Non c’era un motivo preciso. Forse era solo la voglia di
crescere o il brivido di una piccola trasgressione, ma ero deciso a fare
quell’esperienza tanto comune tra le persone adulte ed assolutamente vietata ai
bambini. Sembrava quasi un rito d’iniziazione, un passaggio tra l’infanzia e
l’adolescenza, tra la bicicletta ed il motorino. Era un po’ lasciare
l’abbraccio della tata per trovare quello di una ragazza, di una donna,
dell’altro sesso, con tutto il mistero ed il fascino che quell’ignoto mondo prospettava.
Staccarsi dal nido, protettivo e caldo, della famiglia per buttarsi nella
strada senza protezione, ma con spavalderia. Lo sapevo che era una cosa
stupida, che non aveva nessun senso e che forse faceva male, ma in qualche modo
sembrava essere il segno distintivo per far parte dei “grandi” che della vita
conoscevano quello che io ancora immaginavo solamente. Inoltre quella sera
c’era la luna piena, e sul terrazzo di casa un chiarore lattiginoso creava
ombre romantiche e piene di mistero. Le piante nei vasi si agitavano lievemente
nella leggera brezza notturna ed il profumo dei primi gelsomini rimandava a
notti d’oriente ed odalische velate, come sul libro che stavo leggendo. Mi
sembra fosse primavera perché certamente non faceva freddo, o forse io non lo
sentivo, ammaliato da quella fatale ed indimenticabile serata. La spinta
decisiva fu un disco che avevo appena comprato. Parlava di un addio tra due
innamorati e, non so perché, in qualche modo mi solleticava il cuore facendomi
fantasticare di imminenti romantiche avventure. Presi in mano il veleno e, con
circospezione, assicurandomi che tutti fossero a letto, varcai la porta
finestra senza accendere alcuna luce. Per prima cosa controllai che la
tartaruga avesse mangiato la foglia di lattuga che gli avevo lasciato, ma
questo fu l’ultimo atto legato all’infanzia prima della svolta decisiva. Per
creare la giusta atmosfera, avevo portato con me il mangiadischi ed inserii il
45 giri nella fessura tenendo basso il volume. Un tempo le canzoni si sentivano
a ripetizione, ed ogni volta che l’apparecchio risputava il vinile, lo
ricacciavo dentro per riascoltare il brano. Venne il momento e quindi, sapendo
di fare una cosa vietata, con animo rivoluzionario, misi le mani in tasca. Mi
ero preparato da tempo, ma solo in quel momento, ed aiutato da Maurizio dei New
Dada, presi il coraggio a due mani. Inforcai tra l’indice ed il medio il bianco
cilindretto e, spavaldamente, l’avvicinai alla bocca. La fiamma di un cerino
infocò il tabacco ed io detti la prima boccata. “Cinque minuti e poi…” cantava
lo zazzeruto beatnik, ed un conato di vomito sottolineò la sua melodia.
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