C’era una
volta un filo d’erba, anzi no…una montagna con la cima innevata. Un ragazzotto
camminava su quel prato senza pensare a niente, la sua giovinezza non gli
permetteva di sentire la brina che gli bagnava le scarpe, ed una canzone in
testa lo distraeva dallo spettacolo del massiccio che racchiudeva la valle.
Anche il vento gli scompigliava i capelli senza che lui se ne rendesse conto. Il
sole gli scaldava la camicia e la fatica della passeggiata lo faceva
leggermente ansimare, ma lui non se ne curava. Fischiettava, a volte cantava
qualche parola, e quel rumore spaventava i piccoli animali del bosco che si
rintanavano aspettando di veder passare l’estraneo. Ma lui non vedeva. Allora la
natura decise di sfidarlo ed improvvisamente mise in scena il tramonto più
spettacolare che la valle avesse mai rappresentato. Una sfera di fuoco rossa si
tuffò dietro un candido ghiacciaio mentre i riflessi dei raggi del sole calante
rimbalzavano sulle nevi creando mille piccole scintille. Lame di luce si persero
tra gruppi di nuvole bianche erranti nel cielo di un azzurro profondo e sereno.
L’aria tersa esaltava i colori ed ogni minimo particolare del paesaggio
spiccava distinto e nitido fino in lontananza. La maestosità delle rocce
parlava di eternità, di ordine nel creato, di vanità degli umani assilli e
nello stesso tempo suggeriva che ci fosse un senso per tante domande che mai
hanno avuto risposta. Anche il ruscello che, al lato del sentiero, scorreva fra
rocce e felci, sembrava avesse preso vigore formando mulinelli e piccole
cascate e facendo sentire forte lo scroscio dei flutti spinti dalla corrente.
Ma il ragazzotto continuava la sua passeggiata, non vedeva, non sapeva
guardare, non capiva, non si rendeva conto di essere anche lui parte di un
creato perfetto e terribile. Finché, distrattamente, dette un calcio ad un
sasso. Sembrava piccolo e lui pensava di gettarlo lontano, ma era ben interrato
e fece ostacolo al colpo. Il ragazzotto si fece male; provò un acuto dolore al
piede e si fermò per controllare se fosse ferito o contuso. Improvvisamente, a
fronte del dolore, quella sorta di felicità di qualche attimo prima svanì. Il
ragazzotto pensò a quanto fosse stato sfortunato e, nel massaggiarsi la
caviglia, finalmente alzò lo sguardo. Era giovane, la pena passò presto.
Riprese la sua strada ed a fischiettare la canzonetta. Dietro di lui tutto
rimase com’era, continuando nell’eterno suo ciclo. La valle presto ne dimenticò
il passaggio.
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