Devo dire
che ero anche un po’ contrariato. Avevo in agenda un appuntamento di lavoro nei
pressi di via Veneto ed, all’ultimo momento, proprio mentre stavo entrando nel
portone, mi giunse telefonata che, con mille scuse, rimandava l’incontro. Accadeva
qualche giorno fa, verso metà novembre, in un pomeriggio autunnale che, come succede
a volte, aveva truccato Roma con tutte le sfumature del rosso e del giallo
facendola sembrare ancora più bella. Approfittando del regalo di
quell’inaspettato tempo libero, decisi di fare una passeggiata a Villa
Borghese. Lasciai la macchina al parcheggio ed, attraversata Porta Pinciana,
entrai nel parco dalla parte della Casa del Cinema. Potrei dilungarmi nel
descrivere la magia di quell’oasi di pace nel cuore della città e di come tante
volte, per fretta o disattenzione, non ci rendiamo conto della fortuna di
vivere a contatto con meraviglie della natura e dell’arte, ma basti dire che il
cipiglio ingrugnito con il quale misi piede sulla prima aiuola, si trasformò in
breve in un sorriso quasi di beatitudine. Allungando il passo mi diressi verso
Piazza di Siena, mentre intorno a me il silenzio era rotto soltanto dallo
scroscio delle fontane e dalle voci dei bambini che giocavano rincorrendosi.
C’era pochissima gente, qualche mamma con la carrozzina e sparuti volenterosi
uomini di mezz’età che, correndo e sbuffando, sembrava stessero scontando una
pena che si erano inflitti da soli. I raggi del sole al tramonto bucavano le
fronde dei pini disegnando arabeschi di luce in movimento, e tutto l’insieme
faceva pensare di aver varcato la soglia della realtà per entrare in un mondo
al di fuori del tempo. Decisi di sedermi
su una panchina per pensare un po’ ai casi della vita, ma volevo trovarne una
che non fosse all’ombra. Mi guardai intorno e l’unica che mi sembrava adatta
era già in parte occupata. “Guarda quello – pensai – mancano ancora svariate
settimane alle Feste ed è già travestito da Babbo Natale. Deve essere la pubblicità
di un negozio o per un parco giochi, anche se ritengo sia un po’ presto.” Mi
sedetti accanto a lui e, per educazione, gli rivolsi un:
-Salve! –
L’uomo mascherato, comodamente seduto e con le mani intrecciate sul pancione, sentendo
il saluto, alzò il capo e rivolse lo sguardo verso di me. Notai subito come
fosse truccato con maestria. Infatti barba e capelli, bianchissimi e lunghi,
sembravano proprio i suoi, attaccati benissimo al faccione rubizzo ed
acconciati con molta naturalezza. Anche le rughe sul viso avevano un aspetto
genuino e, nell’insieme, sembrava proprio un vecchio normale, anche se un po’
sovrappeso e vestito di rosso. Forse aveva voglia di chiacchierare e mi rispose
con un vocione profondo:
-Buona sera,
signore.
-Non vorrei
disturbarla – dissi io – se vuole mi sposto.
-No, non si
preoccupi, non mi disturba affatto. Stavo solo prendendomi una pausa nel giro
di prova che faccio sempre sul tragitto che poi percorrerò per lavoro.
-Ah,
capisco: molto professionale, da parte sua. Conoscere le vie più adatte, e
magari maggiormente affollate, dove portare un messaggio promozionale, mi
sembra la premessa per riscuotere un buon interesse. – In realtà mi interessava
pochissimo dell’attività di quel pover’uomo che immaginavo costretto a
camminare per le vie del cento con un campanaccio in mano gridando ogni tanto
“Ohh, Ohh, Ohh,” ed il nome del suo datore di lavoro, ma mi sentivo
particolarmente rilassato e mi faceva piacere scambiare due parole. “Che
strano!” Esclamerebbe chi dei miei conoscenti, mi avesse visto in quel momento.
Io, per carattere, sono…diciamo riservato, qualcuno direbbe scontroso o peggio,
ed attaccare bottone con gli sconosciuti non rientra certamente tra le mie
abitudini ma, chissà perché, allora mi sembrò assolutamente naturale.
-Sono talmente
tanti anni che faccio la stessa attività che ormai penso di essere esperto, ma
un sopralluogo in anticipo non fa mai male. – continuò il vecchio.
-Giusto. E
che giro farebbe? Solo per le vie del centro della città o anche in periferia?
-No, no, la
mia attività è molto più vasta. Consideri che parto dal Polo Nord e poi vado un
po’ dappertutto. – “Ahh” - pensai divertito - “vuoi giocare a fare il
personaggio, eh briccone? Bene, adesso voglio proprio vedere se ne sei
all’altezza”. Bisogna sapere che se ci fosse una cattedra di Babbonatalogia
all’Università, io ne potrei essere comodamente il professore o, quanto meno,
l’assistente più preparato. Fin da bambino sono stato affascinato dalla favola
del Natale e penso di sapere ogni vicenda relativa al vecchio portatore di doni
ed a tutta la combriccola dei suoi aiutanti. Nella libreria della mia cameretta
ci saranno stati almeno una ventina di libri, più o meno illustrati, relativi a
storie, racconti e notizie inerenti la notte del 24 dicembre, con leggende e
tradizioni provenienti dai più svariati paesi. Sono, quindi, un profondo
conoscitore della materia e se il vecchio voleva provare a fare l’attore con
credibilità, avrebbe dovuto passare il mio esame, ma ero sicuro di prenderlo in
castagna.
-Polo Nord,
dice eh? A proposito, non ci siamo presentati. Io mi chiamo Stefano, lei?
-Klaus, Babadimiri,
Gaghant Baba, Sinterklaas, Papai Noel, Viejito Pascuero, Weinhachtsmann, Ayioc
Bασiλης, Noel Baba, Saint Nick e svariati altri. Per semplicità, facciamo solo
Klaus.
-Klaus,
bene. Dunque, dicevamo, lei partirebbe da Helsinki con la slitta?
-Rovaniemi,
per la precisione. Sempre in Finlandia, ma un piccolo villaggio sperso ai
confini del Circolo Polare Artico. Si, con slitta e renne, anche se ogni anno
sembra che agli animali vada sempre meno di farsi una sgroppata notturna. –
“Bravo- mi dissi- hai superato il primo tranello sul nome del luogo di
provenienza. Ma adesso, caro mio, viene il difficile per te”.
-Si, si
certo, Rovaniemi. A proposito delle renne, dodici vero?
-Nooo, cosa
dice? Già mi danno da tanto fare quelle otto, che ci mancherebbe fossero di
più.
-Con,
aspetti…Rudolph, quella con il naso rosso, in testa.
-Ah,ah,ah! -
Quasi mi spaventai all’improvvisa risata
dell’uomo: sembrava lo scoppio di un tuono e ci fu un frullio d’ali tra i rami
dei pini intorno a noi: gli uccellini che si erano fermati ad ascoltare,
volarono via spaventati.
-Questa è
una storia del tutto inventata. – continuò il tipo dopo essersi ripreso dal
momento di ilarità – La renna col naso rosso che si accende quando di emoziona:
che stupidaggine. E’ stato soltanto il personaggio di un fumetto, del tutto
irrealistico! Per fortuna che le altre renne non sono permalose, nessuno si
ricorda il loro nome.
-Neanche
lei?
-Caro
signore, sono vecchio ma ancora non del tutto rincitrullito. Dasher, Dancer,
Prancer, Vixen, Comet, Cupid Donder e Blitzen si offenderebbero moltissimo se
mi dimenticassi come si chiamano.
-Capisco, ma
mi parli un po’ del suo lavoro. Mi sembra un chiaro esempio di mansione
part-time, diciamo uno stagionale. A parte la notte del 24 dicembre, che deve
essere un vero inferno per lei, negli altri 364 giorni è tutta vacanza o si
trasferisce alle Maldive a fare il capo villaggio alla Valtur? – Mi rendo conto
che non ero molto cortese con il mio tono da presa in giro, ma cercavo di
stuzzicarlo un po’ per vedere se, innervosendolo, gli avrei fatto svelare la
sua vera identità. Il vecchio capì immediatamente le mie intenzioni e mi
accorsi che era tentato di rispondermi per le rime, ma decise di far finta di
niente continuando la conversazione. Assumendo il tono di un maestro paziente
mentre parla con lo scolaro capoccione, così rispose:
-Sarebbe come
a dire che uno scalatore fatica solo il giorno che arriva in vetta, mentre è
chiaro che tutto il resto del suo tempo gli serve per prepararsi a raggiungere
la meta. Il mio lavoro, anche se non lo chiamerei proprio così, si svolge nella
stessa maniera. Undici mesi a preparare le consegne e solo un giorno per
effettuarle. La sfido a trovare qualcosa di più difficile.
-Deve avere
una bella organizzazione alle spalle. Si appoggia a qualche industria o
laboratorio dalle sue parti?
-Ogni cosa è
artigianale, caro amico. Ho una bella squadra di elfi che sanno fare di tutto.
-E lei
organizza?
-Io, come si
dice oggi, sono il front man, faccio public relations, curo la mail list e mi
occupo dell’advertising. Poi c’è un folletto che si chiama Alabaster Snowball
che verifica la lista dei bambini buoni, Bushy Evergreen che ha inventato e
gestisce la macchina che rende magici i regali e gli operai: Askasleikir,
Bjugnakraekir, Faldafeykir con tanti altri. Senza dimenticare le follette Sugarplum
Maria, conosciuta anche come Mary Christmas, che assiste mia moglie nel
preparare i dolci e Wunorse Openslae responsabile della slitta e delle renne.
Tutti indispensabili.
Ero stupefatto,
quell’uomo aveva tutte le risposte e le raccontava come fossero vere. O
possedeva una fantasia fuori dal comune oppure era un pazzo del tutto
immedesimato nel personaggio che stava interpretando. Oppure…c’era un’altra
possibilità. Ma cosa andavo a pensare? Mi stavo facendo suggestionare dall’indubbio
fascino del vecchio pancione. Avevo creduto di essere tanto furbo ed invece mi
aveva smontato con il candore della sincerità. Non sapevo più cosa dire e
rimasi in silenzio con la mente in subbuglio. Cosa mi stava succedendo, mi ero
rimbambito tutto ad un tratto o stavo vivendo un momento eccezionale? Quello
stesso momento che tante volte mi ero immaginato alzandomi di notte per andare
in salotto a vedere se sotto l’albero fosse comparso qualche pacchetto che non
c’era la sera prima. Ricordo che controllavo se, nel piattino che avevo
lasciato con un mandarino ed un bigliettino di dedica, ci fosse rimasta solo la
buccia, in segno di gradimento. E di com’ero contento quando mi accorgevo che c’erano
i regali e che il frutto era stato gradito. Lui doveva essere passato ed aveva
ritenuto che fossi stato abbastanza buono, tanto da lasciarmi i doni; anzi “molto
buono” perché c’erano tanti doni. Ma mi rimaneva sempre un piccolo rimpianto
nel cuore: quello di non riuscire mai ad incontrare Babbo Natale. Forse adesso,
ormai anziano e disincantato, il prodigio si era avverato.
Il sole era
ormai calato, e lungo i vialetti di Villa Borghese i lampioni spandevano una
fioca luce giallognola. Un velo di umidità nell’aria offuscava tutte le forme
ed un ultimo viandante, avviandosi verso l’uscita, buttò lo sguardo su una
panchina dove non seppe distinguere se fossero sedute due figure oppure una
sola.
-Stefano,
quanti anni hai?
-Tanti da
non credere più alle favole, caro Klaus.
-Non si è
mai troppo vecchi per credere alle favole. Se si perde il gusto di lasciarsi
prendere per mano dai sogni e farsi trasportare dove la vita non ha peso ed
all’orizzonte c’è la speranza, non vale la pena di vivere.
-Si, credo
tu abbia ragione, caro…ti posso chiamare: Babbo Natale?
-Ah,ah,ah!
Così mi piaci. Fai come vuoi, e ricorda che non sempre tutto è come appare e che
il mondo è pieno di cose misteriose. C’è sempre qualcuno che pensa a te e, se
apri il cuore, lo saprai riconoscere. A proposito, quei mandarini erano
buonissimi. Adesso devo andare, ciao Stè!
Il vecchio
vestito di rosso si alzò dalla panchina sbuffando un po’, poi scrollandosi
qualche foglia dal cappello col pon pon si diresse dietro un gruppo di
cespugli. Dopo poco udii degli scampanellii e dei versi strani, finché tra i
vecchi pini non risuonò un allegro: “Oh, oh, oh, vai Rudolph!” e una lunga
ombra nera preceduta da una luce rossa sfrecciò nel cielo, verso la luna piena.
Ma come, non aveva detto che Rudolph…Vecchio burlone!
Tantissimi auguri di buone feste Stefano.
RispondiEliminaUn abbraccio Patri