro della Stella Azzurra, ma quando vedo un cesto sento l’irresistibile attrazione di buttarci dentro qualcosa. Purtroppo a volte mi capita di avere tra le dita un mozzicone, e questo ha fatto andare in fumo già un paio di appartamenti.
-Piromane “in pectore”, bene, bene. Ma non ci siamo presentati. Permetta, Annabella Galoppetti Pratolini della Frasca. Lilly, per gli amici, e lei se vuole può chiamarmi così. – Filippo ebbe l’impressione che alla ragazza non fosse dispiaciuto il piccolo incidente e che, forse era un abbaglio, lo guardasse con interesse.
-Filippo. – Disse lui tendendo la mano.
Per una magica frazione di tempo si era scordato dove si trovasse, ma venne a ricordarglielo stentoreamente l’infermiera  convocandolo per la visita e ponendo così termine al primo incontro tra i due giovani.
La seduta durò poco e Filippo uscendo si sarebbe aspettato di ritrovare la ragazza in attesa del suo turno, ma non fu così. Lei era sparita, dileguata, come un bellissimo sogno all’alba di un giorno nuovo. Il giovane ne fu quasi sconvolto, tanta era l’impressione che aveva ricevuto dalla donna, e senza neanche salutare Cinzia, l’assistente del dentista, si precipitò in strada. Camminando immerso nei suoi pensieri, non si accorgeva della vita intorno a lui, ma avvertì distintamente l’inno della Roma Calcio che inaspettatamente si sprigionò dalla tasca interna del suo doppiopetto. Era la suoneria del cellulare impostata sulla canzone della seconda delle sue passioni, adesso che aveva incontrato il “vero” amore della sua vita.
-Ciao, sono Lilly, ti ricordi di me? – Trillò una voce tanto argentina e melodiosa che avrebbe fatto invidia al campione mondiale degli usignoli.
-Certamente, non ti ho più visto dopo la mia seduta e non avrei sperato di risentirti.
-Mi perdonerai se ho insistito con la segretaria del dottore per avere il tuo numero, ma durante il nostro breve incontro mi sei rimasto particolarmente simpatico e ho pensato che mi sarebbe piaciuto rivederti. – Uno trionfo di fuochi d’artificio esplose nella mente del giovane e la serotonina, ormone della felicità, ebbe un picco di produzione ai limiti del sopportabile.
-Anche io ne sarei contento. – Rispose lui soffocando a stento l’entusiasmo. – Dimmi solo dove e quando.
-Sai, io abito in campagna e non vengo quasi mai in città, però potresti venire a trovarmi per il prossimo week end. Ti ospiterei per qualche notte, in villa non ci manca lo spazio. Ti andrebbe?
-Aspetta, fammi vedere l’agenda. Dunque, qui c’è il consiglio di amministrazione, poi devo fare un briefing, un meeting ed un brain storming con il think tank. Facciamo così, sposto l’incontro con Bill Gates che mi aveva proposto un aggiornamento del software per il mio ufficio e…va bene, dopodomani, sabato, sono da te.
Filippo seguì le indicazioni del navigatore che gli aveva fatto lasciare l’autostrada al casello di Firenze Sud ed, ormai da quasi un’ora, lo stava sballottando per strade provinciali e secondarie per giungere finalmente al cancello di un podere che corrispondeva all’indirizzo fornito da Annabella. Si fece aprire ed imboccò un viale costeggiato da alti cipressi. Guidò per qualche altro minuto per poi sbucare su di un vasto piazzale dominato dalla facciata di un edificio grandissimo. Lui si era aspettato di recarsi in una villa nei limiti della normalità, diciamo un po’ più vasta della bifamiliare che normalmente affittava a Riva dei Tarquini l’estate, ma l’edificio che gli si parò innanzi sembrava essere solo di poco più piccolo del Quirinale, ed altrettanto ridente. La ragazza lo stava aspettando sulla soglia del portone.
-Vieni, entra. Benvenuto a Villa Galoppetti Pratolini, accomodati. – Filippo si sentiva intimidito da tutta quella grandiosità, e l’imbarazzo gli fece venire voglia di una sigaretta, ma la soffocò.
-Tu vivi qui? – Le chiese.
-Solo in un’ala del maniero, la maggior parte delle stanze sono chiuse e servono solo come alloggio per i topi, i pipistrelli o qualche altro animaletto selvatico che abbia deciso di rinunciare alla vita all’aria aperta.
-E la tua famiglia?
-Dopo, a cena, la conoscerai. Siamo in pochi: mio padre, il conte Rodrigo, e la moglie di lui.
-Tua madre.
-Non proprio. Mamma ci lasciò quando ero bambina e babbo ultimamente ha pensato bene di risposarsi con una rumena che veniva a svolgere dei lavori domestici in villa. Si chiama Niculina, ma mio padre l’ha ribattezzata Sofia, come la nostra parente spagnola, ma diciamo che non ha esattamente lo stesso “allure”.
-Ho capito, situazione complessa.
-Non poi talmente. Basta finire tutte le parole con la “U”, un po’ come parlando il sardo, e lei, in linea di massima, coglie il senso di tutto. Ma basta presentazioni, adesso ti accompagno in camera tua e, dopo esserti dato una rinfrescata, scenderai nel salone delle armi dove prenderemo l’aperitivo. A proposito…
-Dimmi.
-Sapendo che sei un fumatore, ti ho fatto mettere sul comodino vicino al letto due gustosi e fragranti pacchetti di sigarette che spero gradirai. Non farti scrupolo a fumare nella stanza, sfogati pure come e quanto credi, ad libitum.
-Grazie, va bene, ma potrei anche contenermi, se vuoi.
-Nossignore! – Esclamò lei, improvvisamente agitata. –Non devi reprimerti per nessun motivo, anzi dacci dentro come il turco delle barzellette, senza freni. - Filippo non sapeva se essere stupito o lusingato da tante attenzioni e, ringraziando, seguì la ragazza su per le scale verso il piano nobile.
-Costui è colui? – Chiese il conte padre durante la cena indicando l’invitato.
-Sì papà. – Rispose l’angelo della magione.
-Carinu. – Disse la sedicente contessa. E la conversazione fluì stentatamente tra pause d’imbarazzo e banali commenti sul cibo. Ma a Filippo non interessava niente del contorno, gli bastava vedere seduta di fronte a lui la futura donna della sua vita e scambiare con lei sporadiche occhiatine d’intesa che forse significavano quello che lui non osava neanche immaginare. La parte mondana della serata ebbe termine e tutti si ritirarono verso le rispettive stanze augurandosi la buona notte.
-Buonanotte Filippo. – Con queste parole Lilly si accomiatò dal giovane, sbattendo un po’ le ciglia e facendo volteggiare per l’ultima volta lo chiffon del vestito. –Mi raccomando, prima di addormentarti, pensami almeno un pochino. Me lo prometti? – Non c’era bisogno di chiederlo. Il ragazzo dubitava di poter chiudere occhio quella notte, sovreccitato ed impaziente come poche altre volte in vita sua.
-Uscirò sul balcone per vedere la Luna e parlarle di te. – Le disse ispirato.
-No caro. Non devi uscire, pensami se vuoi, ma vicino al letto, al massimo seduto alla scrivania. Vedrai, viene meglio. – Lui non capì bene il ragionamento, ma avrebbe acconsentito a qualsiasi cosa fosse uscita da quella bocca color delle ciliegie.
Come previsto fu una notte di tregenda. Ogni diavoletto tentatore e qualsiasi immagine dalla più peccaminosa alla più casta, si dettero convegno dietro i lobi parietali di Filippo e lui non riusciva a prendere sonno in nessuna maniera. Arrivò a contare fino a trecentoquarantotto pecore che saltavano una staccionata su di un prato verde, ma nessuna di loro gli portò l’oblio. Fortunatamente aveva a disposizione un’ampia riserva di sigarette e ne fece man bassa. Ne accese una dietro l’altra, ma casualmente non trovò da nessuna parte un posacenere. I primi mozziconi li spense in bagno, poi si stufò e li buttò sul pavimento. Qualcuno volò oltre il cornicione verso il giardino, ma la maggior parte divenne il proiettile indirizzato verso il cestino sotto al tavolo. Il recipiente era stranamente colmo di fogli di carta leggeri, foglie secche e piccole tavolette di una sostanza che ricordava la diavolina. A questo punto è facile intuire come non ci volle molto che il cestino, seguendo il destino dei suoi predecessori appartenuti a Filippo, prendesse fuoco. Purtroppo il contenitore era sistemato molto vicino alle tende della finestra, che forse erano state pulite da poco perché emanavano un vago sentore di benzina, e le fiamme ci misero un attimo per propagarsi. Da una stoffa all’altra, da un mobile al successivo, in breve molta parte della villa era in preda all’incendio.
-Lilly, Lilly! – Chiamò il ragazzo precipitandosi fuori della sua camera per avvertire l’amata e metterla in salvo. Non la trovò al primo piano e quindi, in preda all’angoscia, corse verso l’ingresso per vedere se magari fosse già uscita. Nella concitazione del momento rimase un po’ stupito nel vedere, vestiti come andassero in vacanza, gli abitanti della casa schierati in cortile. Accanto avevano un paio di valige ciascuno e qualche servitore rimasto li stava aiutando a caricare altri bagagli sulla berlinetta di famiglia. Com’era possibile che nel tempo brevissimo tra lo scoppio dell’incendio e quell’incontro tutti si fossero preparati tanto alacremente e con cura? Ma era una domanda che Filippo ripose nei meandri della mente, non era importante adesso che poteva vedere come la sua amata fosse in salvo e, sembrava, di ottimo umore.
-Lilly, mia cara, stai bene? Non posso dirti quanto sia addolorato per questo incidente. Mi potrai perdonare?
-Non ti preoccupare, sciocchezze. Adesso vai, vai. E vaiiii!
E Filippo andò, ramingo ed esule dalla sua felicità. Dopo quel giorno, smise di fumare per punirsi della sua sbadataggine e per dimostrarsi forte di fronte al vizio. Non sentì più Annabella e l’aveva quasi dimenticata quando sul quotidiano che sfogliava ogni mattina lesse: “Risarcimento milionario pagato dall’assicurazione – La famiglia Galoppetti Pratolini ha incassato una cifra a sei zeri per l’incendio della villa secentesca nelle campagne fiorentine. La dimora era in vendita da molto tempo perché il conte non era più in grado di sostenere le spese di mantenimento, ma nessun compratore si era mai fatto avanti. Con i denari ricevuti, il conte Rodrigo con la consorte Sofia nata Rodeanu e la di lui figlia Annabella si sono trasferiti in un appartamento sul lungomare di Nizza per iniziare una nuova vita. La bella ereditiera è in breve divenuta la regina delle notti in Riviera ed un codazzo di play boys internazionali fanno a gara per contendersi i suoi favori.”
Filippo capì di essere stato manipolato, ma siccome era un bravo ragazzo, ne fu quasi contento. In fondo, anche se involontariamente, era stato l’artefice della felicità per la donna più bella che avesse mai incontrato, e questo gli bastava.

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