Alcuni
dicono che si trovi nel Dorset, altri che occupi una vasta area nelle
Highlands, qualcuno afferma addirittura che sia installato su tutta un’isola
delle Shetland. Una cosa è certa: il grande orecchio ci ascolta. I più
informati lo chiamano Echolon e sono sicuri che, dalla fine della seconda
guerra mondiale, tiene sotto controllo tutte le comunicazioni prima via radio
ed oggi anche tramite il web. Sembra che nulla sfugga agli attenti analisti che,
usando sofisticatissimi algoritmi, colgono parole o conversazioni cercando
indizi di attività sovversive o sospetti di terrorismo. Certamente deve essere
un’installazione mastodontica, modernissima e costosissima, anche se potrebbe
essere giustificato qualche dubbio sulla sua efficienza visto che, negli anni,
si sono purtroppo ripetute azioni criminali di ogni genere cogliendo alla
sprovvista i servizi di sicurezza delle varie nazioni. Ma Pietro non si fidava.
E’ vero che tante volte non c’era stata prevenzione, ma come si fa invece a sapere quanto era stato sventato grazie al lavoro di intercettazione? E
poi, anche se qualche pesce era sfuggito dalle maglie, chissà quanti altri, gradi o piccoli, vi erano rimasti impigliati senza neanche rendersene
conto. Cosa nascondeva il giornalista in pensione? Pietro Sandulli era stato
per quarant’anni editorialista de “L’Unità”, con un impegno direttamente
proporzionale all’ortodossia marxista della testata. Quanto più il foglio si
allontanava dal solco gramsciano, tanto più lui si disamorava. Negli ultimi tempi prima di andarsene si era ridotto a buttare giù articoletti che non avrebbero sfigurato su
“L’Avvenire” o su “Famiglia Cristiana”. Adesso, finalmente giunto alla pensione, occupava il suo tempo nel curare, con gran soddisfazione, il piccolo campo intorno
alla cascina in Toscana dove si era ritirato a vivere. Nel grande annesso aveva anche ricavato un garage attrezzatissimo dove faceva rinascere vecchie
automobili e motociclette che, comprate per pochi soldi, tirava a lucido per usarle ogni tanto o rivendeva agli
amici. Ma il suo impegno principale consisteva nello scrivere un libro/denuncia
nel quale rimediare a quella che riteneva una scandalosa mancanza ed una pagina
oscura nelle vicende italiane del XX secolo: rivelare la “Vera Storia Del
P.C.I.” Era pronto a dare la sua testimonianza sulle vicende del Partito viste dall’interno,
togliendosi qualche sassolino dalle scarpe, ma soprattutto dicendo, finalmente
in maniera esplicita, quello che per decenni si era dovuto tacere. L’opera si
presentava impegnativa. Aveva cominciato dal ’21 e da quando Nenni…, per poi denunciare apertamente chi tradì Gramsci facendolo sbattere in galera. Ancora,
nella scaletta, c’era l’Internazionale e tutto, o buona parte, del faldone chiuso
a Botteghe Oscure sotto l’etichetta “PCUS e PCI / dare – avere”. Insomma, roba
che scottava, anche se Pietro temeva sarebbe caduta nella qualunquistica
indifferenza dei nostri tempi; però lui lo doveva alla Storia (con la “S”
maiuscola). Non era solo in questa impresa. Era rimasto in contatto con vecchi
compagni, all’epoca quadri del partito o semplici attivisti ormai tutti oltre i
settant’anni, che seppure lontani geograficamente, si incontravano regolarmente.
Le conversazioni riguardavano antichi ricordi o considerazioni politiche
sull’attualità, ma qualche spirito più acceso non aveva rinunciato alla vecchia
idea dell’insurrezione per il trionfo della dittatura del proletariato, anche
se questa tesi, propugnata tra un sibilo di dentiera e l’altro, perdeva un po’
di credibilità. Erano loro che aiutavano Pietro nella ricostruzione degli
avvenimenti passati facendo, senza alcuna remora o prudenza, nomi e cognomi anche
di personaggi ancora sulla scena politica, addirittura in posti di massima
responsabilità. Il modo più semplice per riunirsi era in video conferenza
tramite Skype, che un ex impiegato al Centralino del Ministero degli Interni,
spacciandosi per esperto informatico, aveva spiegato e fatto installare a tutti
gli amici. Ed ecco che incombe Echolon. I compagni sapevano che non potevano
parlare tranquillamente a causa dell’” orecchione” in ascolto, e per questo
avevano installato password, firewalls e criptature varie nell’illusione di
confonderlo. Inoltre, per mantenere l’anonimato, avevano deciso di darsi dei
soprannomi che nascondessero l’identità mantenendo un clima di cospirazione
bolscevica.
Nikita
(Luigi da Ancona) - “Ciao Leonida come stai? – passo”
Leonida
(Giuseppe da Sasso Marconi) - “Nikita, quante volte te lo devo dire che non c’è
bisogno di dire passo: siamo in collegamento Skype.”
Nikita - “Scusa
– p…- “
Intervenne
Pietro (Lenin, come nome d’arte) cercando di fare una conta dei presenti on
line.
Lenin – “Trotsky…Molotov…Stakanov…Josef…Yuri…Andropov…Gromyko…”
Dopo ogni
nome, Lenin, ovvero Pietro, faceva una piccola pausa per ricevere un saluto dal
nominato o per registrarne l’assenza.
Lenin – “Bene,
compagni. Oggi parliamo di questo schifo di situazione politica che sta vivendo
la classe operaia del nostro Paese. Che ne pensate, e come immaginate avrebbe
reagito il Politburo dell’URSS allo sfascio delle nostre istituzioni? Molotov,
cominciamo da te.”
Molotov – “Ci
sarebbe un solo rimedio: buttare una bomba nel Parlamento e lasciare bruciare
tutto, parlamentari compresi! Prendere quel...Fico e deportarlo in Siberia o,
alla peggio a Canazei, comunque in un posto dove viva tra i ghiacci perenni.
Poi acchiappare il primo metalmeccanico che passa e nominarlo Capo dello Stato,
tanto peggio di questi non farebbe.”
Lenin – “A
parte che né in Siberia né, tantomeno, a Canazei ci sono i ghiacci perenni,
comunque mi sembra un’opzione un po’ radicale. Stakanov?”
Stakanov –
“L’unica soluzione è lavorare tutti e di più. Giornate lavorative di diciotto
ore per sette giorni la settimana, senza diritto di ferie. Vedreste voi come
ripartirebbe il PIL!”
Lenin – “Non
credo sarebbe una scelta molto popolare. Trotsky?”
Trotsky – “A
parte il mal di testa che mi martella da stamattina, vorrei dire che sono
contrario a tutte queste soluzioni.”
E via
dicendo. Ognuno esprimeva la propria ricetta per i mali dell’Italia con
sottintesa, o affermata esplicitamente, sempre la Rivoluzione ed il
sovvertimento dello stato borghese plutocratico e massone. Se Echolon fosse
stato in ascolto, avrebbe goduto. Finché, un giorno, arrivò a Pietro una
raccomandata da Parte della Questura di Roma con l’avviso di una convocazione
per la settimana successiva per “comunicazioni che la riguardano”. Il
giornalista ebbe un attacco di tachicardia. “Ecco qua: lo sapevo. Dai a parlare
su internet di bombe, sommosse popolari, bagni di sangue e quant’altro. E poi: il Capo dello Stato, Il presidente di qua, il generale di là, il funzionario e
l’onorevole. C’hanno intercettato e adesso chissà cosa credono. Se a Valpreda
hanno rovinato la vita, prima accusandolo e poi assolvendolo per la strage di
piazza Fontana, solo perché era anarchico, noi che ci dichiariamo
esplicitamente rivoluzionari, quanto meno…Guantanamo! Doveva avvisare i
compagni.
Lenin –
“Compagni, è successa una cosa grave. Mi ha convocato la Digos (?) per
sottopormi ad interrogatorio. Ho paura che abbiano scoperto la nostra cellula.”
Molotov –
“Bene! – sluscch…- scusate, la dentiera. Bene, dicevo, hanno capito la nostra
pericolosità. Adesso tiriamo fuori le baionette ed andiamo all’assalto delle
caserme al grido di “sangue e budella fanno la patria bella!!!” Embè!
Stackanov –
“Dovessi stare in trincea ventiquattr’ore su ventiquattro, sono pronto a
circondare Palazzo Chigi insieme a voi quattro!”
Gromyko –
“Adesso che ci hanno preso sul serio, dobbiamo trattare diplomaticamente.
Chissà se c’è ancora Kissinger da interpellare?”
La Banda dei
Reduci dell’Armata Rossa era molto più lusingata che spaventata dall’idea di
essere stata scoperta e già vedeva i volti dei componenti sulle copertine
dell’Espresso o di Panorama, se non di Libération o di Le Monde, sotto titoli
inneggianti all’ultima sacca di resistenza allo strapotere capitalista.
Gromyko –
“Vai avanti, Lenin. Senza paura. E se poi ti dovessero fucilare nel cortile di
San Vitale, vivresti per sempre in compagnia degli Eroi caduti a Stalingrado.”
Pietro non
fu tanto incoraggiato dalle parole degli amici e la mattina della convocazione
si avvicinò agli uffici di Polizia con un’ansia spropositata rispetto alla
gravità delle sue azioni. Si aspettava di essere trattenuto a lungo, ma fu
rimandato a casa dopo appena un’oretta trascorsa tra sala d’aspetto e colloquio
con l’Ispettore. Appena tornato a casa convocò una video conferenza con i
compagni per renderli edotti dell’esito dell’interrogatorio.
Lenin – “Ci
siamo tutti?”
Molotov –
“Si compagno. Cosa hai dovuto subire? Ti hanno fatto il terzo grado, il
lavaggio del cervello…racconta!”
Lenin –
“Veramente…
Trotsky –
“Compagno, non essere reticente. Dillo chiaramente che ci hanno scoperto e che
sta per scattare un’operazione su vasta scala per bloccare ogni nostra
attività. “
Lenin – “In
realtà…”
Gromyko –
“Basta. E’ chiaro che diamo fastidio al Sistema e lo Stato borghese cerca di
toglierci di mezzo. Ma non ci riusciranno!”
A questa
esclamazione, tutti i compagni in collegamento esplosero in urla di guerra,
esaltati e pronti al martirio. Pietro capì che il fatto di supporre che la
Polizia si interessasse alla loro attività, era fonte di grande orgoglio per i
vecchietti che, in tale maniera, riuscivano a sentirsi ancora vivi, tenuti in
considerazione, e stimati, seppure in negativo. Non ebbe cuore di dire loro che
era stato convocato dall’Ufficio Stranieri della Questura per informazioni
riguardanti la sua colf di Capo Verde. Se l’avesse fatto, avrebbe tolto tutto
il pathos dei loro collegamenti semiclandestini ed il divertimento nel sentirsi
ancora dei ribelli che il sistema avrebbe dovuto temere. Se nessuno li prendeva
in considerazione, tutti i loro discorsi sarebbero stati solo chiacchere tra
anziani, e nient’altro. Così, Pietro assunse un’aria torva e provata, come
fosse di ritorno dritto dritto da un interrogatorio con la CIA, il SISDE ed il
MOSSAD messi insieme.
Lenin –
“Compagni, amici, fratelli! Frangar non flectar. Echolon ci ha ascoltato, e con
lui i capi dei servizi segreti della NATO. Hanno registrato le nostre analisi
e, pur non condividendone le conclusioni, hanno apprezzato il nostro coraggio e
la nostra onestà intellettuale. Saremo sempre avversari, ma la nostra cellula
dovrà rimanere viva e combattiva come voce della coscienza critica del
capitalismo. Mi hanno lasciato andare, affermando che, seppur nemici, ci
stimano e rispettano. Ma, da oggi in poi, compagni, quando ci incontreremo, dovremo
stare ancora più attenti, e magari provare qualche travestimento.”
Il gruppo si
sciolse contento e soddisfatto, petto in fuori e al diavolo l'artrosi!