domenica 15 marzo 2015

Lacrime dal Paradiso

Lacrime dal Paradiso, mentre la mia chitarra piange dolcemente. Sulla banchina del fiume che lentamente attraversava la città, un giovane vagabondo, o un vecchio hippy, imbracciava la chitarra affidando al vento una delle due melodie. Il cuore era sofferente per un amore perso, non importa se rifiutato da una donna o strappato dal destino. Gli occhi dell’uno, o dell’altro, erano colmi della disperazione che porta solo alla fine di ogni pena o alla consapevolezza dell’esistenza. Unicamente lo strumento consolava quello o questo, e che appartenesse a questa o a quella generazione, aveva poca importanza. Le giovani dita, o quelle adunche, premevano e accarezzavano le corde dello strumento, e una struggente melodia rimbalzava da un muraglione all’altro che conteneva il lungo, indifferente, corso d’acqua. Una voce limpida, o roca, accompagnava la musica, ma le parole non erano importanti. La lirica poteva significare qualsiasi cosa per il vagabondo, o per il menestrello, serviva solo cantare e dare sfogo all’emozione. Cercava, il giovane o il vecchio, non di dimenticare la pena, ma di lenire la sofferenza, sia pure per qualche vano e sfuggente attimo. Ed ai gorghi ed alle correnti del falsamente placido spettatore, il musicista, o l’improvvisato strimpellatore, affidava il suo urlo di sgomento o il suo straziato lamento. Il fiume ne rimandava l’eco. “Se è vero fiume che tu dai la pace, fiume affatato fammela trovare.”   


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