domenica 31 maggio 2015

Tra l'hippy ed il travet

Border line, tra l’hippy ed il travet: potrebbe essere il mio epitaffio. In una terra di nessuno dove si incontrano l’illusione di volare e la consapevolezza del quotidiano, quando il dovere annichilisce i sogni e la realtà doma la fantasia, vivo la mia vita. Ma nessuna delle due personalità prende il sopravvento sull’altra e su questo “rollercoaster”, acceso da mille notturne suggestioni, viaggio e mi spavento confrontandomi con chi non conosco dentro di me. Una musica, pochi versi, un vigliacco flashback aprono visioni irreali e irrealizzabili che poi svaniscono, sopraffatte, con ragione, da tante vere istantanee. E’ giusto? Forse no, se la canizie sulle tempie riporta alla composta sobrietà di un uomo più anziano che di mezz’età. Ma come sotto il manto freddo e bianco di un campo innevato giace il bulbo di un fiore in attesa della primavera, così nascosto sotto strati di vita non muore l’arcobaleno di chi un giorno prenderà l’Harley verso il sole di mezzanotte. Oppure mi basterà raccontarmi che ancora c’è tempo, che la strada mi aspetta, che potrei farmi un altro tatuaggio. Per poi tornare a fissare la sveglia sulle otto e mezzo, e ringraziare Dio per il sorriso che mi incrocia sopra la tazzina da caffè della prima colazione.

giovedì 28 maggio 2015

Rag Doll


A volte mi vorrei ignorare, anzi mi sto anche un pochino antipatico. Altre mi piacerebbe indagare il funzionamento del contenuto di quella boccia grigia posta tra le mie orecchie. In particolare perché, pur essendo un organo a mia disposizione, prende delle iniziative ed ha dei comportamenti che denotano una riprovevole indipendenza. Va bene il pilota automatico, utile mentre si compiono azioni abituali che non richiedono particolare attenzione, oppure lo “storage” in cassettini più o meno facilmente accessibili di informazioni anche a livello inconscio, ma quando sono indotto a comportamenti compulsivi involontari: non ci sto. La sera, come detto in altre occasioni, spesso sento la musica che mi piace, magari scrivendo o leggendo o semplicemente per fare ora in attesa del sempre più riluttante Morfeo. Quindi, dalle cuffie, ricevo vari input che, evidentemente, rimbalzano tra le temporali, l’occipite ed il frontale come la pallina impazzita di un flipper. Qualcuno, dopo aver acceso bersagli, innescato relè e campanellini vari, si dissolve, altri invece sembrano svaniti ma restano nascosti, forse in uno di quei cassettini chiuso male. Fatto sta che, come dispettosi topolini, riescono fuori e si ripresentano in qualsiasi momento della giornata senza nessun senso di opportunità. Capita con le canzoni. Non, si badi bene, con la musica importante, che pure ascolto, tipo sinfonie, arie d’opera o grandi melodie, ma con elementari riff di musica leggera, tanto più persistenti quanto maggiormente popolari ed, a volte, volgari. Così può avvenire che mentre sto scrivendo una focosa lettera ad un fornitore inadempiente o nel bel mezzo di una conversazione thriller con il funzionario di banca, piuttosto che mentre parlo al telefono in inglese con la dovuta attenzione a cercare i termini giusti, mi trovi a canticchiare una strofetta. La accenno col labiale o rimane riservata nel pensiero, ma si intrufola inopportuna. Anni di conoscenza del fenomeno, lunghe sedute di training autogeno e la disciplina zen mi hanno reso padrone delle mie esternazioni riuscendo a mantenere l’esteriore compostezza, ma alla guida dello scooter o mentre mi consento piccole distrazioni, il motivetto riaffiora. Il fenomeno può durare dalla sveglia del mattino fino al momento di godere del meritato sonno dei giusti, ma a volte si ripresenta infido per anche per le successive giornate. Mentre vergo questa nota, batto con i denti il ritmo del brano allegato che ho scaricato da “you tube” ieri sera e che non mi ha ancora abbandonato. Però mi fa rabbia perché, tornando al dispettoso organo di cui sopra, quando cerco di rammentare la data di nascita dei miei figli mi imbroglio regolarmente, ma al titolo “Rag Doll” associo immediatamente “Frankie Valli” con relativo refrain. Non mi sembra corretto.




https://www.youtube.com/watch?v=kJY83Ehuq1Y

martedì 19 maggio 2015

La Bella Signora

Era una bella signora. Forse un po’ demodé, con il lungo cappotto nero bordato in lapin e la grande borsa tenuta in grembo. Si vedeva dai lineamenti regolari del volto, e dalla ciocca di biondi capelli che sfuggiva alle forcine, che ai suoi tempi doveva essere stata una ragazza di rara bellezza. Di quella avvenenza semplice e vera che sa di natura e di campi di grano. Seduta sulla sedia della sala d’aspetto, manteneva una altera dignità che il laido luogo, scenario di tanti dolori e solitudini, non riusciva a toccare. La traslucida fotografia che, indiscreta, aveva scrutato dentro di lei, rimaneva nascosta nella grande busta paglierina ben stesa sulle sue ginocchia. E’ chiaro che la signora, se non altro che per educazione, aveva accettato il responso che il Professore le aveva sentenziato con poche, pesantissime parole. Adesso, scomoda, sulla seggiola di formica e acciaio, aspettava il suo turno per sottoporsi al rituale di oscure manipolazioni che sciamani con il bianco camice le somministravano in nome della speranza. Era venuta per conto suo, non voleva che la nuora si distraesse dalla cura del bambino. Sua figlia, povera brava ragazza, doveva anche aprire il negozio: non aveva tempo d’accompagnarla. Il marito l’aveva preceduta, ma non l’aveva abbandonata, se è vero che niente si cancella dall’anima ed ogni momento vissuto arricchisce la memoria di chi rimane. Si potrebbe dire che era sola, in quella triste sala d’aspetto. Un uomo anziano, pallido pallido, magrolino, che indossava uno sgualcito Borsalino ricordo di antiche velleità mondane, si avvicinò alla signora con un timido sorriso toccandosi il capello. Quante volte il vecchio, nei suoi bei tempi, aveva abbordato graziose fanciulle con l’aria spavalda e marpiona di un tomber de famme d’antan. Forse non si illudeva più che un sorriso ed una parola gentile gli avrebbero concesso lo sguardo di una donna, ma in quel luogo dove rassegnazione e speranza erano protagoniste di una eterna battaglia, piccole vanità rimanevano come riflessi di una vita ormai lontana. Con l’unico argomento che avrebbe potuto accomunarlo alla sconosciuta, si avvicinò dicendo: “Posso sedermi accanto a lei? Il Professore è molto bravo, ma sempre in ritardo.” Un cenno del capo acconsentì alla richiesta e nella grande e fredda struttura ospedaliera si avvicinarono due solitudini. E parlarono del domani.

sabato 9 maggio 2015

La lettera di Lenin

Non c’è democrazia se non c’è libertà nell’informazione. Ancora oggi, anche nei Paesi cosidetti “liberi”, i cittadini sono considerati come una massa da manipolare per i fini scelti dalle classi dirigenti. Avvenimenti che potrebbero riscrivere la Storia, o quantomeno far leggere il passato sotto un’altra luce, sono nascosti e taciuti per mantenere lo status quo e la credibilità dei governanti. Uno dei più clamorosi, tenuto regolarmente sotto silenzio dai mass media, è quello riportato dall’”Historical Report”, rivista di studi archeologici e storici, edita a Pasadena (Los Angeles County)  e ritenuta la più autorevole del settore. Ogni articolo pubblicato sul mensile viene verificato e ogni notizia riscontrata con diverse fonti per evitare falsi o valutazioni imprudenti. Questo quanto pubblicato nel numero di dicembre 2013:
LA LETTERA DI LENIN.
“Compagni, scrivo queste righe, di mio pugno, all’attenzione del Comitato Centrale del Partito, per testimoniare come si sia svolta una fase cruciale nella storia dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Prego il compagno Leonid Ilic Breznev di conservare la mia testimonianza e di renderla nota dopo la mia morte. ...(la lettera continua descrivendo gli anni della Rivoluzione, fino al punto in cui Lenin racconta la sua uscita di scena)… A questo punto era chiaro lo scontro di potere tra me e Stalin. Mi ero allevato una serpe in seno, e quest’uomo fatto solo di cieca ambizione personale, senza alcuno scrupolo politico o umanitario, sentiva la mia figura come un ostacolo alle sue mire egemoni e dittatoriali. Tentò più volte di farmi assassinare dai sicari di Dzerzinskij, allora a capo della Ceka, ma ogni volta riuscii a scamparla. Mi resi conto che entrambi non potevamo coesistere in seno al Politburo. Io non avevo la forza politica di scalzarlo e lui non riusciva, per vari motivi, a farmi fuori. Così, nella primavera del 1923 stabilimmo un incontro ed il compagno Josif mi propose il seguente accordo. Non sarei più stato perseguitato né si sarebbe attentato alla mia vita e avrei potuto continuare i miei studi in pace ritirandomi a vita privata, in cambio avrei dovuto mettermi da parte e non ostacolare Stalin nella sua brama di potere. All’epoca ero già malato, stanco e deluso da come si era evoluta la spinta rivoluzionaria del ’17, e quindi, dopo un’approfondita riflessione, accettai. Stalin ne fu entusiasta e, per avallare la mia uscita di scena in modo definitivo ed eclatante, decise di organizzare la mia morte pubblica. Negli anni della mia vita sociale mi ero attorniato di molti sosia che prendevano il mio posto nelle occasioni che si ritenevano pericolose o, al contrario, poco importanti. Non fu difficile per il Segretario far prendere e uccidere uno di questi mostrando al mondo la fine della mia parabola umana. Come estremo tributo alla mia vanità, e per legittimare la sua successione al governo, decise di far imbalsamare e poi esporre permanentemente le mie supposte spoglie alla venerazione del popolo. Quando, clandestinamente, vidi la fila fuori dalle mura del Cremlino per rendere omaggio al me defunto, mi venne in mente di fare un’ultima richiesta al dittatore. Volli assumere una nuova identità e, in incognito, essere nominato guardiano della mia stessa salma. Fui accontentato e, per un lungo tempo, truccato ed intabarrato con un’uniforme dell’Esercito, ho sostato all’ingresso del mio Mausoleo. Perché l’ho fatto? Per vedere la faccia di chi si era illuso con le mie parole e che ancora credeva nell’inganno del comunismo e di tutti i suoi velleitari dogmi di uguaglianza e fraternità. Devo confessare che, dopo una vita austera e rigorosa, negli ultimi anni mi sono divertito moltissimo guardando i visi e sentendo i commenti dei visitatori del sarcofago, ignari spettatori della più grande farsa del XX secolo della quale io stesso ero stato autore.” ... (la testimonianza finisce in maniera meno interessante per la Storia).
L’originale di questa lettera era stato mandato in un laboratorio di Houston per riscontri inequivocabili sulla datazione e per le perizie grafologiche. Pare sia stata trafugata e sono ancora in corso le indagini per ritrovarla. La CIA afferma che l’Agenzia è certa del coinvolgimento di emissari di Putin, ma non ci sono prove documentali.





giovedì 7 maggio 2015

Una trascurabile ricorrenza

Fra qualche giorno sarà il mio compleanno. Quanti ne compirò? Bah, se ne può discutere. Se il tempo è relativo, gli anni sono elastici e se il calendario è una convenzione, ci sono molti modi per calcolare lo scorrere dei giorni. Potrei orientarmi come gli Indiani d’America e contare le Lune che passano. Se dessi retta agli antichi Maya avrei l’opzione tra il calendario “sacro” di 260 giorni o quello comune dei soliti 365. Forse potrei dare retta agli Ebrei che distinguono gli anni tra “comuni” e “embolismici”, con durate differenti, e fanno iniziare il giorno al tramonto del sole, ovvero convenzionalmente alle 18. Per me andrebbe benissimo visto che io prediligo vivere di notte e alla mattina mordo chi incontro prima delle nove. Volendo essere sofisticato, avrei l’imbarazzo della scelta tra il copto, l’etiopico, il cinese, l’iraniano e così via. Ma diciamo che, ligio ai dettami di Santa Madre Chiesa, dò retta a quanto codificato da Papa Gregorio e prendo per buono il banalissimo almanacco stilato dal Santo Padre ed al quale si sono tutti conformati. Però anche così non posso rispondere alla domanda iniziale di sapere quanti anni ho. Dipende a che ora mi viene posta la questione. Alle otto, quando mi alzo dal letto risvegliandomi con un assortimento vario di dolori e malesseri, che vanno dalla botta della strega all’emicrania, direi che ho 85 anni. Dopo, al lavoro, riscendo verso la cinquantina con la necessaria dose di energia e concentrazione. Nella pausa post prandiale, quando voluttuosamente mi abbandono ad una sana pennichella, mi accartoccio sotto al plaid e mi sento come un neonato nella culla. Salvo che non vada a giocare a tennis. In tal caso mi succede di essere schizofrenico, con due identità. Quella nascosta e velleitaria che mi dice che farò una prestazione da trentenne, l’altra, vera ed evidente a tutti, che mi accomuna ai residenti di Villa Arzilla. Il pomeriggio direi che oscillo tra i quaranta ed i cinquantacinque, dipende dalle grane lavorative. La sera: il riscatto. Come immerso nella vasca di Cocoon, assorbo l’energia dell’universo e mi scrollo di dosso gli anni come un grosso cagnolone rientrando da una passeggiata sotto la pioggia. Fosse per me, e fosse un’attività un po’ meglio retribuita, farei il guardiano notturno, girando per la città a mettere bigliettini nelle saracinesche pensando e divertendomi fino all’alba. In quelle ore sono disposto a sfidare un venticinquenne su chi è pronto per un ultimo bicchiere in compagnia o per andare a prendere un cornetto caldo, appena sfornato. La cosa brutta è che torna la mattina e, come sopra descritto, mi tornano indietro tutti i lustri vissuti maggiorati di una quantità direttamente proporzionale al bagordo notturno. Quindi, quale momento prendere come riferimento per sapere quanti anni ho? In realtà non mi voglio rispondere per non rischiare di avvicinarmi a quella cifra che sta scritta sulla carta d’identità. E maledette le candeline sulla torta!