venerdì 27 marzo 2015

Il Papa chiede aiuto?


In una recente intervista alla televisione messicana, Papa Francesco ha detto di provare la sensazione che il suo pontificato possa essere breve. Questo è stato commentato come la confidenza di una persona anziana che si accorge di come il suo compito sia quasi al di là delle sue forze. Ma ci potrebbero essere altre chiavi di lettura. Il Santo Padre, vescovo di Roma, ha intrapreso un’opera di profonda e coraggiosa moralizzazione all’interno della Chiesa. Si è schierato, ed ha fatto passi concreti, contro la pedofilia di alcuni preti, a favore della trasparenza nelle questioni finanziare vaticane e nella gestione dello IOR, contro i privilegi materiali e l’opulenza con la quale vivono i prelati e gli alti esponenti religiosi e per incitare, nello spirito francescano, affinché sia privilegiata la cura dello spirito e delle anime dei credenti rispetto agli agi ed ai vantaggi della vita clericale. E’ una rivoluzione. Significa tornare allo spirito del Vangelo e andare contro agli interessi consolidati e forti di gran parte della Curia romana. Vuol dire smantellare l’impalcatura dorata fatta di privilegi e potere che una casta di uomini, stravolgendo l’insegnamento di Cristo, hanno costruito intorno al Vaticano. Si possono immaginare le resistenze ed i malumori che serpeggiano nelle stanze di cardinali, vescovi e monsignori abituati a porpore, croci ed anelli d’oro ed al devoto rispetto dei sudditi-fedeli. Viene in mente papa Luciani che molto sembra avere in comune con papa Bergoglio. A parte il sorriso e l’atteggiamento affettuoso del Buon Pastore, ambedue sono figure innovatrici e, solo nelle intenzioni per Giovanni Paolo I, decise a far ritrovare alla Chiesa il suo vero scopo d’amore e misericordia. Non si può fare a meno, a questo punto, di pensare alla fine prematura e piena di misteri ancora non del tutto chiariti del papa veneto. Molte illazioni sono state fatte su tale morte e la più inquietante è stata quella di un coinvolgimento di interessi curiali che non volevano subire il ridimensionamento del loro potere. Quando papa Francesco dice di vedere il suo regno durare poco, vuole intendere che sente intorno a sé la forza malvagia di cospirazioni avverse che vogliono farlo fuori? E’ ovvio che il primo aiuto il papa lo chieda al Signore, ma potrebbe anche dare un segnale per mettere sull’avviso i fedeli per quello che sta accadendo o gli stessi suoi avversari per dire che non lo troveranno impreparato.
C’è anche un’altra angolazione. Papa Francesco ha letto il terzo mistero di Fatima e, forse, si riconosce in quel pontefice che viene ucciso in san Pietro mentre le forze, non del comunismo, ma dell’ISIS attaccano la sede ed il rappresentante della Chiesa Cattolica. Si può dare anche una interpretazione esoterica laddove si ricordi che Bergoglio è stato il Superiore dei Gesuiti ovvero, come è comunemente definita tale figura, il Papa Nero. Nostradamus, in una delle sue quartine, scrisse che l’ultimo pontefice prima della fine del mondo sarebbe, appunto, stato un papa nero. Il veggente francese diceva anche che l’ultimo papa avrebbe preso un nome mai prima d’allora usato da altri pontefici, facendo riferimento a Pietro. L’attuale vicario di Cristo non si chiama come il primo apostolo, ma anche lui ha scelto un nome che mai altro papa aveva avuto: Francesco. In ogni ipotesi ci troviamo di fronte a un pontificato a termine come, forse, voleva indicare il Papa in quella intervista.
Ricordiamoci che il Santo Padre, per i credenti, è ispirato dallo Spirito Santo e le sue parole hanno sempre un significato che può sfuggire o essere male interpretato, ma non è mai casuale.


mercoledì 25 marzo 2015

Scrivere



La scrittura è come un imbianchino che dipinge le mura di una casa. Le può fare di mille colori, con tutte le sfumature che vanno dal bianco della luce al nero della notte. Ogni tanto, mentre lavora, trova una persiana socchiusa e sbircia dentro. Può intravedere l’anima di chi abita quell’edificio. Se il pittore è discreto, richiude e va oltre, ma potrebbe decidere di rappresentare al mondo esterno, in qualche maniera, quello che proditoriamente ha colto. I passanti noteranno quello strano disegno, ma pochi di loro capiranno cosa c’è veramente dietro la facciata.

domenica 22 marzo 2015

Puttana Eva

Un vuoto improvviso, un tuffo al cuore, la sensazione che manchi il respiro, un groppo in gola, la voglia di piangere. Il pudore di non farlo, anche se nessuno vede. Malinconia di un tempo perduto, di tante occasioni lasciate senza riconoscere la via giusta. Rimpianti, rimorsi, colpe per azioni volute o per decisioni non prese. La maledetta notte mi fa rincontrare me stesso, e io non posso scappare. Non sono quello che avrei voluto. Vecchie immagini di me mostrano speranze non realizzate, angosce mai sopite e una vita che è rotolata verso questa tastiera senza che fossi capace di dominarne il cammino. Puttana Eva, perché qualcuno mi ama? Il ricatto dei sentimenti: cercare di non far soffrire chi tiene a te. Forse significa che ho dato qualcosa e che un po’ d’amore sia stata la giustificazione della mia esistenza, ma non basta. Quando Anubi peserà il mio cuore per decidere del destino oltre la morte, troverà tanti buoni sentimenti, grandi propositi e speranze, ma una parte nera delle cose che avrei voluto, o dovuto, fare. Non so come giudicherà la mia anima e direi che non mi importa, visto che la morte riguarderà solo me. E’ la vita che mi pesa. Questo bilancio quotidiano che trova la sua parte negativa dentro di me e la consolazione negli occhi di chi, puttana Eva, mi vuole bene. Gli stessi occhi che non sopporto di vedere tristi e per i quali mi sento impotente nel non poter illuminare con più sorrisi e serenità. E allora non posso mollare, devo immaginare, inventare, cercare e impegnarmi mostrando una forza che non ho, una determinazione che mi pesa, una speranza che forse è vana. Fino a quando la Vita riconoscerà la mia buona fede, le mie oneste intenzioni e la mia volontà di esserci. Oppure, la Vita, perdonerà la mia insipienza, la dabbenaggine e la superficialità con la quale ho preteso di percorrerla. Per il momento, devo mettermi la maschera di giorno che mi renda presentabile al mondo ed ai miei cari, salvo ritrovarmi, nella puttana notte, faccia a faccia con me stesso. Oh fegato mio, resisti! Assorbi nelle tue purpuree anse questa dose di alcol: ne ho bisogno. Se devo andare a letto con la prospettiva di svegliarmi domattina, ho bisogno di un amico che mi consoli o che mi faccia dimenticare; che mi illuda descrivendo i miei pensieri come pippe mentali su realtà a me non direttamente imputabili. Poi dormirò le mie quattro, cinque, ore e ricomincerò a strappare con i denti la maledetta vita al risveglio. Puttana Eva, vincerò! O, comunque, ho bisogno di crederlo. Vado avanti, ma tu non guardarmi con quegli occhi tristi. Puttana Eva, vincerò; finché questa bottiglia di whisky non sarà finita. Puttana Eva!

venerdì 20 marzo 2015

Un foglio vuoto

Uhh, la golosità di un foglio vuoto! Premi sui tasti bianchi e neri e, come d’incanto, appare un arabesco, un merletto, un ricamo ondulante di tratti e punti. Piano si delinea lo skyline di un pensiero che delimita la fantasia ed il sogno. Spuntano qua e là parole, catene di lettere, abbozzi di pensieri e lo schermo si riempie dello spartito di un’armonia senza musica. Lascia le dita battere dove vogliono, abbandona la mente, oscura la volontà e lascia fluire. Piano, vedrai affiorare la tua anima, i tuoi desideri, i sogni inespressi. Basta seguirli, non ti fermare. Guarda, come uno spettatore curioso ma distaccato, quello che la pagina ti dice. Saranno parole in libertà o concetti vaghi, non importa. Potranno uscire storie di vite che non avrai mai vissuto o descrizioni di paesaggi mai visti; voci di gente che non hai mai incontrato o di persone che vorresti conoscere. Se il vizio di scrivere ti prendesse la mano, potrebbe nascere anche qualche pudico verso o qualche pensiero prudentemente astruso: lasciali liberi. Affidati al biancore di quel foglio che, come carta assorbente, asciugherà qualche lacrima mentre, scolorendo la tua maschera, si farà specchio di te. Bisogna avere coraggio perché il riempimento di una pagina non rimane tuo, ma raffigura un pezzetto di te verso l’esterno. Poi, se hai scritto al computer, stampa una copia sola senza salvare il file. Prendi la carta, accartocciala e, se hai sottomano un bicchiere di whisky, mettila in bocca, mastica e manda giù. 

lunedì 16 marzo 2015

Che fine ha fatto?



Un po’ prima dello spread c’è stato il buco nell’ozono. Non ci si poteva sintonizzare su un telegiornale o sfogliare un quotidiano, che i titoli d’apertura strillavano l’allarme imminente per la catastrofe ambientale incombente sul pianeta. Sembrava ci fosse, sopra al polo Nord, una breccia nell’atmosfera attraverso la quale potevano giungere sulla Terra i raggi cosmici, le radiazioni solari e qualsiasi altro rifiuto dell’Universo, compresi, forse, i sacchetti della spazzatura, le cicche ed i fazzolettini usati scaricati da una poco educata astronave aliena.
Non si sapeva come rammendare lo strappo astrale, e scienziati di chiarissima fama si strappavano i capelli angosciati per il futuro dell’umanità. Poi in Europa si è deciso di sistemare le casse degli Stati più forti prima di pensare all’ambiente. Quindi, all’attenzione del popolo, si è posto il differenziale con i Bund. Che quando l’ha sentito il meccanico sotto casa, si è dato subito molte arie spacciandosi come un esperto di “differenziali” avendone cambiati decine nella sua carriera. Anche qui, se non avessimo rimediato subito privandoci di qualsiasi sfizio seppur piccolo, adottando una dieta mediterraneissima a base di croste di pane e  acqua a volontà, ci si sarebbe aperta sotto ai piedi la voragine dell’insolubilità, con la Troika pronta ad insediarsi al posto dei portieri condominiali per controllare tutte le entrate e le uscite. Adesso che in fondo al tunnel economico si intravede (forse, sembra, appare e scompare) non dico la luce del sole, ma una fioca lampadina da 20watt, quasi ci prendono in giro per aver dato tanta importanza a quell’indicatore che ha fatto la fortuna solo di Monti e di Frau Angela. Allora: dobbiamo scordarci dello spread come ci siamo dimenticati del buco dell’ozono? Fino a quando ci propineranno la prossima angoscia che non inciderà sul nostro quotidiano, ma ci intristirà per la visione del futuro levandoci anche quella minima voglia di alzarci dal letto alla mattina, domeniche escluse.




domenica 15 marzo 2015

Lacrime dal Paradiso

Lacrime dal Paradiso, mentre la mia chitarra piange dolcemente. Sulla banchina del fiume che lentamente attraversava la città, un giovane vagabondo, o un vecchio hippy, imbracciava la chitarra affidando al vento una delle due melodie. Il cuore era sofferente per un amore perso, non importa se rifiutato da una donna o strappato dal destino. Gli occhi dell’uno, o dell’altro, erano colmi della disperazione che porta solo alla fine di ogni pena o alla consapevolezza dell’esistenza. Unicamente lo strumento consolava quello o questo, e che appartenesse a questa o a quella generazione, aveva poca importanza. Le giovani dita, o quelle adunche, premevano e accarezzavano le corde dello strumento, e una struggente melodia rimbalzava da un muraglione all’altro che conteneva il lungo, indifferente, corso d’acqua. Una voce limpida, o roca, accompagnava la musica, ma le parole non erano importanti. La lirica poteva significare qualsiasi cosa per il vagabondo, o per il menestrello, serviva solo cantare e dare sfogo all’emozione. Cercava, il giovane o il vecchio, non di dimenticare la pena, ma di lenire la sofferenza, sia pure per qualche vano e sfuggente attimo. Ed ai gorghi ed alle correnti del falsamente placido spettatore, il musicista, o l’improvvisato strimpellatore, affidava il suo urlo di sgomento o il suo straziato lamento. Il fiume ne rimandava l’eco. “Se è vero fiume che tu dai la pace, fiume affatato fammela trovare.”   


lunedì 9 marzo 2015

Le nuvole lassù


Forse si chiama spatola, o forse in un altro modo, quell’attrezzo che scolla uno strato di materiale dall’altro. Certe canzoni sono una spatola, o quell’altro, che separano l’oggi dai tanti ieri, fino ad arrivare ad un’emozione. Vera o immaginata, vissuta o sognata, non importa. Forse esiste un’anima universale, che tutto ha provato e di ogni cosa è testimone, che lascia la sua impronta dentro ogni essere umano, e quando una chiave scardina le incrostazioni del cinismo rilascia una sensazione che non è nel vissuto del protagonista, ma nell’esperienza di tutti. Perché le parole di una vecchia ballata o la musica scritta secoli fa fanno sognare ancora oggi? E com’è che la pennellata di un accordo accarezza la fantasia senza la pur minima condivisione di esperienze? Qual è quell’immateriale senso che fa descrivere come ammaliatore un astro lunare freddo come un sasso o evocativo il taglio nella tela di un artista? Potremmo vivere sull’istinto e per la soddisfazione dei bisogni, ma quando parte una sinfonia, o una semplice canzonetta, il nostro piccolo io diventa parte di un tutto che non sappiamo. E che forse non esiste, ma ci racconta qualcosa che va oltre la nostra parte materiale.  

Posso parlare di alcol


Posso parlare di alcol, ma poco.
Posso parlare di donne, ma poco.
Posso parlare di ribellione, ma poco.
Posso parlare di libertà, ma poco.
Posso parlare di notte, ma poco.
Posso parlare di vita, ma poco.
Posso parlare di poesia, ma poco.
Posso parlare di futuro, ma poco.
Posso parlare di tutto, ma poco.
Vorrei parlare d’amore, a lungo.


Sabbia negli occhi




Piante grasse, aride d’acqua, ebbre di luce.
Dita adunche tese verso il cielo.
Vento e rumore e melma che imprigiona.
La giovinezza perduta è una catena per i sogni:
li stringe e li stinge finché non muoiono soffocati dai rimpianti.
E la pelle si secca, le ossa schioccano, lo sguardo si vela
di ombre e di rassegnazione.
Il tempo inganna. Non c’è più o forse è infinito.