venerdì 19 febbraio 2016

L'Angelo Custode

Aveva appena conquistato le ali e ne era orgoglioso. Non era stato facile superare tutti gli esami teorici e pratici per avere il brevetto. Aveva dovuto studiare l’anatomia degli esseri viventi volanti, dalle api alle aquile, e far tesoro della tecnica del battito e dell’armonia del movimento. Poi era stato portato in alto nel cielo e lasciato andare per vedere come se la sarebbe cavata. Beh, le ali non sono braccia e sono attaccate dietro la schiena: non è semplice controllarle a dovere. Ma, siccome era un angelo, dopo un primo momento di rodaggio, prese il via ed in breve fu pronto ad entrare in servizio. Come tutti i suoi colleghi doveva fare una sorta di apprendistato che l’avrebbe portato a fare carriera nella professione sino ad assumere il titolo di “Serafino” nella prima sfera dei cerchi angelici. Il primo gradino consisteva nel prendere in carico un essere umano e diventare il suo Angelo Custode. E’ un compito gravoso e misconosciuto lavorare per quegli ingrati mortali che non vogliono credere a niente che non sia sotto il loro naso. Se sentono una corrente d’aria sfiorarli, dicono che forse c’è una porta aperta; un frullio strano nelle orecchie lo prendono come l’inizio di una labirintite e l’inaspettata esitazione prima di attraversare la strada la imputano alla fortuna che li ha trattenuti proprio mentre stava passando una macchina. Gli animali umani dovrebbero capire che c’è qualcuno intorno che li sorveglia e che tiene loro una mano sulla testa, mentre, da soli in balia delle forze negative dell’universo, non riuscirebbero a cavarsela nella jungla del mondo. Mebahel, il nostro caro angelo, ricevette il mandato di affiancarsi ad un uomo, o donna naturalmente, che fosse nato nella finestra temporale dal 26 al 31 maggio. Avrebbe dovuto testimoniare ed infondere le virtù che rifulgono nel perseguimento della Libertà e della Verità nonché sussurrare nell’orecchio destro i consigli giusti per la retta via. Già perché nell’altro padiglione auricolare, a sinistra, poteva trovarsi uno spiritello maligno che si sarebbe potuto divertire a fomentare la parte peggiore di quella banderuola d’uomo, e lui aveva il compito di contrastarlo facendo prevalere la destra sulla sinistra, senza nessun riferimento politico. Si crede che gli angeli, in quanto asessuati e fatti di puro spirito, non provino emozioni, ma non è assolutamente vero. Ridono e piangono con il loro assistito cercando di consolarlo o di indirizzarlo per il meglio ma, purtroppo, rimangono spesso inascoltati. Mebahel, dovendo iniziarsi alla professione, era nervoso come San Pietro quella volta che non trovava più le chiavi. La madre del suo affidato era in pieno travaglio e lui, svegliato dal suono della piccola sfera d’argento che la donna indossava, si precipitò in picchiata nella sala parto dell’ospedale. Giunse appena in tempo per mettersi vicino all’ostetrica mentre il pargoletto era pronto per venire alla luce. La levatrice prese la testa del bambino con le mani ma, forse distratta nella routine di un compito che ripeteva quotidianamente, fu sorpresa dalla viscidità di un residuo di placenta e… a momenti il neonato cadeva per terra! La donna non si spiegò mai come fece a riprendere il corpicino tra le sue braccia senza quasi rendersene conto, ma Mebahel, che le era accanto, si deterse una stilla di etereo sudore dalla fronte, compiacendosi per come fosse stato tempestivo il suo intervento in soccorso del bambino. Questo fu il primo aiuto dell’Angelo Custode, ma molti altri ne sarebbero seguiti lungo tutto l’arco della vita di quel futuro uomo.
Quando alla mattina capiterà di svegliarsi avendo chiara la soluzione di un problema che, andando a letto la sera prima, sembrava insolubile, i più cinici crederanno che il loro inconscio abbia lavorato durante il sonno. Può essere, ma chissà che invece non sia stato l’intervento di un vecchio, invisibile amico?


Dalla Qabbaláh (Cabala) - MEBAHEL “Dio conservatore”. Angelo 14 tra i 72 angeli della Shemhamphorash (o “Nome Diviso”) che presiedono le zone celesti e affiancano Dio nelle Sue azioni. Coro degli Angeli Cherubini. Da 5° a 10° dei Gemelli. Angelo Custode dei nati dal 26 maggio al 31 maggio. Dono accordato: Verità e Libertà

lunedì 8 febbraio 2016

La terra screpolata

Non pioveva da giorni, o forse mesi, e tutto sembrava avere sete. La terra era screpolata e polverosa, gli alberi scuotevano nel vento i rami dalle foglie argento e verde, ed anche i cani penzolavano la lingua come fossero in cerca di particelle di umidità sospese nell’aria. Dovevo raggiungere una masseria a pochi chilometri da Fasano, in aperta campagna. La macchina presa in affitto arrancava per un tratturo dritto e bianco delimitato da due muretti di pietre a secco che interrompevano la schiera sterminata di ulivi da una parte e dall’altra della strada. Davanti ancora una collina e dietro una nuvola di povere che annunciava e nascondeva il mio passaggio. Il viaggio era stato faticoso e lasciare il lavoro in un momento che sembrava sbagliato aveva comportato una serie di contrattempi che ero certo non sarebbero stati ripagati. Ero stato quasi costretto a scendere in Puglia, non mi sentivo di mancare all’ultimo saluto al solo parente rimasto nella mia terra d’origine. Guidando pensavo al lavoro, alle mille grane lasciate e che avrebbero aspettato il mio ritorno e, come ormai facevo quasi automaticamente, allungai una mano in tasca a prendere la mia adorata pillola che da tempo era diventata socia nella gestione degli affanni. Per fortuna non c’era campo ed il telefonino tornava ad essere solo un oggetto e non il Grillo Parlante che mi richiamava costantemente ai miei doveri. E allora, tanto valeva gustarsi la passeggiata e, per meglio godermi il momento, spensi la radio.
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Ricordavo bene la fattoria nella quale avevo trascorso tante estati della mia infanzia fino alla morte della nonna. Dopo aveva continuato a viverci da solo zio Guelfo e, siccome con mio padre non andavano d’accordo, da allora non ci ero più tornato. C’era una grande aia con ai lati la conigliera ed il pollaio, mentre al centro si ergeva solitario un contorto albero secolare. Mi avevano detto che doveva avere più di mille anni e, con la fantasia, immaginavo gli antichi romani, Gesù e Pecos Bill che trovavano riparo sotto le sue fronde maestose e fatate. La casa era grande e piena di misteri; mi sembrava un’enorme balena che, come quella di Pinocchio, inghiottiva chi le passava vicino senza avere mai la sicurezza che potesse essere risputato fuori. Nonna viveva in pochi ambienti: la sua camera da letto al primo piano, la cucina ed il salone al pian terreno, e la “stanza delle cose” dove si trovava qualsiasi oggetto di cui si avesse bisogno. Tutte le altre porte, ai lati del corridoio di sopra o sul retro, erano sempre chiuse a chiave. Il mio amichetto del cuore, figlio del massaro, mi aveva detto che bastava prendere una chiave a caso di qualsiasi altro uscio che sarebbe andata bene per tutte le serrature, e quindi il nostro passatempo preferito era scoprire ad una ad una le vecchie stanze disabitate. Naturalmente di giorno, col sole alto e quando a portata di voce ci fosse stato qualcuno. Mai mi sarebbe venuto in mente di tentare l’avventura col buio o quando non mi fossi sentito sicuro. In quegli ambienti la vita era sospesa, i mobili coperti da lenzuoli bianchi, scuri dipinti alle pareti e un odore strano di muffa e d’animale. La luce filtrava attraverso le fessure delle imposte con dritte lame dentro le quali danzavano milioni di particelle di polvere, come microscopici elfi in festa su uno scivolo dal cielo. Entravo spavaldo, raccontandomi che i fantasmi non esistevano e che un tesoro era nascosto sotto al letto, ma non avevo mai il tempo di verificarlo perché al primo scricchiolio del legno di un vecchio canterano, me ne scappavo via a gambe levate. E poi le prime cacce: ai ramarri. Col fucile a piombini andavo in cerca delle lucertole e, dopo l’avvistamento, puntavo e sparavo. Mi sentivo fiero della mia prodezza, ma l’animaletto con le budella all’aria mi faceva anche pena ed un po’ schifo. Rimanevo quasi stupito nel vedere come quell’esserino un momento prima fosse in vita, e potevo vedere il cuoricino battere attraverso la pelle delicata, e poi improvvisamente era morto. Morto definitivamente e per mano mia: sentivo che forse non era giusto, o solo inutile. Le giornate, in quelle torride estati, sembravano non finire mai senza avere niente da fare, eppure il termine delle vacanze arrivava improvviso e sempre troppo presto.
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 Andavo piano, ed il rumore del motore non riusciva a sopraffare il frinire delle cicale che, insieme al vento caldo, entrava dai finestrini aperti. Forse entrò anche un granello di polvere che mi irritò gli occhi facendo scorrere delle lacrime impreviste. Fermai la macchina e scesi. Scavalcai il basso muretto di pietre e calpestai, dopo tanto tempo, il terreno di zolle e sassi. Improvvisamente non avevo più fretta, scelsi l’ulivo che mi sembrava più accogliente e mi sedetti alla sua ombra. Non sapevo più dov’ero: mi ero perso. O forse ritrovato. 

mercoledì 3 febbraio 2016

Una fotografia

E’ una fotografia che mi trafigge il cuore.
E’ il tuo sguardo che, ignaro, si abbatte su me.
Quando, incoscienti, fermavamo un attimo di vita
Nella fissità di un immagine e tutto sembrava normale,
Dovuto, in un destino tirato tra i giorni del vivere.
Ma il tuo sorriso, prima, e la tua pena, poi, nel fermo
Di un fugace scatto, soffiano sulla brace dei ricordi
Bruciando di pena e d’amore.
Mentre io vivevo, e vivo, di sponda al tuo dolore,
Perso nella ricerca di non sentire.
Non sentire e non vedere le tue lacrime,
Per non piangere su di te e su di me.
Illuso di una forza che non ho, falso nella menzogna
Di un coraggio che fingo prima di tutto alla mia anima.
E mi rifugio nelle parole, e mi inganno nella fantasia,
E sbando nell’immaginazione.
Lontano, lontano da qui, se in questo luogo
Devo conoscermi o accettare la realtà.
Vigliaccheria e sopravvivenza nuotano insieme
Nel mare di una vita beffarda ed irridente di ogni illusione
E delle fatue aspettative che, ad una ad una, si cancellano
Dal carnet di un ballo in maschera.