Il buon
curato uscì dalla Canonica stringendosi addosso il cappotto lungo fino ai
piedi. Quando l’aveva comprato, forse trent’anni prima, la stoffa era una bella
alpaca nera pelosetta e caldissima, adesso il colore era virato su un grigio
topo e nei pressi dei gomiti o sul fondoschiena chiazze spelate e lucide
denunciavano tutta l’età del vetusto indumento. Ma a lui non importava. Don
Luigi era ancora uno di quei sacerdoti all’antica che non davano importanza all’esteriorità
badando più alla pulizia delle proprie intenzioni che al nitore degli
indumenti. Il vescovo l’aveva, garbatamente, ripreso più volte incitandolo ad
adeguarsi ai canoni estetici di una società che sull’apparenza basa molta parte
dei suoi giudizi. Gli aveva anche regalato un clergyman di una bel tessuto
morbido, ma lui l’aveva riportato al negozio cambiandolo con una serie di nuovi
paramenti liturgici per l’altare di Santa Marta. A volte, il vecchio prete, si
sentiva un po’ retrogrado ed antiquato, ma fintanto che il suo ministero si
fosse basato su un testo di duemila anni fa, non vedeva la necessità di cedere
alle false tentazioni della modernità. La passeggiata che faceva ogni sera
verso il tramonto e prima del frugale pasto che consumava in solitudine, era
una abitudine alla quale non veniva mai meno, salvo se impedito da qualche
grave motivo. La riteneva necessaria per riflettere ed interrogarsi sulle tante
miserie umane delle quali veniva a conoscenza nell’espletamento del suo ufficio
pastorale, così come ogni volta cercava la propria consolazione ritrovando le
ragioni della fede. La sua Chiesa era ai margini di un piccolo villaggio
rurale, ed i mille sentieri che s’intrecciavano nei boschi e tra i prati d’intorno,
sembravano corridoi di un magnifico edificio eretto dalla potenza del Creatore.
Il susseguirsi delle stagioni e delle condizioni atmosferiche modificavano l’arredamento
di quell’immensa Cattedrale eretta a gloria del Signore, mentre colori e forme
sempre diverse lo stupivano ogni volta, anche alla sua non più tenera età. Don
Luigi pensava e pregava, ma, soprattutto negli ultimi tempi, si trovava spesso
ad implorare Domineddio di mantenerlo saldo nella sua vocazione. Una volta i religiosi
leggevano solamente l’Osservatore Romano, quando capitava, e il breviario o la
Bibbia erano i libri da sfogliare. Poi, col progresso, il mondo si era connesso
e tramite la televisione, e poi il computer, tutti, compresi i preti, si erano
trovati partecipi delle immense sciagure che si abbattevano continuamente su un’umanità
dolente e spesso disperata. Nel piccolo salotto della Canonica, tramite quegli apparecchi,
era entrato il viso di un bambino salvato dalle macerie di un terremoto, di una
donna in fuga dalla carestia con in braccio un neonato innocente ed indifeso.
Don Luigi aveva visto i drammi della guerra e malati spegnersi vinti da morbi
incurabili, poveri che chiedevano aiuto e vite senza speranza, e ne aveva
pianto. Ma, in qualche programma, si era anche stupito di quanta apparente e
vacua ricchezza fosse nelle mani di una piccola parte di un mondo egoista e
sordo. Tutto l’insieme di questa ingiustizia l’aveva, ormai che era vecchio,
portato a chiedersi quello che aveva paura a pensare anche sottovoce a se
stesso. Dov’era la Giustizia Divina o, ancora più dolorosamente, dov’era Dio di
fronte alla sofferenza dell’Uomo che Lui aveva creato? Era sicuro di commettere
un peccato mortale nel dubitare della presenza dell’Essere Supremo, e nello
stesso tempo non voleva porsi quelle domande che implicavano anche l’inutilità
stessa della sua intera vita, se mai avessero comportato una risposta contraria
ai dogmi nei quali aveva sempre creduto. Però i dubbi lo assillavano in
continuazione, e le sue passeggiate finivano sempre più raramente con la serenità
di un tempo. Avrebbe voluto, anche solo per una volta, avere un segno, una
manifestazione, che lo rassicurasse. Gli sarebbe bastato un cespuglietto che
avesse preso fuoco mentre lo guardava o un ruscello che improvvisamente avesse
interrotto il suo corso. Cosa sarebbe
costato all’Onnipotente far ruotare, poco poco, il sole nel cielo o far cadere
qualche fiocco di neve in agosto? Sarebbe stato un piccolo sforzo che avrebbe
salvato la sua anima e gli avrebbe ridato la pace. Un miracolino l’avrebbe
fatto felice, piccolo, un emolumento simbolico che don Luigi credeva anche di
meritare a fronte di tutta una vita al Suo servizio.
Una sera di
primavera il cielo era limpido e le prime stelle della notte brillavano
spendenti nell’aria tersa ed ancora fresca. Ma Don Luigi era particolarmente
angosciato e preda dei suoi demoni. Era quasi disperato sentendo che nessuno
rispondeva alle domande del suo cuore e, quasi in lacrime, si fermò in una
piccola radura volgendo il viso verso la volta celeste e spalancando le
braccia.
-Dio, se ci
sei, dammi un segno! – gridò con tutto il fiato dei suoi stanchi polmoni.
Non c’era
una nuvola e la luna mostrava un sorriso che sembrava di compatimento.
Improvvisamente un lampo squarciò l’atmosfera, senza che nessun rombo di tuono
ne avvisasse l’arrivo. La splendente saetta colpì il buon curato che si
accasciò a terra privo di vita. I compaesani trovarono poi il suo corpo e furono
tutti stupiti da quell’evento atmosferico del tutto inusuale, ma soprattutto si
meravigliarono di come sul viso del prete non ci fosse segno né di dolore né di
spavento. Don Luigi sorrideva, sembrava felice: era la risposta che aspettava.