venerdì 7 aprile 2017

Giggi er fascio e Sergio er tromba

Quasi tutti i giorni, verso metà mattinata, Sergio faceva la sua passeggiata nel parco cittadino. Entrava dalla porta dei leoni e percorreva, di buon passo, il sentiero ghiaioso fino al cancello che portava alla rotonda. Da qui, svoltando sulla sinistra, affrontava la salitina verso il tempietto greco, e ritorno. A volte si allungava fino alla terrazza panoramica, ma doveva essere una giornata nella quale la schiena non si era fatta sentire ed il ginocchio non gli doleva, e questo non era tanto frequente. All’uomo piaceva percorrere i viali alberati specialmente in autunno, quando era tutto un infuocarsi dei gialli e rossi del fogliame ed i primi freddi facevano pregustare il ritorno a casa per gustarsi un buon tè caldo e profumato. Aveva invece in antipatia la primavera. La trovava “cafona” con quel vestirsi di fiorellini variopinti come una contadina nei giorni di festa. Per non parlare dell’allergia al polline e della sensazione di essere vestito sempre in maniera inadeguata: o troppo coperto soffrendo il caldo, o quasi estivo alla mercé dei refoli più freschi. Il giardino, in quell’orario, era poco frequentato. I bambini erano a scuola e gli adulti in età lavorativa stavano adempiendo ai loro compiti. Lui era ormai in pensione da qualche anno e, con la fine della sua attività, invece di avvilirsi come qualcuno dei suoi coetanei, riteneva di aver acquisito una saggezza nuova. Aveva avuto sempre un carattere fumantino, anche troppo, e spesso si era lasciato trascinare dall’entusiasmo prendendo decisioni avventate o menando le mani invece di discutere, ma adesso si sentiva quasi “zen”, un imperturbabile asceta. Specialmente verso i vent’anni, con l’impegno politico, non c’era fine settimana che non facesse a cazzotti in nome di quella ideologia che in seguito l’avrebbe tanto deluso. Sergio era stato un “compagno” duro e puro, come si diceva allora, ed anche il bolscevico più ortodosso sarebbe sembrato pavido ed indeciso in confronto all’incrollabile fede nel comunismo del militante italiano. Se avesse dovuto fare un bilancio dei tanti anni passati in Sezione, l’entusiasmo sprecato e le botte ricevute non erano stanti neanche lontanamente ripagati dal raggiungimento di quegli ideali che sembravano allora sacrosanti. Ma era acqua passata. Adesso, scherzando, diceva che perfino il Dalai Lama sarebbe sembrato aggressivo a paragone della sua nuova serenità. Gli piaceva fare le sue passeggiate in solitudine, ed anche se incontrava qualche conoscente, spesso faceva finta di non vederlo per non dover chiacchierare.
Quella giornata di metà aprile era nata male. Sembrava che i pollini più irritanti avessero deciso di provocare le mucose del suo naso, e per Sergio era un continuo starnutire e soffiare nelle migliaia di fazzolettini di carta che gli riempivano le tasche. Non voleva darla vinta alla primavera e quindi si era avventurato lo stesso tra i platani grondati di bianchi fiocchi e le redivive graminacee pensando che, in qualche maniera, si sarebbe abituato ai fastidiosi allergeni e che, dopo l’ennesimo starnuto, la parte tanto sollecitata sarebbe diventata quasi insensibile. Ovviamente non fu così ed, ormai sfiancato dall’impari combattimento, decise di fermarsi su una panchina per chiudere gli occhi e sfiammare le pupille. Purtroppo la seduta più vicina era già occupata da un signore, più o meno della sua età, che non gli sembrava aver mai visto prima. Non ne poteva più e si accasciò vicino all’estraneo accennando un segno di saluto che era il massimo della confidenza che era disposto a concedere. Ma lui era l’eccezione. Gli altri suoi coetanei bramavano di attaccare bottone con qualsiasi persona a portata di mano, e quindi:
-Buongiorno. – disse il vecchietto arrivato prima.
-Uhmmm.
-Vedo che lei non ama la bella stagione.
-Per me non è bella, fottuta primavera!
-Ah ah ah. Vedo che lei è un fan della Goggi. No, quella era “maledetta” primavera. Scusi, sto scherzando. Mi permetta di presentarmi: Luigi de Cortes, tanto piacere.
-Piacere mio. – Rispose Sergio, anche se pensava tutt’altro. Quel signore elegante, con un bel panama bianco, gli dava particolarmente sui nervi. Sembrava agiato e compiaciuto, con l’aria di leggera strafottenza tipica dei pensionati con un cedolino di importo superiore alla media.
-Io vengo raramente in questo giardinetto. Di solito rimango in villa o vado in campagna.
-Giardinetto…è il parco cittadino. Mi sembra bello.
-Sì, abbastanza. Anche se non è particolarmente curato. Si vede che i fiori sono stati piantati a caso, senza tenere conto delle nuance di colore. Ma al giorno d’oggi…
-Cosa?
-Non c’è più il senso estetico, il gusto del bello. Tutto viene fruito dalle masse che, perlopiù, sono ignoranti e si accontentano. – Abbiamo detto che Sergio si trovava in un momento di irritazione psico-fisica, e sentir parlare male delle masse, di quelle stesse masse per le quali si era tanto speso, era come sale sulle sue ferite.
-Caro signore, non è colpa del popolo se una classe dirigente plutocratica e dittatoriale ha sempre oppresso la povera gente. Se il proletariato avesse avuto accesso ai privilegi di chi ha sempre comandato, avrebbe imparato anche a combinare i fiorellini.
-Forse. La sento particolarmente acceso sulla questione. Non mi dica che lei è un nipotino di Stalin, quello zotico marxista.
-Non ho questo privilegio, altrimenti avrei saputo come comportarmi con chi sfotte la povera gente. – Mentre andava avanti questo battibecco, nella mente di Sergio si accendevano remoti ricordi. Il suono della voce di quel tale Luigi, la sua fisionomia, anche il modo di muoversi, gli stessi occhi con quel lampo di sfida, gli evocavano qualcosa. Stette per qualche in momento in silenzio, scavando e disseppellendo nei tempi andati, e poi improvvisamente se ne uscì:
-Ecco chi sei! – Urlò in faccia all’altro. Luigi fece un salto dalla panchina degno di un uomo assai più giovane di lui e, istintivamente, mise le mani avanti per ripararsi da quella furia inaspettata.
-Chi sono?
-Sei “Giggi er fascio” che guidava un gruppo de’ disgraziati a incendiarci le vetrine fuori dalla Sezione del Partito!
-Noooo, e tu sei Sergio detto “er tromba” per come urlavi ai tuoi compagni in occasione dei comizi.
-Esatto. – Gli rispose il primo che sentiva rinascere tutte le antiche rivalità e gli incominciavano a prudere le mani. –Ecco perché sei così stronzo. Ahò, non sei cambiato per niente, non te so’ bastate tutte le mazzate che hai preso.
-Guarda, che se le ho prese le ho anche date. Mi ricordo ti inseguii col casco in mano per insegnarti a vivere. Come scappavi…
-Chi scappava? A bello, aridimmelo se c’hai er coraggio. – Urlando e sbraitando, Sergio prese l’altro per il bavero della giacca alzando il pugno pronto a calarlo con forza, ancora una volta, sull’aristocratico naso. Anche Luigi era pronto al combattimento: rosso in faccia e digrignando i denti sembrava un mastino pronto al balzo verso il collo del nemico.
In quel momento passò un bambino di circa sei anni che, vedendo i due anziani personaggi dai capelli bianchi e con le rughe sul volto in piena lite e pronti ad azzuffarsi, si fermò guardandoli stupito.
-Cosa state facendo? Ma non vedete che siete due vecchi? I nonni non possono litigare, ormai sono vecchietti.
La vocina del fanciullo paralizzò i contendenti, e quella parola: “vecchi” li schiaffeggiò entrambi con la violenza della verità. Si scostarono e si ricomposero, un po’ vergognandosi del brutto spettacolo che stavano offrendo di sé.
-Hai ragione. – disse Sergio. –Siamo vecchi ormai, e dovremmo essere saggi o quanto meno cercare di dare il buon esempio. Scusaci, ci stavamo comportando male. – Anche Luigi si rivolse al piccolo:
-Si, certo, stavamo giocando. In fondo ci conosciamo da tanti anni, abbiamo vissuto esperienze simili e tutt’e due abbiamo un lungo percorso di vita. Potremmo dire di essere quasi amici. – Riprendendo il solito aplomb, Luigi si rivolse a Sergio:
-Mi sovviene la poesia di De Filippo: “’a livella” quando dice che, di fronte alla morte, le umane passioni perdono di significato. Certamente noi ancora non siamo trapassati, ma forse dovremmo mettere tutto nella giusta prospettiva e non sottoporre le nostre coronarie ad ulteriori sforzi, nevvero? – Sergio lo guardò perplesso, ancora accaldato dal recente sforzo.
-A Luì, senza passione se more, anche se forse c’hai ragione e dovremmo prenderla con più calma. Ma poi, la morte? Come te viene in mente? E parla per te! – Con queste parole, ed un’energica grattata nelle parti basse, Sergio diede un buffetto al piccolo impiccione, si alzò e riprese la sua passeggiata. Gli rimase per sempre il rimpianto di quell’ultimo pugno non dato.




  




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