Come sarebbe bello prendere una
tela bianca e, con un gesto ispirato, riempirla con i colori più vivaci, magari
spandendoli con un pennello o con le dita. E che meraviglia sarebbe chiudere
gli occhi e seguire quella melodia che attraversa la mente e poi avere la
capacità di tradurla in uno spartito. Ma sarebbe anche stupefacente saper usare
le parole, non nella maniera di tutti i giorni, ma come strumenti per creare
poesia o delle favole. E come sarebbe divino poter avere il controllo del
proprio corpo per poi sfrenarlo nei movimenti della danza fino a giungere all’estasi
dei dervisci. Tutte queste cose, o anche una sola, per buttarci dentro la
propria anima, nascondendola tra i segni o manifestandola senza pudore per chi avesse
il dono di riconoscerla. E parlare così di quei sentimenti che non devono
essere detti, delle emozioni che vanno celate, delle visioni che non possono
essere spiegate. L’arte come paravento dell’anima. Perché di un paravento si ha
bisogno per nascondere la propria debolezza o solamente le pulsioni del cuore.
Per non piangere al momento di un addio o per non gridare quando si sente un
graffio dentro; ma anche per urlare quando non è permesso o per volare pur
senza ali. Però il tocco dell’artista è riservato solo a pochi ed a chi non è
concesso questo privilegio rimane solo una speranza: fidarsi dell’amore. Dell’uomo
verso una donna, del genitore verso i figli, o sotto forma di compassione che tutto
abbracci. Forse, e mai dubitativo fu più opportuno, questo sentimento,
immateriale ma pesantissimo, è il solo legame che parla senza parole e fa
capire senza spiegazioni. E’ una strana magia che rende possibile il tenersi
per mano al di là del mare e di abbracciarsi per telefono. Altrimenti si è
soli.
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