mercoledì 13 aprile 2016

Praga a.d. 1580.

Praga a.d. 1580.



-Rabbi, è notte fonda, andate a coricarvi che i vostri occhi richiedono riposo.

-Jizchak, fedele genero mio, la parola del Signore non affatica mai, ma consola. Durante il giorno dobbiamo tutti essere partecipi delle miserie dell’umanità, ma la notte possiamo ritrovare, negli insegnamenti di Yaweh, la ragione della nostra esistenza. – Il Rabbino Jehuda Low ben Bezalel era a capo della comunità ebraica di Praga da molti anni, nei quali la sua reputazione di uomo giusto e sapiente era cresciuta fino a farlo diventare una delle figure più rispettate ed autorevoli non solo tra la sua comunità, ma anche per le autorità civili della città e dell’Impero. Si diceva che avesse influenzato anche Rodolfo II d’Asburgo convincendolo a trasferire la capitale da Vienna a Praga per poter meglio difendere, sotto la diretta protezione dell’Imperatore, il popolo eletto dai suoi tanti nemici. Anche se il sovrano non avrebbe di certo potuto andare contro la Chiesa di Roma, il popolino si diceva sicuro che, nelle notti di luna nuova, i due personaggi si ritrovassero in una delle botteghe alchemiche del “Vicolo d’oro” per esperimenti al confine tra la scienza e la magia.

- Cos’è, Rabbi, che tanto vi angustia?

- Vedi, sono preoccupato per la nostra gente. Colui di cui non si può pronunciare il nome, sembra che ancora ci voglia mettere alla prova armando la mano di chi non si riconosce nei suoi insegnamenti. Mi sono giunte voci che si sta preparando un nuovo pogrom e sangue innocente potrebbe essere sparso per le strade di Praga.

- Ma noi possiamo contare sull’alleanza con il Dio che fermò la mano di Abramo in difesa dell’innocente Isacco, per essere certi che, nel momento del pericolo, Egli saprà confondere chi ci perseguitasse.

- La tua e la mia fede sono grandi, ma io mi sento responsabile per i fratelli nel Signore, e voglio fare qualcosa che li possa aiutare.

- Illuminatemi, Rabbi, affinché possa servirvi.

I vecchio rabbino sembrò quasi non aver sentito le ultime parole del discepolo e, col capo chino, chiuse gli occhi in un raccoglimento pensoso. Sul volto, segnato da mille rughe, sembrava fossero scritte tutte le pene che secoli di diaspora e l’odio dei gentili avevano arrecato a coloro i quali erano solo colpevoli di seguire la parola dell’unico vero Dio. La luce della candela accanto al libro sacro aperto sul tavolo, danzando spiccava piccole scintille mentre l’oscurità regnava negli angoli della stanza arredata con dignitosa parsimonia. Tra quelle poche suppellettili ed in solitudine, Rab Low ritrovava il contatto con la sua anima e con il Creatore di Tutte le Cose che, fedele alla Santa Alleanza, sapeva guidare l’intelletto dello studioso per il bene dei suoi figli. Dopo qualche tempo si riscosse e, come se si fosse determinato ad una decisione gravosa ma inevitabile, alzò gli occhi verso il discepolo.

- Ebbene, procurati una quantità considerevole di argilla, convoca Jackob e vediamoci domani, all’ora quarta della notte, sulle rive della Moldava.

- Come volete, Rabbi, per la gloria del Signore e la salvezza del suo popolo.

Una bassa e fitta nebbia calò quella notte su tutta la città di Praga e sulle rive del suo fiume. Nessuno aveva l’ardire di aggirarsi per le strade ed i vicoli di Malá Strana o di Staré Město, e tanto meno di avventurarsi vicino alla Moldava dove diavoli, di puro spirito ed in carne ed ossa, aspettavano di ghermire ogni essere vivente per depredarlo di ogni avere materiale e dell’anima sua. Ma con la sicurezza del Giusto, i tre personaggi, il rabbino con i due aiutanti, si ritrovarono nei pressi di un’ansa del largo corso d’acqua, dove i flutti si scontravano con delle rocce affioranti creando mulinelli e vortici che, da secoli, erano l’ultima via d’uscita per i disperati che più non sopportavano le miserie dell’esistenza.

-Fratelli, ponetevi agli angoli del blocco d’argilla. Tu, Jizchak, sarai il fuoco; Jackob rappresenterai l’acqua; io sono l’aria e, insieme a quella terra, avremo così ricomposto la tetrade richiesta dagli antichi riti.

Il rabbino cominciò recitando le formule scritte nel Libro della Creazione, o Sefer Yezirah, ed a poco a poco l’ammasso informe prese sembianze umane. Al termine del rito, Rab Low mise nella bocca dell’essere uno “Shem”, che significa: nome, ovvero il nome di Dio, scritto su una pergamena e tutti e tre contemporaneamente, piegandosi verso i quattro punti cardinali, pronunciarono le parole “E soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo diventò un essere vivente” All’ordine dell’officiante, il Golem si alzò e venne vestito come un servitore del Tempio e apparve come un normale uomo, ma senza l’uso della parola. Venne chiamato Josef e sulla sua fronte fu incisa la parola Emeth, verità. Secondo le intenzioni del rabbino, il non-uomo doveva combattere contro i persecutori e, non essendo vulnerabile, risultare un baluardo invincibile e un fedele protettore, spaventando e scoraggiando chi si fosse rivolto contro la comunità ebraica.

Dal diario di Rab Low: “Misteriose e terribili sono le vie del Signore, Dio di Israele. Quello che Lui creò ed ogni cosa che, per Suo tramite, l’uomo realizza, sono solo cenere e polvere, melma e strame. Illuso è colui che crede di poter attraversare le vie del Signore e modificarne il tracciato, solo pianto e contrizione saranno le ricompense per il suo ardire. Anch’io mi macchiai del peccato di orgoglio volendo sostituirmi all’Altissimo che solo può infondere la scintilla di vita nelle inermi sostanze quando, mosso dalla compassione e per difendere il popolo dalle armi dei nemici, detti vita al Golem. Ma fui in breve punito. Quell’essere, che di umano aveva solo il sembiante, per qualche tempo stette ai miei ordini, ma poi si ribellò. Non so, e solo l’Onnisciente ha la risposta, perché il fantoccio d’argilla perse d’un colpo la sottomissione ai miei comandi, ma quello che doveva essere un possente alleato, divenne una creatura impazzita ed incontrollabile. Invece di soccorrere i deboli divenne più feroce della fiera più selvaggia, aggredendo senza motivazione tutto quello che trovava alla sua portata. Dovetti rimediare, e fare penitenza, e così feci.”

Il Golem non aveva bisogno di dormire, ma ogni giorno all’alba, dopo le sue scorrerie, tornava nella Sinagoga dove, per i primi tempi, era stato alloggiato dal rabbino, e si coricava su di un pagliericcio chiudendo gli occhi. Sulla fronte ancora recava graffita la parola Emeth. Il rabbino, mentre quello sembrava incosciente, cancellò dalla sua fronte d’argilla la prima “E” e l’iscrizione divenne: Meth, ovvero Morte, e tale fu la fine del Golem.

-Rabbi cosa ne dobbiamo fare di quest’uomo di terra?

-Non mi sento di distruggerlo del tutto – rispose il vecchio – forse, un domani, qualcuno più illuminato di me potrebbe riportarlo in vita. Chissà, la volontà del Signore è imperscrutabile. Aiutatemi, trasportiamolo nella soffitta della Vecchia Sinagoga e che il tempo sappia maturare la saggezza degli uomini per renderli in grado di imparare dai miei errori.

Nessuno, tra i successori del rabbino, ha mai voluto andare contro la volontà di Rabbi Low e, ancora oggi, sotto le volte antiche del Tempio di Praga, c’è un ammasso di argilla con le sembianze d’uomo che aspetta di riprendere vita.