mercoledì 30 dicembre 2015

L'anno che verrà

Il bilancio per il 2015? Beh, diciamo che s’è messo d’impegno per assomigliare il più possibile a una deiezione canina. Non vi è del tutto riuscito, ma c'è andato molto vicino. Si può dire che l’anno che sta finendo sia stato a pelle di leopardo, dove le macchie nere hanno rappresentato i momenti positivi, mentre il resto del mantello, bello steso su tutto l'animale, sono stati i periodi che potrebbero essere comodamente cancellati, anche se difficili da dimenticare. Nell'insieme è stato un po' come andare sulle montagne russe: a salite piene di eccitanti aspettative spesso sono corrisposte discese precipitose e con un po’ di spavento. La misura del mio filling gonadico, se così posso dire, può essere rappresentata dallo sguardo velato di benevola invidia che mi balena negli occhi quando, passando davanti alle poste, scorgo la fila dei pensionati in attesa di riscuotere il mensile. Non voglio dire che loro siano felici e sereni, anche se glielo auguro, ma solamente che a volte un po' di piattume emotivo, potrebbe non essere del tutto sgradito. Invece io sono ancora in piena corsa, anche se a volte mi sembra di guidare una macchina che non risponde ai comandi e anzi accelera in maniera incontrollata o frena di colpo, col rischio di prendere qualche musata. Si potrà obiettare che il sale della vita sta proprio in questo: non sapere che cosa c'è dietro l'angolo, però dopo tante svolte ci starebbe anche bene un bel rettilineo largo, soleggiato e tranquillo. Comunque sono ancora al volante e, coadiuvato da un equipaggio che mi vuole bene, saprò correre la mia gara. Non so a chi indirizzare la protesta, ma ritengo il 2016 responsabile in solido con il suo predecessore e, pertanto, mi aspetto nei mesi a venire un risarcimento “troppo esagerato” a fronte dei danni materiali e morali che mi sono stati inopinatamente elargiti in maniera non richiesta. Mi permetto, infine, di abbandonandomi ai più ampi e sconvenienti gesti apotropaici mentre auspico che nell’anno che verrà la fortuna si mostri benevola, facendo pendere la bilancia verso il piatto delle gioie e lasciando il più vuoto possibile quello dei dolori. E’ un augurio che estendo con affetto a tutti gli amici. Buon Anno!!!


P.S. Allego una foto dove la pittura sul muro illumina dove non c’è la luce. Anche questo potrebbe essere un augurio: di non arrenderci all’oscurità ed armati di fantasia e creatività riuscire ad illuderci, per sperare ancora.

domenica 27 dicembre 2015

Il Treno

Il rumore rimbalzava tra le pareti di lamiera come nel ventre di un enorme tamburo lanciato a cento chilometri all’ora verso una meta indefinita. Il vento penetrava da mille spifferi tra le porte scorrevoli e nel soffitto di quel carro fatto per trasportare bestiame e non di certo esseri umani. Avvolto da una coperta di mille colori, in un angolo era rannicchiato qualcuno che stava scappando. Poteva essere un uomo con i lunghi ed incolti capelli di un vagabondo, oppure una donna che ormai aveva perso la sua femminilità, certamente era un’anima persa in una corsa che era divenuta la sua padrona. Il mondo sfilava sui fianchi del treno mescolando paesaggi e città in una striata melma che niente lasciava distinguere se non la solitudine. Non importa da cosa fuggisse, solo il Signore era stato suo compagno nelle cento, poi le duecento, poi le trecento, poi le quattrocento ed ora le cinquecento miglia che ormai separavano quel vagabondo da casa sua. Un giorno aveva detto: “Vado via.” e la strada l’aveva chiamato affascinandolo con la prospettiva di mille occasioni e di grandi libertà. Poi quella stessa infida amica l’aveva fatto inciampare in incontri sbagliati, in illusori miraggi ed in tante piccole e grandi buche che avevano sfiancato i suoi sogni al punto di spengere anche la speranza. Fino a che non si ritrovò, forse per l’ultima volta, prima di perdersi definitivamente. In quel momento udì un fischio in lontananza ed a quello si aggrappò saltando sul vagone buio di luce che, tra scintille e rombi, tagliava la pianura ferendo la natura con la violenza del suo passaggio. Lo mordeva la fame e la disperazione mentre, col capo chino, non trovava più neanche una lacrima a consolare un muto pianto. L’ultima sua amica, ormai inutile e vuota di spirito come lui, era rotolata in un angolo unendo il sordo tintinnio del suo vetro con lo sferragliare delle rotaie. “Perché?” si chiedeva per l’ennesima volta e “Se solo…” si rispondeva ancora, per dividere con il destino la colpa che sentiva solo sua. La gioventù l’aveva lasciata tra le braccia di tante sirene con le quali aveva cantato noncurante degli avvertimenti, la maturità non aveva mai saputo cosa fosse per finire poi sull’ultimo tratto della vita senza nessun giaciglio che potesse accogliere la sua stanchezza. Ma il treno non sentiva il peso di tanta pena ed ancora, miglia su miglia, proseguì la sua corsa incurante, come le stelle.       

lunedì 21 dicembre 2015

Il gatto del Cheshire.

Ah, quanto l’amava! Se l’amore fosse stato granaglie, ne avrebbe riempito cento silos; se fosse stato buon vino, mille barriques; se fosse stato sabbia, tutto l’arenile che va da Ladispoli a Santa Marinella. Ma era anche un amore disperato. Non perché non fosse ricambiato, forse con qualche silos, botticella e spiaggetta in meno, ma comunque era corrisposto, bensì perché non aveva futuro. Rodrigo era il giovane uomo in preda all’infatuazione mentre l’oggetto di tanto ardore si chiamava Margherita e mai nome fu così azzeccato per indicare una ragazza che poteva competere in bellezza ed armonia con il più innocente dei fiori. Lui era un tipo di gradevole presenza e tante speranze che, per il momento, non si erano ancora concretizzate in un conto in banca adeguato. Alla bella età di ventott’anni, dopo aver tentato mille strade, aveva deciso di investire il suo fisico prestante e l’innata curiosità in un lavoro adeguato ed, insieme con un amico, aveva aperto un’agenzia investigativa che si fregiava dell’inquietante insegna de: “L’Occhio che Scruta – Dove voi non riuscite a vedere, arriviamo noi.” Diciamo che tale occhio, al momento, veniva esercitato soprattutto per avvistare eventuali clienti, ma il giovanotto era convinto delle sue capacità e non disperava che, qualora fosse capitata una moglie gelosa o un padre in pena, avrebbe potuto accontentarli scoprendo, a pagamento, ogni recondito altarino. Ma Rodrigo non era tanto preoccupato per l’esito della sua start up. Si sa: i soldi vanno e vengono, anche se hanno più la tendenza a scappare che a correrti in braccio, e tutti i ricchi hanno sempre detto che il denaro non fa la felicità, sebbene loro abbiano la riprovevole abitudine di tenerselo stretto. Il suo cuore, insieme agli altri organi vitali, stava soffrendo, oh come soffriva, per l’impossibilità di coronare il suo sogno d’amore con colei che, ai suoi occhi, era la più bella, brava ed intelligente creatura che mai fosse nata su questa Terra. Lei sarebbe anche stata disposta e disponibile ma, tra le tante sue innumerevoli virtù, annoverava un fermo ed irresoluto rispetto per le tradizioni che le impediva di accettare pretendenti senza l’imprimatur paterno. Margherita era la figlia unica e prediletta della “Pasticceria Moriconi”, ovvero del signor Spartaco Moriconi self made man, se mai uno ce n’è. Questo splendido esempio di successo imprenditoriale, in gioventù aveva sfogato la propria aggressività nella nobile arte del pugilato e poi aveva applicato la sua grinta tra torte dolci e pizzette facendo fruttare gli spuntini come fossero pozzi di petrolio. In tal modo aveva costruito una fortuna solida e concreta fatta di tanti mattoni a formare edifici, così come i bignè panna/cioccolato si combinano nei classici profitterol sciorinati sul bancone del suo negozio. Il suo carattere possessivo si estendeva, oltre che alle cose materiali, anche agli affetti, con scatti di gelosia incontrollabili quando anche un solo sguardo aveva l’ardire di posarsi sul piccolo ed indifeso fiore nato dal suo matrimonio con la sora Pina. Rodrigo era stato presentato dalla fidanzata al padre, ma accompagnato da un ruggito degno di Simba nella sua migliore performance, era stato rimandato al mittente come oggetto indesiderato e non degno di attenzione. Il giovane non si era scoraggiato, o forse solo un tantinello, e si era ripromesso di farsi ancora avanti, magari armato della seggiola e del frustino di ordinanza nei circhi. Potrebbe essere una ripetizione affermare ancora che il suo cuore piangeva, ma ci serve tale assunto per giustificare la disperazione che spinse il ragazzo verso un passo tanto coraggioso che perfino Sandokan, Giovanni Soldini o Reinhold Messner avrebbero considerato avventato, se solo ne fossero stati a conoscenza. Rodrigo era convinto di doversi ripresentare al cospetto dell’orco-padre, sperando che, come nel cuore del sergente O’Hara dei film western, nel profondo dell’animo del sig./cav./dott. Moriconi, fosse nascosta una scintilla di pietà ancora non soffocata dalla ruvida scorza che l’imprenditore mostrava al mondo. Immaginava che, dopo un abbondante razione di Scotch o altro etilico e corroborante balsamo, avrebbe bussato alla porta dell’ufficio sopra al laboratorio della pasticceria e, una volta fatto entrare (anche se questo non era per niente dato per certo), avrebbe esordito: “Ebbene, ecco! < Come incipit, non c’è male: secco e deciso.> Voi, caro il mio pasticcere, non potete tarpare le ali di Margherita. Lei ama me ed io amo lei, insomma ci amiamo. E così stanno le cose. <Frasi brevi ed incisive, a dimostrazione di una ferrea volontà e di una forza indomita: bene.> Se anche non foste d’accordo, io sono deciso a farne la mia sposa e voi, in breve tempo, diventerete nonno di tanti bei pasticcini, no volevo dire: nipotini. Sia che ciò vi aggradi oppure no…per favore, per piacere, cortesemente, per pietà. <Rovinato l’effetto con la sbragata finale, ma non diciamoglielo.> “Cara, - telefonò Rodrigo alla sua amata – quando pensi che potrò andare a disturbare papino? Consigliami un giorno nel quale non ci siano pagamenti in azienda, la crema non sia impazzita e la panna sia stata montata a neve come neanche a Courmayeur, insomma quando il tuo sanguigno ascendente possa essere di umore meno tetro del solito.” “Uccellino, - rispose lei che in tal modo l’appellava anche in pubblico – sai bene che babbino non è cattivo. Deve solo combattere con la sua ulcera che gli fa sembrare il mondo ostile, ma in fondo, in fondo (in fondo, in fondo, in fondo) è “un succhero”, come dice lui. Abbi fede, fiducia e speranza e presentati al suo cospetto anche domani, tanto che vuoi che possa mai succedere?  Al massimo dopo andrai a fare compagnia al mio precedente fidanzato nel centro riabilitazione grandi traumatolesi di Frascati. Mi dicono che servono un vinello con delle ciambelline niente male.” Così come Lancillotto quando ebbe il via libera da Ginevra partì in sella al suo bianco destriero impavido e resoluto, anche il nostro eroe prese lo scooterone e si diresse a sfidare il drago. Anche se, in realtà, quel giorno non si sentiva al massimo della forma. Infatti alla mattina si era alzato con un forte torcicollo dovuto ad una botta d’aria presa la sera prima tornando a casa con la moto. Non solo, il fastidio si era propagato ai muscoli facciali provocando una sorta di contrattura degli ingranaggi nei pressi della bocca ed adesso Rodrigo si presentava con uno strano ed involontario sorriso stampato in faccia che, nonostante tutti gli sforzi, non riusciva a cancellare. Lui era consapevole di quel ghigno che gli conferiva un’aria tra il sardonico ed il losco, ma il dado era ormai tratto ed il Rubicone aspettava solo di essere guadato. Giunto che fu laddove si sarebbe compiuto il suo destino, con spirito simile all’anima di un defunto al cospetto di San Pietro quando deve giudicare se inviare la nuova venuta a rosolarsi negli eterni calderoni od a zampettare nei prati tra pecorelle ed apine, si fece annunciare da una segretaria precocemente invecchiata a causa dei quotidiani strali del suo titolare. “Attenda!” fu la risposta tuonata dall’interfono, e così fece Rodrigo rimpiangendo di non essere nella sala s’aspetto del dentista dove la prospettiva del prossimo incontro sarebbe stata sicuramente meno dolorosa dell’attuale. In signor Spartaco, chiuso nel suo ufficio, stava proprio in quel momento rimettendo ordine tra le carte della contabilità “in nero” che teneva nascosta in uno scomparto della scrivania noto a lui solo. Gli era sembrato sempre altamente immorale che le mani estranee del Fisco si protendessero avide a carpire parte dei suoi sudati averi e, pertanto, fin dagli albori della attività aveva tenuto una rigorosa partita doppia non divisa tra “dare” ed “avere”, ma tra “ufficiale” e “ufficioso” e si era trovato sempre molto bene. Anche se lo stress di tanto segreto gli aveva fatto venire l’ulcera e la coscienza gli rimordeva sempre un po’. Quel giorno poi aveva appeno deciso che la fattura per una fornitura del valore corrispondente ad una cifra con un numero consolante di zeri non dovesse vedere la luce ed era particolarmente nervoso avendo contezza del rischio che stava correndo nei confronti del rapace Erario. Ci mancava solo quell’invertebrato cerebroleso del sedicente fidanzato di sua figlia a rompergli, diciamo, le scatole. A Moriconi non andava bene niente del pretendente, a cominciare dal lavoro di ficcanaso che si era scelto denotando un’indole impicciona e furtiva. Però un padre è disposto ad ogni sacrificio per la luce dei suoi occhi ed, anche come penitenza quotidiana, lasciò entrare il ragazzo al proprio cospetto. L’imprenditore stava ancora chino su un foglio siglando le ultime disposizioni per il laboratorio quando si aprì la porta, ed al rumore degli esitanti passi in avvicinamento alla sua scrivania, lentamente alzò gli occhi. Non si aspettava nient’altro che vedere l’illuso e così fu, ma il vigile ed allenato occhio dell’uomo d’affari si rese immediatamente conto di una spaventevole novità. Il pitocco sembrava trasformato: fisicamente era simile a sempre, ma sul volto gli compariva un’espressione nuova. Sembrava che lo stesse guardando con un sorriso strano, ambiguo, come a fargli intendere che lui aveva un arma puntata pronta a sparare. Improvvisamente Moriconi ricordò il lavoro di investigatore del giovane, e la sua pronta mente matematica non ebbe difficoltà a fare 2 + 2 con la sua attività clandestina. Ebbe la subitanea certezza che il “private eye” de noantri avesse, nell’ambito di qualche indagine svolta per il suo lavoro, trovato qualche documento o prova che si riferisse alle piccole manchevolezze contabili della sua amministrazione. Altrimenti non si sarebbe spiegata l’imprevista ed inaspettata spavalderia nell’espressione del ragazzo che tanto ricordava il muso di Felix, l’amato soriano domestico, quando si metteva acquattato all’imbocco della tana di qualche povero topino colpevole solo di non volersi far divorare dalle tasse. A Rodrigo, guardando il volto dell’ipotetico suocero, parve di essere spettatore di quel meraviglioso ed affascinante fenomeno che la natura mette in scena quando, dopo una burrasca, il cielo si apre, le nuvole scompaiono e torna a risplendere un benevolo sole. Così l’espressione del sig. Spartaco virò dal corrusco al giubilante nel giro di pochi secondi e brevi, interiori, considerazioni. “Vieni, amico caro, vieni. Accomodati sulla poltrona più comoda del mio ufficio. Tu qui non trovi l’imprenditore, ma un padre che ora ha una sola figlia, ma che spera di legare anche te con i vincoli della parentela. Naturalmente basta che togli quel sorrisino dalla faccia.” Il giovane non capiva la svolta a 180 gradi dell’interlocutore ma, adeguandosi alla richiesta, si fece un breve massaggio maxillo-facciale per sciogliere l’incordatura riacquistando un’espressione normale. “Cosa vuole dire, dottore? Che mi consente di frequentare sua figlia?” “Ah, ah, ah, ma che dottore e dottore, chiamami papà e corri a chiudere il tuo ufficio di investigazioni. Sono certo che, chiariti uno o due punti, saremo come la panna con la granita di caffè: assolutamente compatibili.” Accadde quindi un piccolo, inaspettato, miracolo del quale i due giovani non furono in grado di darsi mai una spiegazione razionale, ma che spianò loro la strada per mettere su una meravigliosa e dolce famiglia composta da un babà padre, una meringa madre e una serie di biscottini assortiti come figli.           

sabato 14 novembre 2015

La Strada

Lunga è la strada e la meta sconosciuta. Si avanza barcollando per sentieri misteriosi dove dietro ogni curva si cela una sorpresa e l’unica guida è la speranza. Passo dopo passo si scansano gli inciampi senza sapere il motivo del cammino. E’ faticoso trascinarsi su per quel ripido tratto e spesso la stanchezza consiglierebbe di rinunciare, ma non si può. Non si deve lasciare la via, non prima di averla percorsa tutta, fino alla fine. Anche se la meta è sconosciuta e la strada lunga. Ancora avanti, con un ritmo cadenzato seguendo gli anelli di una catena alla quale si è aggiogati, ed il fiato è corto. Forse sarebbe il tempo di fermarsi, almeno per un po’, e riprendere le forze per proseguire: il muschio sul masso è morbido. Per un momento si potrebbe chiudere gli occhi e ricordare, sognare, lasciarsi trasportare dove non si è mai stati e ormai non si andrà più. Sarebbe una vertigine di voluttà e stordimento per antiche aspirazioni abbandonate, ma mai dimenticate. Però non si deve indugiare perché lunga è la strada e la meta sconosciuta. Quindi si riprende ad andare aiutandosi con un bastone o approfittando di una mano amica mentre, guardando tra le alte fronde in cerca dell’ultimo raggio di sole, si lasciano gli acciacchi alle spalle. Cercando di trovare il coraggio si può accennare un motivetto fischiando sommessamente, perché la strada potrebbe essere ancora lunga e la meta rimane sempre sconosciuta.  

sabato 26 settembre 2015

L'incubo del Parroco

Padre Biagio era solo nella Canonica. Completate le funzioni della giornata e recitate le ultime orazioni del vespro, spense le luci in Chiesa e chiuse il portone. Solo le candele rimanevano ad illuminare fiocamente le ampie volte neogotiche e le immagini sacre. Il chiarore tremolante delle fiammelle rendeva più espressivi i volti delle statue che sembravano quasi sorridere o ammiccare con benevolenza. Molte sere il curato si attardava seduto in un banco della navata principale e, complici i giochi delle ombre, gli piaceva immaginare di essere al centro di una riunione di beati che discutevano tra loro da una cappella all’altra. L’ultima parola era sempre riservata al Crocefisso dell’Altare Maggiore sia per la sua immensa sapienza che per il fatto di essere il Figlio del Padrone. Poi, dopo un ultimo padre-ave-gloria, ogni volta si congedava familiarmente dalle immagini sacre ed, imboccata una porticina laterale, si ritirava nelle sue stanze. Tempo addietro il prevosto avrebbe trovato una bonaria perpetua pronta a provvedere alle sue necessità, ma adesso una questua sempre più risicata non permetteva ai religiosi che una donna a ore tre volte la settimana, giusto per lavare e stirare il corporale, ovvero quella piccola tovaglia che si sistema sull’altare, e qualche camicia. Ma don Biagio si accontentava: due uova al tegame con un po’ di formaggio e un paio di pesche, oltre a un abbondante gotto di rosso, e poi via a dormire. Il buon parroco sembrava sereno, se non felice. Aveva investito il capitale della sua vita scommettendo di riscuotere un generoso dividendo quando il Principale lo avesse chiamato presso di sé, e perciò non permetteva a preoccupazioni o ansie di tormentarlo più del necessario. In fondo lui faceva tutto il suo dovere con diligenza, e quale datore di lavoro non sarebbe stato soddisfatto di un collaboratore tanto devoto e obbediente? A volte, dopo aver lavato i piatti, quando la sera si stemperava nella notte, chiudendo la finestra della cucina, lo sguardo di don Biagio si perdeva a guardare le case del paese allineate lungo la strada principale o sparse nel buio profondo della campagna circostante.  Vedendo quelle finestre illuminate, si immaginava le famiglie all’interno: un padre, una mamma e tanti bambini che giocavano con un vecchio che magari avrebbe potuto somigliargli. A quei pensieri, tra lo stomaco ed il petto, provava sempre una strana sensazione: un malinconico languore che assomigliava tanto ad un rimpianto. Questa momentanea debolezza gli sembrava simile ad un peccato, anche se non sapeva di quale gravità, e quindi, per prudenza, si infliggeva una penitenza con tre Ave: non si sa mai. Poi, chiuse le imposte, si rifugiava nel letto puntando la sveglia sulle cinque del mattino successivo, per ricominciare la solita rassicurante routine. Generalmente toccava il guanciale e, avvolto nel silenzio, dopo poco sprofondava in un sonno comatoso e senza sogni. Ma quella sera non riusciva a dormire. Aveva la sensazione di avere dimenticato di fare qualcosa in Chiesa, che ci fosse un non sapeva cosa di fuori posto che gli dava fastidio. Doveva togliersi il tarlo, anche se era convinto che fosse solo un’impressione dettata dal nervosismo che qualche volta trovava in agguato nelle tenebre di camera sua. Scese dal letto, infilandosi un accappatoio sopra il pigiama, e si diresse verso il tempio. Entrò dalla solita porticina e, fermo sulla soglia, dette uno sguardo panoramico tutt’intorno. Sembrava tutto a posto, il portone principale serrato, i paramenti del Santo ben ordinati, le candele che gocciolando si stavano esaurendo. Un momento: ai lati dell’immagine di San Nicola c’era solo un candelabro visibile, l’altro doveva essere caduto. Padre Biagio si diresse verso il quadro in un angolo della navata laterale. “Oh Gesùgiuseppemaria, qualcuno ha lasciato un paio di scarpe vicino al Patrono: non c’è più religione né rispetto!” Il prete si avvicinò chinandosi per prendere le calzature. Con stupore notò che appresso a quelle seguiva un paio di pantaloni. Spesso il curato aveva visto persone decedute, ma un morto sul pavimento della Chiesa…non se lo sarebbe mai aspettato.
“Capille e guaie nun mancano maje! Predolin vieni qua, subito! Chistu uaglione è lento comm na lumaca. Cosa devo fare, devo mandarti un invito scritto?” Il maresciallo Viglietti, comandato alla Stazione Carabinieri di Capalbio, non era convinto che Garibaldi avesse unificato l’Italia. Troppe incomprensioni esistevano ancora tra chi sapeva mettere le cose nell’ordine giusto d’importanza, come riteneva di essere lui, e chi seguiva passo passo tutte le benedette regole e regolamenti. In altre parole: per il maresciallo prima veniva il caffè e poi tutto il resto, salvo partire in quarta sovvertendo le priorità in caso di urgenza, mentre per il carabiniere, al quale si rivolgevano le sue lamentele, scrivere un rapporto era come redigere un testo sacro: non si poteva lasciare senza finirlo, cascasse il mondo. Il conflitto tra le due mentalità creava spesso nervosismo nel superiore e frustrazione nel sottoposto che più volte aveva pensato di chiedere un trasferimento dalle parti di Cavarzere, o su di lì, per tornare a fare il proprio dovere con la serena disciplina che, vicino all’imprevedibile maresciallo, era la cosa della quale sentiva maggiormente la mancanza. “Comandi!” “Era ora…! Prendi la macchina che dobbiamo andare in Chiesa.” Comandi…deve confessarsi?” “Oh mammamia, questo sembra sempre caruto a rint o lietto (caduto dal letto). No caro, la coscienza mia è linda e pinta come un lenzuolo fresco di bucato. Ha telefonato il parroco che pare abbia trovato un morto ammazzato vicino all’altare.” “Maria Verzine Benedeta!” Esclamò il carabiniere Predolin. “Esattamente. – ribattè Viglietti – Dobbiamo andare, iamme bell!”  Meno di dieci minuti e la Benemerita si presentò sul luogo del delitto. Il Parroco, dopo aver steso un pietoso lenzuolo sul corpo dello sconosciuto, si era raccolto in preghiera sull’inginocchiatoio sotto al Cuore Immacolato di Maria cercando con le sue preghiere di esorcizzare il demonio che aveva fatto irruzione nel Sacro Luogo ed accompagnare l’anima del povero defunto. Così lo trovarono i militari, affranto e sconvolto, ancora incredulo per ciò che era avvenuto praticamente sotto i suoi occhi. “Buongiorno, sia lodato…e così via.” Si presentò salutando il maresciallo, non avvezzo alle formule d’uso quando incontrava un religioso. “Allora, cosa è successo qui?” “Maresciallo mi dispiace averla disturbata a quest’ora di notte, ma…venga, venga a vedere!” Con aria contrita, don Biagio condusse la piccola processione, formata da lui stesso e dai due carabinieri, lungo la navata principale fino alla cappella laterale dove il bianco del pietoso sudario spiccava sulla pietra rossastra del pavimento. Viglietti si chinò per scostare il lenzuolo e scoprì il corpo. Si trattava di un uomo, della presunta età di una cinquantina d’anni, con un abito formale che sembrava di buon taglio e scarpe eleganti. Giaceva supino, tra la fila dei banchi ed un piccolo altare devozionale con il quadro di un santo, con le braccia lungo i fianchi e le gambe leggermente divaricate. La causa della morte era evidente: il cranio risultava sfondato nella parte posteriore, ed una notevole quantità di sangue si spandeva sotto la testa formando piccoli rivoli negli interstizi dei lastroni del suolo. Il maresciallo controllò l’ora: le una e trenta antimeridiane. Per fortuna (?) quella sera si era trattenuto in ufficio, insieme all’appuntato, per completare una pratica rognosa da inviare con urgenza al Comando quando aveva ricevuto a telefonata del prete. Così era arrivato con la massima tempestività, dando prova della proverbiale efficienza dell’Arma. Il maresciallo, con la punta delle dita, sbottonò delicatamente la tasca posteriore dei pantaloni dove un evidente rigonfio faceva supporre fossero riposti i documenti dell’uomo. Prese il portafoglio che sembrava essere di vero coccodrillo e, dopo aver notato come fosse ben fornito di contante, ne tirò fuori la patente e un biglietto da visita che spuntava da uno scomparto. “Vediamo…qui dice che il tale si chiamava Pietro Lucchetti, licenza rilasciata dalla Motorizzazione di Roma. Il biglietto da visita…uhmm…Lucchetti…AZZ!!!: Ufficiale Prefettizio Delegato alla Provincia di Roma. Un morto eccellente!” “Dobbiamo chiamare i ROS?” Il solerte Predolin si stava agitando per il suo primo vero caso d’omicidio e per la figura della vittima che sembrava essere importante. “Stai calmo. Prima avvisiamo la Centrale per avere Scientifica e Medico Legale, poi vedremo il da farsi. Non sia mai detto che non siamo in grado di gestire la situazione.” Con calma e autorevolezza il Viglietti dette il via alla macchina investigativa e da lì a poco la pace della Chiesa venne sconvolta da quello che sembrava il set di un telefilm della serie C.S.I.
Nel salone di parrucchiere (pour dame e uomo) della Kathia la notizia di un tanto efferato crimine, commesso a non più di cinquecento metri di distanza, rimbalzava da una poltrona all’altra con le clienti che facevano a gara a proporre supposizioni e domande che non potevano avere alcun riscontro. Le postazioni erano tre: la prima occupata da una permanente e tinta, in persona della signora Tina, casalinga di mezz’età; in quella di mezzo sedeva la signora Adele al momento impegnata da una ceretta anti irsutismo che le ricopriva una vasta parte del volto e, nella seduta in fondo, una rotondetta signora Clara che si era portata la fotografia, strappata da un giornale, della cantante Amy Winehouse per far ricopiare la sua acconciatura “a cofana”. Essendo quest’ultima di statura più che modesta, supponeva che i capelli raccolti verso l’alto le conferissero slancio, e non voleva assolutamente cambiare idea anche a fronte delle argomentazioni contrarie della parrucchiera che, velatamente e con molto tatto, le aveva fatto intendere come, insistendo con quella pettinatura, esistesse il serio rischio di incappare nell’effetto “teiera”. “Non può essere stato uno del paese. – Disse la Tina – Quello nessuno lo conosceva ed era chiaramente un forestiero, magari un turista.” “Ma va’! – le rispose Adele che, essendo abbonata SKY da molti anni, non si perdeva un telefilm poliziesco. – Pensi che sia capitato in Chiesa per caso e abbia sbattuto la testa contro un candelabro? Sei ingenua, secondo me è un regolamento di conti.” “Ragazze, -intervenne la Clara – tenete presente che il morto era una personalità. Per me c’è sotto una rivalità politica.” Ovviamente erano parole in libertà e la Kathia stava a sentire divertita quelle che, con tutte le ragioni, le sembravano solo sciocchezze. Ma anche nella mente della parrucchiera non mancavano gli interrogativi, alimentati dalla sua proverbiale curiosità e dagli agganci privilegiati di cui sapeva di poter usufruire essendo buona amica del maresciallo Viglietti. L’omicidio era quasi una provocazione per lei che altre volte aveva contribuito a risolvere casi di cronaca più o meno nera. Doveva andare dal militare per convincerlo di metterla al corrente dei particolari del caso. Sapeva come fare. Finì di lavorare sulle clienti e poi prese eye liner, rimmel e rossetto per prepararsi a vincere un’eventuale resistenza da parte delle forze dell’ordine.
“Vittorio, - la Kathia chiamò il marito per avvertirlo – chiudo il negozio e vado fare delle commissioni. Se faccio un po’ tardi, prepara tu qualcosa per cena. Ci vediamo dopo.” La fedele Panda 4 X 4 condusse la parrucchiera su per i tornanti che da Borgo Carige portavano a Capalbio, mentre la guidatrice era in dubbio se slacciarsi anche un altro bottone della camicetta. Ma forse sarebbe stato troppo. “Assolutamente no!” Il Maresciallo fu perentorio. “Non ti posso dire niente. Le indagini sono in corso, c’è il segreto istruttorio e se si viene a sapere che m’è scappata qualche notizia la mia prossima destinazione sarà la caserma di Macomer: Sardegna profonda.” “Però, che amico…” Slash, slash: fu questo il rumore delle ciglia sbattute con aria birichina dalla parrucchiera in cerca di indiscrezioni. “Pensavo che tra noi ci fosse più confidenza. Evidentemente…mi sbagliavo.”  “Sì, scusami, ma ti sbagliavi. Sai quanto mi…vabbè, ma quando la vittima è un agente del SISDE…ecco, m’è sfuggito. Non lo dovevo dire. Hoèèè uagliona, se ti lasci scappare una parola…” “Marescià, comm site scucciante.” Dicendo queste parole la Kathia non potè trattenersi da mettere la mano sul fianco con aria sdegnata e, meglio della Lollo nei confronti di De Sica, si voltò incamminandosi ancheggiando verso la sua autovettura.
Ehhh, ma non la conosceva. Non c’era niente di meglio che una porta chiusa per far desiderare alla donna di sapere cosa ci fosse al di là. E poi quell’accenno ai servizi segreti apriva una tale gamma di scenari avventurosi che improvvisamente la Kathia si vide nei panni di Pussy Galore, Kissy Suzuki o addirittura Teresa di Vincenzo. Per gli sprovveduti che non fossero fan di James Bond, le sopra citate signore sono le eroine di 007, e la parrucchiera, avendo letto tutti i libri di Ian Fleming da “Casino Royal” a “Octopussy”, aveva spesso fantasticato di immedesimarsi in quei personaggi pieni di fascino. Ovviamente a Borgo Carige era improbabile imbattersi in Goldfinger o nel Dottor No, ma chissà che dietro al delitto in Chiesa non si potesse celare la mano della SPECTRE. Tornando coi piedi per terra, la Kathia decise di fare un altro tentativo per saperne di più sull’omicidio andando a parlare con la sola altra persona che poteva rivelarle qualche particolare: don Biagio.
Il religioso non sapeva come comportarsi. Nel Codice di Diritto Canonico era riportato che se in Chiesa fosse stato commesso un atto di sangue o di violenza, La casa del Signore doveva essere riconsacrata con l’intervento del Vescovo e, fino a quel momento, dovevano essere sospese le funzioni pubbliche. Ma non si parlava della somministrazione dei Sacramenti. Nell’agenda del parroco erano previsti per quella settimana due battesimi e la cresima di un adulto che si doveva sposare. E poi, tutte le mattine, si presentavano donne desiderose di confessarsi. Cosa doveva fare? Sospendere tutto e magari mettere a rischio qualche anima o continuare nel suo compito pastorale? Rimuginava tra sé il dilemma quando: “Eccone un’altra.” Si disse vedendo una figura femminile avvicinarsi. Don Biagio si trovava proprio vicino ad un confessionale e non aveva cuore di allontanare quella povera pecorella che con aria tanto contrita ed un atteggiamento di santa modestia gli si stava avvicinando. La Kathia aveva indossato la sua gonna più lunga e si era messa un foulard sui capelli come neanche la più beghina delle fedeli ancora usava portare. “Padre, mi devo confessare” “Vieni figliola. Inginocchiati lì” A don Biagio sembrava di aver riconosciuto nella donna la parrucchiera del paese, ma quella non era certo una devota praticante e l’aria dimessa sicuramente non le apparteneva. Forse la penombra lo aveva ingannato e si trattava di una penitente occasionale. “Da quanto tempo…” <se glielo dico, gli prende un colpo> “Non ricordo, Padre.” “Dimmi, per cosa chiedi perdono al Signore?” <Da dove comincio? Devo dire tutto tutto? Andiamo per gradi.> “Non sono andata a qualche Messa, ho detto qualche bugia, ho parlato male di qualcuno.” “Altro?” <Vabbè…> “Ho commesso peccato di desiderio e qualche atto impuro.” “Ahhh, immaginavo. E, figliola, quali sono stati, quanti sono stati e con quale frequenza hai commesso questi atti impuri? Eh?” La Kathia qualcosa disse, certe cose omise e altro sorvolò cercando di essere mediamente sincera. Mentre si confessava la donna pensava anche a come portare il prete a parlare dei recenti avvenimenti. Non era facile passare da un elenco di mancanze morali, o supposte tali, al fatto di cronaca. Poi, visto il luogo santo, le venne l’illuminazione. Finito di dire l’atto di dolore, mentre si accingeva ad alzarsi, disse buttandola lì: “Reverendo padre, non è per caso che le seve una perpetua che le curi la casa? Vede, mi trovo in una situazione difficile e se lei mi assicurasse un pasto caldo al giorno io mi potrei impegnare per mezza giornata a pulire e sistemare la canonica.” La proposta lasciò stupito il prete e gli confermò ancora una volta di come fossero infinite le vie del Signore. “Beh figliola: si può fare. Potresti cominciare da domattina, se per te va bene.” “D’accordo reverendissimo. A domani.” Così dicendo la donna si allontanò dalla Chiesa preparando i suoi piani di circonvenzione. La prima cosa era non farsi riconoscere. Quel pomeriggio, complice la semi oscurità, era andata bene, ma l’indomani col sole le cose sarebbero cambiate. Non a caso uno dei periodi di maggior lavoro per la parrucchiera coincideva con la festa di Halloween. In quei giorni c’era la fila fuori dal negozio per farsi acconciare, ma soprattutto truccare, e tanti giovani entravano in forma umana e uscivano con le sembianze di zombie tanto ben mascherati che erano capaci di spaventare anche i familiari. Questa volta avrebbe provato su se stessa. Non sarebbe arrivata al punto di sembrare uscita da una tomba, ma con una bella parrucca bianca, rughe finte e occhiali era abbastanza certa di rendersi irriconoscibile. Il tutto andava completato con un cuscino sotto la veste per infagottarsi e con il fazzolettone della nonna, che aveva trovato in fondo al canterano, a coprire metà testa: perfetto! Ci vollero tre mattinate di fatica e chiacchere per entrare in confidenza col prete, e poi finalmente la donna, sotto mentite spoglie, riuscì a portare il discorso dove voleva. “Certo che ultimamente ne sono successe di cose, vè?” “Oh, cara Rina – pseudonimo assunto dalla Kathia per recitare la sua parte – Il Signore ha voluto mettere alla prova la mia pazienza e la mia fede. Se ti riferisci al delitto in Chiesa, in nomine Patris et Filii…, io credo che Satana si sia manifestato.” “Mi racconti, padre. Si sfoghi.” “Cara, carissima, cosa devo dirti? Ho solo trovato quel pover’uomo stramazzato al suolo in un bagno di sangue.” “Ha notato qualcosa di particolare che magari l’ha colpita?” “No figliola, ero troppo sconvolto. Anzi ti dirò che l’impressione è stata tanta che ancora, a volte, quando la sera vado in Chiesa per le orazioni mi sembra di vedere un’ombra tra le navate, una specie di presenza. Controllo sempre, ma non trovo nessuno. Certamente è la mia immaginazione o il demonio che ancora si aggira da queste parti.” “Mi dica: quest’ombra capita spesso?” “Oh benedetta, quasi tutte le sere, ed è curioso come sia sempre la stessa ora. Poi più niente, né prima né dopo.” La Kathia drizzò le orecchie, eufemisticamente, e le venne un sospetto.
Poteva essere pericoloso, ma lì stava il divertimento. Padre Biagio incontrava le sue ombre alle diciannove e per quell’ora la Kathia si nascose dietro un grande pino che fiancheggiava il sagrato della Chiesa. Voleva verificare se quelle del prete fossero solo paranoie o se c’era sotto qualcos’altro. In quel periodo dell’anno la notte calava presto e, dietro l’albero, la donna, invisibile nelle tenebre, aveva una prospettiva ideale sul portone principale del tempio e sui dintorni. Avrebbe sicuramente visto una macchina avvicinarsi o qualcuno che si fosse aggirato nei paraggi. La parrucchiera era sempre stata scettica riguardo le storie di presenze soprannaturali o di sensazioni oscure. Tendeva a pensare che se si avvertiva un’intrusione, il più delle volte era perché si era udito un rumore o visto qualcosa. Quindi, a meno che il prete non fosse in stretto contatto con l’aldilà, anche le sue impressioni dovevano derivare da un segnale reale. Non dovette aspettare molto. Quasi gli sfuggiva, ma per un breve momento si stagliò chiaramente contro il muro giallino della Chiesa una figura con una specie di soprabito scuro che, dall’angolo dell’edificio, scivolava verso l’entrata. “Eccoti spettro di Banquo. Puntuale e in carne e ossa. Devo avvicinarmi.” In certi momenti l’adrenalina va alle stelle e si compiono azioni che, ripensate successivamente, appaiono pazzie inconcepibili. La donna lasciò il suo rifugio e, cercando di volare sul ghiaietto dello spiazzo, si accostò al portone. Aprì di uno spiraglio la porta che, per fortuna, era oliata e perfettamente bilanciata sui cardini in modo da non provocare alcun rumore. Sporse la testa all’interno e vide. Non era la fantasia di don Biagio, c’era effettivamente una persona che, china verso un pilastro della Chiesa, stava frugando nella cassetta destinata alle elemosine. Non dava l’idea di un barbone e non poteva essere un ladro che veniva tutte le sere per non trovare niente da rubare. E poi il parroco non aveva mai denunciato furti di alcun genere. No, quello cercava altro, che evidentemente non trovava, sera dopo sera.
“Insomma, Viglietti, tu e i tuoi uomini vi appostate come ho fatto io. Prendete l’uomo e l’interrogate. E, se fate così, non caverete un ragno dal buco.  Certamente dovrà darvi qualche spiegazione, ma non avrete uno straccio di prova che quello sia collegato al delitto. Invece, senti un po’ che farei io al posto tuo…” Il maresciallo ebbe la saggezza e l’umiltà di seguire il suggerimento della parrucchiera e non arrestò subito il sospetto, ma lo fece seguire ed identificare. Venne fuori che era un addetto all’ambasciata di un paese del sud est asiatico e che la cassetta delle elemosine fungeva da “buca delle lettere” per i messaggi che si scambiava con i rappresentanti di una organizzazione terroristica che si stava attivando sul territorio. L’agente dei servizi segreti aveva scoperto tutto e, quando aveva cercato di fermarlo, il malvivente l’aveva aggredito colpendolo a morte.
Da “Il Tirreno” del giorno dopo: “Sgominata un’organizzazione terroristica collegata con spie dell’est. – I Carabinieri messi sulla pista giusta dall’intraprendenza di una nostra concittadina. – Chiarita la dinamica dell’omicidio in Chiesa – “La Kathia gongolava ricevendo le congratulazioni dei paesani e dello stesso Sindaco. Aveva vissuto una parte simile a quelle viste nei film e, anche se Viglietti non si poteva paragonare a Sean Connery e lei non somigliava affatto a Ursula Andress, il piccolo Borgo Carige per un momento si era trasformato magicamente in Manhattan.
Don Biagio è ancora alla ricerca di una perpetua che lavi, stiri e sappia cucinare.


L'incoscenza

C’era una volta un filo d’erba, anzi no…una montagna con la cima innevata. Un ragazzotto camminava su quel prato senza pensare a niente, la sua giovinezza non gli permetteva di sentire la brina che gli bagnava le scarpe, ed una canzone in testa lo distraeva dallo spettacolo del massiccio che racchiudeva la valle. Anche il vento gli scompigliava i capelli senza che lui se ne rendesse conto. Il sole gli scaldava la camicia e la fatica della passeggiata lo faceva leggermente ansimare, ma lui non se ne curava. Fischiettava, a volte cantava qualche parola, e quel rumore spaventava i piccoli animali del bosco che si rintanavano aspettando di veder passare l’estraneo. Ma lui non vedeva. Allora la natura decise di sfidarlo ed improvvisamente mise in scena il tramonto più spettacolare che la valle avesse mai rappresentato. Una sfera di fuoco rossa si tuffò dietro un candido ghiacciaio mentre i riflessi dei raggi del sole calante rimbalzavano sulle nevi creando mille piccole scintille. Lame di luce si persero tra gruppi di nuvole bianche erranti nel cielo di un azzurro profondo e sereno. L’aria tersa esaltava i colori ed ogni minimo particolare del paesaggio spiccava distinto e nitido fino in lontananza. La maestosità delle rocce parlava di eternità, di ordine nel creato, di vanità degli umani assilli e nello stesso tempo suggeriva che ci fosse un senso per tante domande che mai hanno avuto risposta. Anche il ruscello che, al lato del sentiero, scorreva fra rocce e felci, sembrava avesse preso vigore formando mulinelli e piccole cascate e facendo sentire forte lo scroscio dei flutti spinti dalla corrente. Ma il ragazzotto continuava la sua passeggiata, non vedeva, non sapeva guardare, non capiva, non si rendeva conto di essere anche lui parte di un creato perfetto e terribile. Finché, distrattamente, dette un calcio ad un sasso. Sembrava piccolo e lui pensava di gettarlo lontano, ma era ben interrato e fece ostacolo al colpo. Il ragazzotto si fece male; provò un acuto dolore al piede e si fermò per controllare se fosse ferito o contuso. Improvvisamente, a fronte del dolore, quella sorta di felicità di qualche attimo prima svanì. Il ragazzotto pensò a quanto fosse stato sfortunato e, nel massaggiarsi la caviglia, finalmente alzò lo sguardo. Era giovane, la pena passò presto. Riprese la sua strada ed a fischiettare la canzonetta. Dietro di lui tutto rimase com’era, continuando nell’eterno suo ciclo. La valle presto ne dimenticò il passaggio.

mercoledì 2 settembre 2015

Non aprire gli occhi

Non aprire gli occhi: stai dormendo. Stai sognando, è solo un brutto sogno. Quando ti sveglierai sarà tutto passato. Il tuo dolore, la mia paura, la tua angoscia, la mia impotenza, svanirà tutto come la fredda brina al calore dei primi raggi di sole. Abbandonati alle mie carezze: è la sola sensazione che devi provare. Le mie mani sono un ponte tra i nostre anime ed il mio tocco ti darà tutto il nutrimento che l’amore può dare. Shhh: non parlare; socchiudi le labbra solo per sorridere e, se ti resta la forza, per darmi un bacio. Non è la prima volta: quanti abbracci nei tanti anni vissuti insieme, ma è come se fosse una sensazione nuova e meravigliosa, immensa come è la voglia di sfiorare le tue labbra ancora ed ancora per tutti gli anni che ci aspettano. Perché lo sai: tu adesso stai in un posto non tuo. Il dolore che provi e quello che ti circonda non ti appartengono e presto li lascerai come nemici vinti e ripudiati con la forza della tua volontà ed il sostegno di chi ti ama. Lasciati detergere il sudore e quella piccola lacrima, non posso fare altro per te in questo momento. Abbiamo sempre diviso tutto e vorrei che anche ora potessimo spartire il tuo Calvario. Non è giusto che tieni per te tutta la sofferenza, lasciami parte di questo carico che stai coraggiosamente trascinando in un freddo letto d’acciaio. Dammi qualche tuo affanno, basta che lo accompagni con una scheggia della tua forza d’animo. E poi cerca di uscirne al più presto che ti devo ancora abbracciare, stringere, baciare forte ancora più di prima. Adesso sono accanto a te, come lo sarò per sempre, e se sto nascondendo la mia pena è solo perché in realtà questo luogo non esiste e noi non ci troviamo qua. Siamo altrove e questo è solo…un brutto sogno. Riposati e stringi la mia mano, quando aprirai gli occhi riderai ancora come una volta ed io rimetterò insieme i pezzi del mio cuore.   

martedì 4 agosto 2015

un biglietto per la rivoluzione

La rivoluzione in un biglietto. Macchè Tsipras o Varufakis, io e Susy facciamo la rivoluzione. Ce ne freghiamo di quella culona del Bundestag e voliamo in Grecia. Forse non sarà prudente, non funzioneranno i bancomat, ci sarà qualche disagio, ma chi se ne frega! La vampira teutonica non può succhiare il mare, le disposizioni sul latte in polvere non renderanno insipida la feta, qualche oliva si troverà, e a noi basta. Se andare in un’isola dove hanno soggiornato gli dei dell’Olimpo ed il sirtaki accompagna le notti vuol dire sfidare la sorte, ebbene andiamo sulle barricate! Alekos è mio fratello, Atina mia sorella, il vento accompagna i nostri sogni e nella caldera di Santorini si tufferà la nostra anima mediterranea. L’età ci impedisce di scendere in piazza, la razionalità di brandire selci, la vergogna o il perbenismo di inalberare cartelli, ma un’arma l’abbiamo: possiamo scegliere. Non la fredda città con una porta ed un muro, ma l’isola con il blu infinito e Poseidone che gioca con i delfini. Non vogliamo lo stordimento con la birra e le tristi canzoni che abbracciati infondono forza, ci basta essere in riva al mare con due musicisti che intonano un sirtaki, dolce e fiero. Mai violenza, alla nostra età non possiamo permettercela, ma un gesto contro. Contro chi vorrebbe affossare la nazione che è stata la culla della civiltà ed, appresso a questa, la nostra Patria “sì bella e perduta”. Certo non faremo un sacrificio lasciandoci cullare dalle onde ed assaggiando la moussaka dell’amico Nicos, ma quest’anno tutto avrà una valenza differente. Il nostro euro sarà un mattoncino che contribuirà a non far crollare il Partenone e la nostra presenza significherà che il grande Mare Nostrum potrà non fare argine allo strapotere di chi il freddo lo ha nelle ossa, ma quando dalle sue profondità emergerà un altro bronzo come a Riace o un fauno con il suo flauto, capiremo tutti come non siamo solo degli schiavi della partita doppia. La bellezza, come diceva Camus, è rivoluzione, e quando si riuscirà a strappare la cancelliera dall’abbraccio degli gnomi e portarla a sedere ad un tavolo imbandito sulla sabbia con la risacca in sottofondo, forse la sua sturm und drang romantica la farà tornare tra di noi. Insomma, abbiamo rispolverato le camicie a fiori, la bandana e le espadrillas. Forse è un po’ fuori tempo, ma non sfigureremo scorrazzando per le vie di Skiathos a bodo di uno scooter, e finché i reumi non ci impediranno di saltare (si fa per dire) in sella, faremo risorgere il nostro vecchio spirito hippy. Almeno per i quindici giorni della vacanza.   

AFTER MIDNIGHT: Il mare d'inverno

AFTER MIDNIGHT: Il mare d'inverno: “Il mare d’inverno è solo un film in bianco e nero visto alla tv” Queste parole, ritmate secondo il corrispondente motivo musicale, si ripe...

Il mare d'inverno

“Il mare d’inverno è solo un film in bianco e nero visto alla tv” Queste parole, ritmate secondo il corrispondente motivo musicale, si ripetevano nella testa di Vittorio mentre, con lo scooterone, percorreva la strada di Chiarone in direzione dell’Ultima Spiaggia. Era verso l’inizio di Novembre quando le giornate si accorciano e la stagione non sa se virare verso l’inverno o rimanere aggrappata a nostalgie d’autunno. Nelle prime ore del pomeriggio, in sella alla moto, l’aria era fresca, mentre nel cielo grosse nuvole si rincorrevano lasciando scappare sprazzi di sole subito nuovamente oscurati. In realtà non aveva nessun impegno che lo portasse verso la costa, ma Vittorio doveva pensare. Ogni volta che gli si presentava un problema lui cercava di isolarsi dal resto del mondo e, se questo capitava fuori stagione, la cosa ideale era sedersi sulla spiaggia guardando verso l’orizzonte. In quel momento gli si svuotava il cervello, e nel nulla spesso gli appariva la risposta a quanto lo stava angustiando. Quando il mare era agitato, con cavalloni grossi, rumorosi ed aggressivi, si sentiva piccolo, inerme ed impotente nei confronti della maestosità della natura, in balia di forze troppo più grandi di qualunque uomo. Questo sottrarre responsabilità al proprio destino, riconoscere come, in fondo, tutti gli sforzi siano vani se messi a confronto di un fenomeno semplice ma terribile, gli infondeva un senso di serena rassegnazione che aveva il potere di consolarlo di tutti gli affanni. Anzi, più il mare mugghiava in tempesta, il vento urlava scatenandosi in raffiche e provocando mulinelli di sabbia e qualche scroscio di pioggia riusciva a schiaffeggiarlo, maggiormente si lasciava andare, quasi come fosse cullato tra le braccia di una grande madre burbera ma alla fine benevola.  Arrivato in prossimità dello stabilimento balneare, abbandonato e chiuso con assi di legno, lasciò la moto nel parcheggio avviandosi sulla passerella di legno che portava all’arenile. Lo spettacolo che gli si parò innanzi dopo pochi passi era degno di un Dies Irae: mare e cielo confusi in un grigio striato di schiume e nuvolaglie biancastre, qualche lampo spettacolare e tutt’intorno la desolazione di non vedere anima viva. Perfetto. Era proprio quello che ci voleva per riflettere sugli ultimi avvenimenti di casa.
Veronica era tornata dalla scuola in lacrime come raramente prima d’allora. “Che succede?” Kathia, vedendo la figliola con gli occhi gonfi di pianto e singhiozzante, si allarmò subito. “Ti è successo qualcosa? Dimmi!” “No a me niente, ma il mondo è marcio e ingiusto!” Questo tranquillizzò la madre che però continuava a non capire il motivo della tragedia. “Si, direi che sono d’accordo. Te ne sei accorta adesso, ma tanto, prima o poi, la vita te l’avrebbe insegnato. Cos’è che ti ha sconvolto tanto?” La ragazza era nella fase della prima pubertà, quando i sentimenti ed i valori hanno tutti la lettera maiuscola: Amore, Amicizia, Sincerità e gli avverbi di tempo sono sempre superlativi: per sempre, mai più. Ogni bugia di un’amica era un Tradimento, qualsiasi promessa mancata dai genitori una Delusione ed ogni canzone di Laura Pausini: Mitica. Con la maturità avrebbe scoperto il relativismo e sarebbe diventata, come tutti, un po’ più cinica. “No, non puoi capire. (Quasi tutti i discorsi rivolti al padre o alla madre cominciavano così.) E’ successa una cosa tremenda.” “Parla, cercherò di sforzarmi per comprendere” Kathia non voleva prendere in giro la figlia, ma tante volte le rispostine gliele strappava. “Allora, sai quel ragazzo di colore che sta nella mia classe? Beh, è stato sospeso. Sospeso, capisci? E’ l’anticamera della bocciatura, se non peggio. I genitori vogliono ritirarlo dalla scuola e portarlo via da qui.” “Perché, che ha fatto?” “NIENTE ha fatto! E’ solo nero di pelle, extracomunitario e povero. Queste sono le sue colpe. Non è giusto!” “Aspetta. Va bene il colore e tutto il resto, ma per adottare un simile provvedimento ci devono essere gravi motivi.” Veronica fece uno sbuffo ad indicare come fosse inutile quella conversazione con chi non era in grado di immedesimarsi nel dramma. “Adesso ti spiego. Nel cortile di scuola, da qualche tempo, spariscono le biciclette. Sono legate con lucchetti e stanno parcheggiate nelle ore di lezione, ma sono tante e incustodite. Lo spiazzo sta nel retro dell’edificio ed un muro cieco è stato attrezzato con tubi di ferro per dar modo di incastrare la ruota anteriore delle bici. Siccome quasi tutti andiamo con quel mezzo, non ti dico che ce ne staranno centinaia, ma svariate decine sicuramente.” Kathia interveniva con piccoli grugniti di comprensione ed incitamento al racconto. “Ok, quindi?” “Da qualche tempo, al momento di tornare a casa, qualcuno non ha più ritrovato il suo mezzo. Ma il fatto che ha scatenato l’ira del preside è stato che pochi giorni fa hanno rubato anche la sua Bianchi nera con filettini dorati che lui tanto amava e teneva come un gioiello.” “Va bene, a quanto dici, tutto succedeva nelle ore di lezione, e quindi il tuo compagno stava in classe. Non può essere stato lui.” “Brava mamma! E’ esattamente quello che diciamo noi, ma il Consiglio d’Istituto afferma che, pur non avendo prove certe, altrimenti sarebbe partita una denuncia ai Carabinieri, sono convinti che Yussef sia coinvolto nei furti. Ai ragazzi non vogliono dare spiegazioni dettagliate trincerandosi dietro la motivazione della privacy e per non screditare ulteriormente il mio compagno, ma così non vale!” “Non vale?” “No, che non vale. Non possono rovinare la vita alla gente senza dirlo chiaramente. Ho parlato con lui a ricreazione e mi ha confidato che il padre vuole mandarlo a lavorare. A fare il suo lavoro: il vucumprà sulle spiagge.” Su quest’ultima affermazione Veronica non poté trattenere un singhiozzo e riprese a versare calde lacrime buttandosi tra le braccia della madre. “Su, su, dai. Facciamo così: diciamo a tuo padre di parlare con il signor Alfonso, il suo amico che fa parte del Consiglio, e di farsi spiegare il perché di quel provvedimento. In questa maniera avremo tutto più chiaro e comprensibile.” Si vedeva che Veronica non era convinta. “Papà? Sei sicura, mà? Quello con l’Alfonso si mettono a parlare di macchine e non arriviamo a niente.” “Oh, bimbina, rispetto per tuo padre! Mica l’è un grullo. Quando deve parlare di cose serie lo fa’.” “Va bene, mammina.” E sbattendo gli occhioni umidi, con un’espressione tenerissima che di colpo l’aveva riportata a quella bambina che in realtà era, Veronica scoccò un bacio sulla guancia della madre. Poi corse verso camera sua dove, forse, avrebbe ripreso quel pianto che, nella disperazione, le dava anche tanta soddisfazione.
“E’ semplice: vai dall’Alfonso e ti fai spiegare che c’hanno contro quel ragazzino. Poi torni e riferisci. Và!” Nella maniera in cui un generale comanda un sottoposto, così la Kathia istruì il marito con ordini precisi e perentori. A Vittorio sarebbe venuto spontaneo un “sissignora”, magari accompagnato dallo sbattimento dei tacchi, ma quando vedeva negli occhi della consorte il cipiglio decisionista, capiva che non era il momento di scherzare. Era ancora indeciso se rispondere con “obbedisco” o con “veni, vidi, vici” quando la moglie, vedendolo titubante, lo incitò mellifluamente dolce: “Amore, c’è qualcosa che non ti è chiaro?” Rotti gli indugi, Vittorio partorì uno stentoreo “OK!”.  
Alfonso era un giornalista che in quell’Istituto aveva due figli in due “plessi” differenti. Scrivendo da casa in modalità “free lance”, ovvero precaria, disponeva di molto tempo libero che, per loro disgrazia, occupava interessandosi di ogni aspetto della vita dei ragazzi, ad iniziare dalla scuola. Per essere ancora più addentro alle vicende scolastiche, aveva brigato e fatto una vera e propria campagna elettorale per essere nominato a fianco dei docenti come membro degli organi consultivi stabiliti dal Ministero della Pubblica Istruzione. In quella posizione si sentiva un novello Mazzarino che, con i suoi pareri, riusciva ad influire sul governo di quell’istituzione. Con Vittorio si incontrarono per un aperitivo al bar di fonte alla Chiesa e, dopo i doverosi commenti sull’ultima campagna acquisti della Fiorentina, finalmente affrontarono la spinosa questione. Il colloquio si protrasse per più di un’ora. Alfonso mise al corrente l’amico sulla vicenda di Yussef, ma non solo. Gli disse anche tutto quello che succedeva nella scuola, e specialmente tra i ragazzi dell’età dei loro figli, senza tacere neanche di quello che il corpo docente supponeva accadesse pur non avendone le prove certe. Fu quest’insieme di rivelazioni che sconvolse Vittorio spingendolo a disertare il pranzo a casa ed a scappare verso il mare. Sperava che, come spesso era successo, avrebbe ritrovato la necessaria calma per tornare da Kathia e condividere con lei quanto aveva saputo. Dopo un abbondante dose di iodio carpito all’aria salmastra ed aver ritrovato una parvenza di serenità, verso le quattro del pomeriggio, Vittorio si presentò alla porta del negozio di parrucchiere della moglie. “Puoi uscire un momento?” disse alla Kathia affacciandosi alla porta. “Cosa c’è?” Rispose la donna stupita nel vedere il marito a quell’ora e con la faccia stravolta. Sembrava un mascherone di carnevale: gli occhi allucinati, i capelli arruffati dal vento e incollati in ciocche, sbaffi grigiastri di sale rappreso sulla pelle di un pallore innaturale. Se non lo avesse conosciuto così bene avrebbe pensato che si fosse fatto qualche sostanza, ma lui non era il tipo. “Dimmi è successo qualcosa?”  “No, niente. Però vieni fuori che ci fumiamo una sigaretta.” Una sigaretta? Ma il marito aveva smesso di fumare da più di cinque anni e spesso la rimproverava perché lei ancora indulgeva in quel vizio. Doveva trattarsi di qualcosa di importante. Kathia posò le forbici con le quali stava lavorando, passando le consegne all’Antonella, e raggiunse l’uomo già seduto sulla panchina antistante la sua bottega. “Ho parlato con Alfonso.” “Ebbene?” “Poi ti dirò del ragazzino e delle biciclette, ma sai che mi ha raccontato sulla scuola?” “Parla!” “Sembra che nei bagni del piano dove sta la classe di Veronica, abbiano trovato residui di spinelli! Non solo, mi ha detto che hanno distribuito tra gli studenti dell’età di nostra figlia un questionario, al quale si poteva rispondere anonimamente, per conoscerne le abitudini ed i problemi. Per fartela breve, pare che sia risultato che i primi approcci sessuali le ragazze li abbiano già intorno ai dodici anni e che il rapporto vero e proprio avvenga in media all’età di quindici anni.” “Vai avanti.” “Come: vai avanti?” Vittorio era quasi scioccato nel constatare come la moglie non fosse sconvolta quanto lui. “Non capisci? Pare che i compagni di Veronica, intendo i suoi coetanei, si droghino e facciano sesso! Alla loro età! Con mia figlia! La mia bambina! Non ci posso credere. Quel disgraziato dell’Alfonso mi deve aver detto una marea di cazzate. Bisogna fare qualcosa!  Andare dal Preside, da Provveditore, dal Ministro o dal Papa, non lo so, ma dobbiamo prendere provvedimenti.” La Kathia non aveva mai visto il marito in quello stato. Si rese conto che Vittorio aveva improvvisamente realizzato come la figlia non fosse più una bambina, che stava affrontando la vita nella stessa maniera di tutti gli altri ragazzi della sua età, e che forse si era trovata anche in situazioni per lui inimmaginabili. “Stai calmo, per me non è una novità.” “Pure…” “Vedi, è normale che una figlia si confidi più facilmente con la made che con il padre. Veronica mi aveva informato del questionario ed anche dei risultati che, peraltro, erano stati discussi in un’assemblea tenuta a scuola. Il sesso e la droga sono argomenti comuni tra gli adolescenti. L’importante è che i ragazzi sappiano che non li devono affrontare come un gioco, che gli stupefacenti sono un veleno pericoloso e che le prime esperienze possono essere bellissime o traumatizzanti a seconda di come vengono vissute.” Vittorio avrebbe voluto non essersi alzato quella mattina e che tutto quel giorno potesse essere cancellato come un file venuto male in una play list di preoccupazioni. “Allora…” provò a dire balbettando senza sapere neanche lui cosa volesse esprimere. “Allora – riprese la Kathia – te ne devi fare una ragione. La bambina sta crescendo e sta a noi, come genitori, starle vicino non nascondendo le brutture del mondo, ma dandole gli strumenti per difendersi. Stai tranquillo: lei è una ragazza con la testa sulle spalle.” Kathia accompagnò queste parole con una carezza sull’ispida guancia di Vittorio, intenerita nel vedere quell’uomo tanto spaventato e preoccupato. “Adesso veniamo all’altra parte della tua conversazione con Alfonso.” Proseguì la parrucchiera per sviare la conversazione e far tornare un po’ di serenità. “Si, certo, i furti.” Vittorio si prese qualche secondo per riordinare le idee dopo quella tempesta. “Dicevo: i furti. Ecco, in poche parole, hanno sospeso Yussef perché il Preside, un giorno che il ragazzo si presentò in ritardo alle lezioni, lo trattenne nel suo ufficio. E’ abitudine del dirigente chiedere agli scolari in punizione di vuotare le tasche per vedere se hanno qualcosa di proibito. Spesso ha ottenuto risultati soddisfacenti sequestrando sigarette “strane”, coltelli o altra roba vietata. Quando Yussef mise sulla scrivania i suoi averi, insieme ad altra paccottiglia, il Preside riconobbe il lucchetto della sua Bianchi. Pare fosse, come la bici, un modello antico, bello ma facilissimo da aprire, assolutamente originale e non confondibile con quelli moderni. C’era anche un foglietto pubblicitario con la réclame di un rivenditore di biciclette nuove, usate e pezzi di ricambio. I due elementi combinati convinsero il dirigente che il ragazzo fosse coinvolto nel traffico illecito, e quindi decise il provvedimento disciplinare.” “Beh, non aveva tutti i torti. – disse la Kathia – Certo non c’è la prova che lo studente abbia rubato, ma che ne sia in qualche modo implicato, mi sembra evidente. Mi piacerebbe parlare con lui e sentire le sue ragioni.” Così, ognuno con i suoi pensieri, i coniugi si presero per mano e si avviarono insieme verso la Panda 4X4 che li aspettava per riportarli a casa.  
Yussef sentiva tutto il peso del mondo gravare sulle sue gracili spalle di tredicenne. Aveva la strana sensazione da una parte di essere messo ai margini della società e, dall’altra, di venire tenuto sotto osservazione come un virus che potesse diffondersi infettando gli organismi sani. Non si sentiva mai al posto giusto. Da alcuni professori veniva interrogato troppo spesso come per vedere se si impegnasse veramente, da altri era quasi ignorato con un senso di sopportazione. Lui avrebbe voluto essere trattato come Rosselli o Manzotti o chiunque altro perché era un ragazzo come loro, ma forse avrebbe potuto essere così solo se tutti quelli intorno a lui fossero stati ciechi. Anche i compagni di classe, a parte qualche bullo che aveva convinto usando le mani, non gli erano ostili, ma neanche amici. Non era entrato in confidenza con nessuno e si guadava bene da far capire che gli sarebbe piaciuto moltissimo ricevere un invito per andare al cinema insieme o a prendere un gelato. Lo abbracciavano solo quando segnava un gol da centravanti della squadra di calcio, ma si rendeva conto che erano slanci di entusiasmo, non certo d’affetto. Adesso ci mancava pure questo guaio delle bicilette. Si era fidato di qualcuno perché, come ad un gatto randagio al quale si porge una ciotola di latte, lo aveva avvicinato offrendogli quello che lui cercava: considerazione e amicizia. Ma, per la sua ingenuità, lo avevano incastrato addossandogli colpe che non aveva. Ancora una volta, forse, perché era comodo indicare il diverso come la mela marcia. Yussef si sarebbe potuto discolpare facilmente, ma questo avrebbe significato tradire il suo unico amico. Non l’avrebbe fatto mai.
“Vengo vicino a te, devo ragionare a voce alta.” Disse la Kathia sedendosi sul divano accanto al marito che stava guardando la televisione. “Ti disturbo?” “Stai scherzando? Sto vedendo Fiorentina – Spartak Praga per i quarti di finale di Coppa UEFA. Parla pure quanto vuoi.” La moglie non colse il leggero velo di disperazione insito in quelle parole e, con gli occhi rivolti al soffitto, incominciò ad elucubrare. “Riepilogando la dinamica dei furti delle biciclette, possiamo escludere come colpevole Yussef perché era sempre presente in classe. Però, anche se il luogo è incustodito, è difficile possa essere stato qualche ladro occasionale. Da mesi spariscono un paio di bici a settimana, con regolarità, senza che mai nessuno abbia mai notato movimenti strani intorno al parcheggio. Improbabile che un ladruncolo sia tanto fortunato da non incrociare mai testimoni. E poi che senso ha questo stillicidio di pochi pezzi a volta? Se un malvivente avesse voluto impossessarsi delle bici, forse sarebbe stato più comodo e meno rischioso fare un bel colpo, magari caricandone una quantità su un camion, tutto in una volta. Non credi?” “Eh? Si, si eh come no? Azz…e passa quella palla!” “Mi stai ascoltando?” “Attentamente!” “Bene, e quindi diciamo che, probabilmente, il colpevole deve essere interno alla scuola. Se così fosse, conoscerebbe i momenti in cui le classi sono al lavoro e gli insegnanti impegnati, quando c’è l’uscita o se qualcuno si deve assentare andandosi a riprendere la sua bici. Il tipo, tenendo tutto sotto controllo, potrebbe regolarsi ed agire con tranquillità. Inoltre il fatto stesso che rubi poco e spesso denota una frequentazione ed una conoscenza approfondita del luogo. Giusto?” Vittorio capì che un’altra volta si richiedeva il suo intervento e ribatté prontamente: “Giusto!” anche se che cosa fosse giusto gli sfuggiva del tutto. “Vedi che mi dai ragione anche tu? – riprese la Kathia- E allora andiamo per esclusione. Gli alunni non sono stati, i professori li eliminiamo, non rimane che il personale non docente. A questo punto dobbiamo chiamare Viglietti.” “Chi? Ah, sì: il maresciallo. Chiamalo pure, ma non ti sembra un po’ tardi?” “La giustizia non ha orari!” La donna prese il cellulare nel quale aveva memorizzato il numero del militare ed inviò la chiamata. Il carabiniere, riconoscendo il mittente, rispose prontamente. “Ciao Viglietti, - incominciò la Kathia – ti devo vedere subito…..Non fare lo stupido, per lavoro…..Non da te, da me…..Si c’è…..No, non posso…..Ma che ti sei messo in testa?......Insomma, vuoi venire o no?......Ti aspetto.” Dopo poco il maresciallo arrivò a casa della parrucchiera e venne messo al corrente della teoria di Kathia e pregato di svolgere delle indagini. Se ne andò assicurando l’interessamento dell’Arma, ma un po’ deluso dalla freddezza di quella “ciaccona sfruculiosa”, come aveva soprannominato l’amica parlandone con gli amici.
Le indagini durarono poco. Il maresciallo, che al di là della maschia esuberanza, conosceva bene il suo mestiere, non ebbe difficoltà ad individuare nel bidello della scuola l’autore dei furti che fu prontamente arrestato. Yussef aveva trovato in lui un amico con il quale parlare durante le ore di ricreazione e che lo stava a sentire quando aveva la necessità di sfogarsi con qualcuno. Nel tempo il loro legame era diventato stretto e, solo per simpatia, il bidello aveva regalato quel maledetto lucchetto al ragazzo come augurio per l’acquisto di una bicicletta tutta sua. A questo proposito gli aveva dato anche il foglietto con l’indirizzo di una negozio dove gli avrebbero fatto uno sconto. Certamente se lo potevano permettere perché erano quelli ai quali il bidello portava le bici rubate che rivendevano a prezzi stracciati o smontavano per i pezzi di ricambio.
Yussef fu riammesso a scuola e scagionato da ogni sospetto. Anzi, agli occhi dei compagni, divenne quasi un eroe. Si era opposto al “Potere” non tradendo un amico. Divenne un fulgido esempio di lealtà e coraggio e, da quel momento, i ragazzi lo vollero tra le loro cerchie e le femmine lo guardarono con occhi diversi. La sua vita cambiò. Tutto questo, diciamolo, per merito della Kathia.
Quando tornò a casa, sul letto, la Kathia trovò un bacio Perugina ed cartoncino rosa così concepito: “Mamma, sei grande! T.V.T.B, tua figlia Veronica.” Sì, perché il padre non aveva fatto niente? Vittorio, letto il biglietto, non se ne ebbe a male, anche se si sentiva un po’ trascurato. Così è la vita, prese la Gazzetta dello Sport, inforcò lo scooterone e si diresse verso il mare.



   

martedì 28 luglio 2015

Interno Notte - Parte V



Interno notte.
Parte V. Scena I
Ora di cena in famiglia.
Attorno al tavolo Padre, Madre e due figlie di circa 28/30 anni.

Padre - Sono andato a comprare il tablet nuovo, come mi avevate consigliato. Soltanto che l’ho acceso e…Serenella, cos’è che ti meraviglia tanto?

Serenella (la figlia maggiore) – Niente, di che mi dovrei stupire?

P. – Non lo so, ma mi guardi con gli occhi sbarrati.

S. – Noooo, ho capito: sono le ali di gabbiano!

P. – Scusa?

S. – Le sopracciglia ad ala di gabbiano che, come dice “Clio make up” si alzano verso le tempie e danno luminosità allo sguardo. Non mi stanno bene?

P. – Si, insomma, ti danno un’aria un po’ inquietante. Sembri un gufetto che guarda il mondo appena dopo essersi svegliato.

S. - Maddai! C’è ‘ste estetista che è una maga. Mi ha definito le sopracciglia col filo e, con qualche altro piccolo intervento, mi ha tolto vent’anni dalla faccia.

Madre – Be’ considerato che ne hai 28, adesso dovresti apparire come una bambina di otto. Non sarà un tantinello eccessivo?

S. – A ma’, gli anni da togliere non sono mai troppi.

Veronica (l’altra figlia) – Hai ragione. E poi, con la competizione che ci sta tra noi ragazze, ogni aiutino è il benvenuto.

P. – Dici che questa che ti cura è brava, ma lì si è sbagliata.

S. – Dove?

P. – Le unghie. Te l’ha fatte una di un colore diverso dall’altra.

S. e V. insieme – Come sei anticoooo!!!

S. - Come fai a non sapere che adesso la moda vuole le “nails multicolor”? Ti dirò, prima usavo il gelinium gloss, mi rimaneva lucido ma andava sgrassato, poi il fast finishing che non lo sgrassi ed è moooolto più lucido e non si opacizza nel tempo. Anche il one phase dà un bellissimo effetto sul french, ma da professionails è un’altra cosa.

V. – Evvero Serenè. Basta che non ti fai mettere le faccette o le stelline, che so’ borissime!

P. – Scusate la mia ignoranza. Così quel pastrocchio è voluto? Non te lo potevi fare da sola?

S. – Ma che sei matto? Quella è una professionista con ore e ore di studio. Anzi è quasi un’artista e si fa pagare gli interventi come le parcelle di un dentista.

P. – Per curiosità…quanto più o meno?

S. – Parte dai 10 fino ai sessanta euro per la ricostruzione completa.

P. – Ecco perché adesso vedo in giro che aprono tanti negozi per le unghie. Il costo del materiale dovrebbe essere irrisorio e poi danno la stangata al momento di farsi pagare. Un bel business!

V. – Ecco vedi, Pà: sono contenta che ci sei arrivato anche tu. E’ un po’ che ti volevo chiedere di aiutarmi ad aprire un negozio insieme con la mia amica Cinthia. Lei ha fatto un corso di specializzazione ad altissimo livello per il trattamento delle unghie, ed io potrei occuparmi dell’organizzazione. Si tratterebbe di mettersi d’accordo per un contratto in franchising con la casa madre che ci fornirebbe i prodotti. Basterebbe poco.

P.- Quanto?

V.- Cinqu…

P. – Cinquemila: si può fare!

V. – Cinquantamila.

P.- Cheeeee??? Ai miei tempi le unghie ce le mangiavamo e siamo cresciuti benissimo ugualmente. Riprendiamo le sane abitudini. Non se ne parla!

S. e V. insieme – Sei sempre il solito: ci tarpi le ali.

P.- Di gabbiano?



Dissolvenza.
Interno notte. Scena II
Camera da letto completamente al buio. Si vede solo una piccola luce in corrispondenza di una parte del letto



Nel letto matrimoniale la madre sta dormendo voltata su un fianco. Il padre, con l’aiuto di una torcia puntata su un blocco per gli appunti, scrive qualcosa borbottando tra sé.

“Due euro a unghia, moltiplicato per dieci per quanto riguarda le mani. Poi ci stanno le altre dieci dita dei piedi. Il tutto per una ventina di clienti al giorno…”



Dissolvenza.














lunedì 13 luglio 2015

Un momento, in silenzio

Vorrei stare tutte le sere, ogni sera, sera dopo sera, seduto in riva al mare per sentire la risacca che si confonde con il fruscio della brezza, mentre il sole cala tra i flutti come un gigante in punta di piedi. In quel momento la mente si rivolge all’inner soul per una piccola beatitudine, scheggia di un mantra di pace che annulla le ragioni di ogni affanno. Nessuna voce, nessun pensiero a disturbare la perfezione di un miracolo che, meglio di qualsiasi veda, dimostra la grandezza del Creatore e di come l’ordine generato dal caos sia armonia e bellezza. Così come ogni granello di sabbia è necessario agli altri per comporre la spiaggia, è chiaro il senso di ogni esistenza che vale solo in quanto esiste, nel bene o nel male. Il dialogo è con il nulla e mettersi in relazione con quello che non c’è, rende partecipi del tutto, anche se si vale solo per un segmento di universo, o per un fugace attimo. E, dopo aver assistito alla rappresentazione del tramonto, prepararmi per lo spettacolo della notte con i piedi nella rena e la mente nelle stelle.    

mercoledì 8 luglio 2015

Delitto "al naturale"



Kathia e Roberta erano state “migliori amiche” dai tempi dell’asilo fino a quando il padre della seconda, che faceva il carabiniere, non fu trasferito al nord. Le ragazze, già adolescenti, si separarono tra grandi pianti e promesse di rivedersi spesso, ma interessi differenti e nuove conoscenze allentarono il loro legame senza però mai interromperlo del tutto. Ogni compleanno e festa comandata si telefonavano, e qualche volta si scrivevano, ognuna raccontando della propria vita trascorsa in un caso in Toscana e nell’altro in Alto Adige. Roberta aveva poi sposato uno scultore del legno di Merano che viveva agiatamente intagliando madonne, stambecchi e gnomi per i turisti e, sebbene non avesse avuto figli, diceva di essere contenta ed appagata per un’esistenza tranquilla e serena. Con Walter, il marito, erano accumunati dalla passione per lo sci e la vita all’aria aperta ed anche fisicamente erano abbastanza simili: entrambi biondi, asciutti e perennemente abbronzati. Il fatto che le due famiglie vivessero in luoghi diversi, dove molta gente si recava in villeggiatura, era il pretesto per scambiarsi l’ospitalità almeno un paio di volte l’anno. La Kathia andava a sciare con Vittorio e Veronica sulle piste vicino casa di Roberta, e questa col marito scendeva in Toscana, generalmente ai primi di luglio, per trascorrere un paio di settimane godendo del mare dell’Argentario.

Anche quell’anno i nordici effettuarono la trasferta prendendo possesso della cameretta di Veronica che, come d’abitudine, negli stessi giorni andava a trovare la nonna all’Abetone. Un rito inevitabile era la prima cena da trascorrere in casa, dove la Kathia si esibiva nella preparazione dei suoi famosi pici al sugo di cinghiale che, non ci sarebbe bisogno di dirlo, risultavano sempre ampiamente vincenti sui canederli al gorgonzola che la controparte metteva in tavola quando ricambiava l’ospitalità. Morellino e “Amaro del Brigante” fecero la loro parte nello sciogliere la conversazione. “Tutto ottimo, come sempre.” Disse Roberta dopo aver terminato il pasto, accendendosi uno strano piccolo sigaro dall’odore di nocciola. “D’accordo” confermò Walter, il marito, che da buon montanaro era di poche parole. “Senti un po’ vecio, dove andiamo domani al mare?” Diciamo la verità: a Vittorio il marito di Roberta non stava molto simpatico e lo sopportava, mostrandosi il più cordiale possibile, solo per fare piacere alla Kathia che teneva tanto alla loro amicizia. Gli scocciava in particolare il fatto che, quando soggiornavano dagli amici a Merano ed uscivano insieme per una gita o un pic-nic, il crucco si esibisse in salti di ruscelli, scalate su piccole pareti a mani nude e sciate spericolate cercando di coinvolgerlo ogni volta. Il toscano, più marinaro e giusto un tantinello meno atletico, non poteva sottrarsi e, nove volte su dieci, finiva per fare una magra figura agli occhi delle donne dalla quale si salvava buttandola sul ridere, ma con un lieve astio nel cuore. Una volta, pensando di vendicarsi, durante il soggiorno in Maremma di Roberta ed il consorte, Vittorio prese la barca proponendo un bel giro in mare. Giunti al largo sfidò Walter in un gara di nuoto ritendo che tale sport fosse lontano dalle capacità dell’atesino. Infatti, seppure per poco, vinse e ne fu enormemente soddisfatto. Ma mentre Vittorio assaporava il dolce gusto del suo successo, per tornare a bordo, lo sbruffone esibizionista si attaccò con ambedue le mani alla prua del natante ed, ignorando la scaletta, si tirò su con una capriola all’indietro, suscitando un piccolo applauso dalle mogli. Vittorio si rassegnò, consolandosi nel constatare che come faceva ridere lui le donne, l’altro non ne sarebbe mai stato capace. “Allora vecio, Feniglia o Giannella?” “Dove volete voi. Siamo a vostra disposizione.” A questo punto Walter e Roberta si scambiarono un’occhiata di intesa, e la donna: “Sentite un po’. Non so se ve l’ho detto, ma insieme con mio marito, quando passiamo delle vacanze al mare, spesso scegliamo dei posti “naturisti”. Cioè ci piace molto stare senza costume e godere del sole e del mare senza l’impiccio del costume. Anche dalle nostre parti frequentiamo saune e spa dove stare nudi è assolutamente normale. Questo ci dà una sensazione di libertà abbandonando le inibizioni, con la massima semplicità ed innocenza. Prima di venire mi sono informata e da queste parti c’è una spiaggia per nudisti, che ne dite, ci andiamo?” “Beh, veramente…” Cominciò Vittorio. “Che c’è, ti vergogni?” Gli rispose Walter ridacchiando. Cosa credeva, il crucco, che lui avesse qualcosa da nascondere? “Sei forse geloso della Kathia?” Vittorio si stava innervosendo. Per chi l’aveva preso quel montanaro? Si sentì sfidato e non volendo fare la parte del retrogrado disse spavaldamente: “Cosa dici? Io avrei voluto andarci tante volte, ma sai la Kathia…” La moglie sentendosi a sua volta chiamata in causa, e non volendo essere da meno degli altri, subito interloquì: “La Kathia, cosa? Io pensavo che tu fossi contrario, ma visto che siamo invece tutti d’accordo, domani andremo senz’altro all’oasi naturista.” Con questo programma si salutarono, ritirandosi nelle rispettive camere.

“L’ho trovata bene Roberta.” Disse Vittorio steso sul letto mentre sfogliava la Gazzetta dello Sport. “Cioè?” Vero che per la Kathia lei era più di una sorella, ma era pur sempre una donna agli occhi del marito. “Beh, mi sembra in forma, anche se credo si sia rifatta le tette.” “Dici?” “Sì, si vede. Forse anche i glutei. E gli zigomi.” “Oheee! Le hai fatto una radiografia. L’hai guardata bene!” L’uomo, accorgendosi di essersi lasciato andare in maniera imprudente, si riprese subito. “Macché, voglio dire che si nota che si è rifatta. Mica come te che sei tutta bella naturale.” “Ah, forse. – ribatté la moglie. E per prendersi una piccola rivincita continuò in maniera provocatoria. – Anche il Walter è sempre un bell’uomo. Sembra che per lui gli anni non passino mai.” Per Vittorio era ora di mettere fine a quella conversazione che non prometteva niente di buono. “Bene, Buonanotte.” Disse seccamente. “Buonanotte” rispose la Kathia altrettanto fredda. Poi, sottovoce, il marito sussurrò: ““Ma tu ti spogli…tutta?” “Certo, non c’è niente di male, anzi dovrebbe essere una sensazione bellissima.” “Ok, ma anche gli slip…con la “cosina” che la vedono tutti?” “Ohhh, come sei antiquato e bacchettone. La “cosina” come la chiami tu, ce l’hanno tutte e la mia non ha niente di speciale. Dopo un po’ non ti accorgi più neanche di essere nudo: non ti fila nessuno.” “Ho capito, ma c’è anche Walter.” “E allora? Per loro è normale. Tu piuttosto, non è che ti vergogni del tuo…”cosino” e di farlo vedere a Roberta?” “Ehi, io sono assolutamente nella media, e forse nella fascia alta. Basta, deciso!” Poi, ripensandoci, disse alla moglie: “Ricordiamoci di comprare una crema a protezione 50 per quelle parti lì, che non sono abituate.” “Dai, stai tranquillo.”

Il giorno dopo, seguendo le indicazioni trovate su internet, Vittorio prese la macchina ed, insieme agli altri, si diresse verso la costa. Ad un certo punto della litoranea, svoltarono per una strada sterrata che, dopo qualche decina di metri, sbucava in uno slargo pieno di altre auto parcheggiate. Lasciato il mezzo, e portando ciascuno una sacca con telo e panini, si avviarono verso un sentiero dove altri bagnanti già li precedevano. Un breve cammino e, scavallata una duna, in una magnifica giornata di sole, videro finalmente la grande spiaggia di rena bianca con il vasto, azzurro mare acceso da mille scintillanti riflessi. La Kathia si fermò un momento a guardare l’ampia distesa dove erano sistemate due file di ombrelloni variopinti con tanti lettini sparsi più o meno ordinatamente. Gruppi di persone parlavano tra loro con i piedi a mollo sul bagnasciuga, ragazzi e ragazze giocavano a racchettoni, signore sembravano discutere con venditori ambulanti e mariti, altri semplicemente erano stesi a prendere il sole. Tutti completamente nudi. I nordici non aspettarono di sistemarsi sulla spiaggia e, non appena si resero conto di essere arrivati alla meta, con molta disinvoltura si liberarono dei vestiti. Roberta si sfilò l’abitino e, non portando il reggiseno, rimase con gli slip. Due dita nell’elastico, un rapido piegamento, e pure quell’indumento venne riposto nella borsa lasciandola come mamma l’aveva fatta. Walter, sempre con quell’odioso malcelato sorrisino, tirò via maglietta e bermuda e mostrò chiappe ed altro al cospetto di tutti. Era la volta dei neofiti. La Kathia si immaginò di stare in palestra o dal dottore, vide che in quel momento era lei ad essere fuori posto vestita, e fece come l’amica, contenta di aver vinto il falso senso del pudore. Vittorio stava subendo quello che capita ad ogni uomo nei momenti di tensione. Il suo “amico” si era ritirato, ristretto, forse timidamente, proprio quando invece avrebbe dovuto essere spavaldo e sfrontato. Quindi maglietta e pantaloncini: va bene, per le mutande stava traccheggiando in attesa che “quello” decidesse di tornare presentabile. “Vecio, ti g’ha paura de scottarte?” L’anno successivo si sarebbe inventato qualcosa, ma maremma bucaiola se avrebbe ospitato ancora quel rompiballe. Anche Vittorio si tolse l’indumento rimasto e, camminando un po’ di trequarti, si diresse verso le sdraio.

Una volta stesi sui lettini, debitamente spalmati di crema protettiva ed al riparo degli occhiali da sole, Kathia ed il marito, nuovi a quell’esperienza, si guardarono attorno con curiosità. Mentre Vittorio valutava le donne in maniera abbastanza distaccata, visto che il seno nudo era ormai usanza comune, i sederi sono banali ed il sesso femminile era spesso poco evidente, la moglie si trovava di fronte ad un assortimento di accessori maschili estremamente variegato e differente uno dall’altro. Niente di più scontato che il paragone con le verdure, ma in natura forse solo il regno vegetale propone tante forme e dimensioni per un’unica specie. “Guarda quello – disse la Kathia al compagno vicino – c’ha un borlotto con due uvette passite. Adesso sta parlando con una zucchina romanesca e con una melanzana. Questo vicino a noi ha una bella pannocchietta e quello che sta entrando in mare porta due castagne e una carruba.” “Ti stai divertendo, eh?” Rispose Vittorio, non trovando niente di male nel commentare qualcosa che, se piazzato in un’altra parte del corpo, avrebbe potuto essere un naso. “Si molto, e poi è vero: stare nudi, col vento che ti accarezza la pelle, senza il costume che ti stringe e con tutto all’aria, dà un senso di libertà mai provato prima. Tu come stai?” “Benone, anche se devo un po’ superare il fatto che tutti ti vedano così.” “Maddai, non mi guarda nessuno…A proposito, che ne pensi di Roberta?” “Confermo: il chirurgo è stato abbastanza bravo, ma ha messo la sua opera un po’ dappertutto. E tu, del montanaro?” “E’ buffo vedere come abbia il corpo tutto di un colore marroncino uniforme senza zone chiare, e poi ho scoperto che ha un tatuaggio vicino all’inguine oltre quelli sulle braccia.” “Si, - voleva indagare il marito – ma…” “Ma, cosa? Nient’altro!” E scorgendo una coppia che si stava avvicinando: “Guarda un po’ chi si sta facendo una passeggiata. Quei due, non sono Tony e Rita?” “Non li chiamare!” Ovviamente: “Ritaaa!!!” Il veterinario e la farmacista, in costume adamitico, riconobbero la Kathia e si avvicinarono ai lettini. “Anche voi qui?” Iniziò una breve conversazione con le due coppie di conoscenti che si scoprivano sotto un nuovo aspetto. Gli occhi erano quasi sempre fissi in quelli altrui, ma Vittorio non poté fare a meno di pensare come non avrebbe mai supposto che l’ampio camice bianco da farmacia nascondesse quella quarta abbondante, anche se il seno era un po’ calato e leggermente strabico. Anche la Kathia, ormai a suo agio, guardò senza ritegno Tony che, nella sua personale catalogazione, inserì nella categoria dei funghi prataioli e delle patatine novelle. Non si sa quello che gli altri due pensarono a loro volta ma, praticando il nudismo già da tanto, probabilmente non furono colpiti da niente di eccezionale.

I quattro amici avevano trovato un posto riparato in un tratto del lungomare dove si era creata una piccola insenatura delimitata ai lati da uno scoglio ed una duna. Erano un po’ defilati rispetto al centro della spiaggia e vicino a loro c’erano soltanto un uomo ed una donna, forse tedeschi, sulla destra ed una ragazza sola, stesa ad abbronzarsi, sulla sinistra. Ogni tanto si alzavano e facevano un bagno, oppure qualcuno si allontanava per una salutare passeggiata lungo la battigia. L’amore per la natura dei frequentatori del posto rendeva tutti particolarmente rispettosi degli altri, ed era raro sentire schiamazzi o notare qualche disturbatore. L’occasionale vicina, prima sdraiata sul suo asciugamano, ad un certo punto si alzò per una camminata e così anche la Kathia con Roberta sottobraccio, parlottando fra loro, e poi Walter il quale, dopo che la sua proposta a Vittorio di accompagnarlo per una corsetta sul lungomare non fu accettata, si avviò da solo al piccolo trotto. Il tempo passava pigro ed il sole calava lentamente all’orizzonte mentre si avvicinava l’ora del ritorno a casa. La coppia di stranieri era già andata via, mentre la bagnante solitaria già da tempo stava a pancia in giù sulla sabbia coperta solo da un gran cappello di paglia posato sulla nuca. Kathia l’aveva notata da prima, considerando come la sua abbronzatura fosse bella dorata ed uniforme senza antiestetiche tracce di indumenti. Non indossava il costume, ma neanche gioielli o altro, e sulla sua pelle spiccava solo qualche tatuaggio con strani simboli e scritte. “Che pensate, è ora di andare?” Disse Roberta. “Va bene” Rispose Vittorio che, come primo giorno, aveva paura di essersi scottato le pudenda. “Si, d’accordo. – confermò la Kathia – Però, aspettate un momento.” “Cosa c’è?” “Quella donna. Sta lì immobile da più di un’ora senza aver mosso un muscolo. Non si sarà sentita male?” “Ma cosa dici – sdrammatizzò Walter – lasciamola in pace. Starà dormendo.” “No, è troppo ferma, c’è qualcosa di strano. Mi avvicino e sento se va tutto bene.” Kathia si accostò alla figura prona a terra e, piegandosi sulle ginocchia, la toccò delicatamente su una spalla. “Scusi, signora…” Il corpo steso non si mosse. Lentamente la Kathia sollevò la falda del cappellone. D’improvviso lanciò un urlo: la sabbia vicino alla testa della donna era intrisa di sangue ed il capo, girato su un lato, mostrava un piccolo foro da proiettile sulla tempia.

Vittorio si attaccò subito al cellulare rintracciando l’amico carabiniere ed, in breve tempo, la caletta, prima oasi di pace, fu invasa da uomini e mezzi della benemerita. Il maresciallo Viglietti, della Stazione di Capalbio, prese in carico le indagini su quello che, con tutta evidenza, era un omicidio. Il militare conosceva bene la Kathia ed il marito e, chiamati un po’ in disparte rispetto alla piccola folla di investigatori, incominciò da loro gli interrogatori. Ben presto si fece un quadro abbastanza chiaro della scena del delitto. A parte gli amici con i loro due ospiti, per quasi tutto il giorno in quella caletta c’erano stati solo l’altra coppia di stranieri, che aveva già provveduto a far rintracciare, e la vittima. Anche se ancora non era arrivato il medico legale, visto lo stato del cadavere, non era difficile intuire che il crimine doveva essere stato commesso al massimo nelle sei ore precedenti. Era chiaro che la povera donna era stata ammazzata sul posto ed il colpo a bruciapelo, seppure sparato con una pistola di piccolo calibro, ne aveva provocato la morte immediata. Quindi l’assassino andava ricercato tra le persone presenti, oppure il maresciallo avrebbe dovuto scoprire se qualche altro bagnante si fosse trovato nelle vicinanze.

L’identità della vittima fu subito appurata dalla carta di identità trovata nel borsone della donna. “Voi conoscete questa…Stella Pedron?” In ordine Kathia, Roberta, Waletr e Vittorio risposero negativamente. “Bene. Avete visto qualcuno avvicinarsi a lei in qualche momento della giornata?” Altro coro di no. “Certo la situazione è complessa. Pare che nessuno sia entrato in contatto con la vittima, eppure qualcuno le ha sparato.” “Maresciallo, – prese la parola Kathia – a parte noi quattro, gli unici sulla spiaggia erano i tedeschi, ma dall’altra parte della caletta. E io potrei giurare che non si sono mai avvicinati. Certo abbiamo un po’ girato per l’arenile e fatto il bagno a largo, ma mai tutti insieme e, se qualcuno avesse fatto fuoco sulla donna, ce ne saremmo accorti.” “Si, capisco. Purtroppo le chiacchere stanno a zero ed il fatto di avere una vittima implica necessariamente un colpevole. Adesso però la giornata è stata lunga. Potete tornare a casa. Non c’è bisogno che dica a Walter e Roberta che dovranno restare ospiti degli amici e non allontanarsi senza prima avvertirmi.” “Certo, commissario” dissero i due. “Maresciallo, prego.” Una cosa era sicura: la prima giornata da nudisti dei toscani sarebbe stata difficilmente dimenticata.

La sera, a letto, la Kathia non riusciva a darsi pace. Non si spiegava come fosse potuta accadere la tragedia. E poi, si può dire, sotto ai suoi occhi. Ritornava, mentalmente, sulla scena del delitto, riviveva le ore trascorse sulla spiaggia, cercava di ricordare come si fosse mossa la donna e quando l’avesse vista ancora in vita. Niente, non riusciva a trovare nulla che giustificasse il repentino passaggio dalla vita alla morte di quella povera ragazza. “Dai, dormi. – le disse affettuosamente Vittorio – E’ inutile che continui a pensarci. Vedrai: Viglietti si è messo in moto e con tutti i mezzi dei carabinieri, il ROS, il NAR, il TAR (un po’ di confusione) e quant’altro. Sarà questione di poco tempo e troveranno un pelo fuori posto o qualche altra piccolezza che indicherà loro il colpevole.” “Dici bene, tu. Eppure c’è qualcosa che mi solletica dal fondo del cervello e che non riesco a tirare fuori. E’ come se avessi visto un particolare che sta gridando ma non riesco a sentirlo. Ti assicuro che è una sensazione spiacevolissima, anche perché sono convinta che quello che mi sfugge è in relazione con il delitto.” Ormai erano quasi le tre, e Vittorio stentava a mantenere aperte le palpebre. “Dormiamoci su. Come sai, mentre riposiamo, il nostro subcosciente lavora.” “Ecco: finalmente hai detto una cosa giusta. Tanto più ci penso e meno mi viene, quindi: dormiamo!” La moglie non aveva neanche finito la frase che Vittorio già russava.

La colazione del giorno dopo si svolse decisamente sotto tono. Le due coppie di amici erano ancora impressionate da quanto era successo e nessuno aveva voglia di tornare in spiaggia o di fare alcunché. Walter, con il suo spirito positivo e risoluto, prese in mano la situazione. “Vecio, donne: animo! Gegen den Wind kann man net prunze!” “Prego?” “Beh, non xe molto elegante, ma vuol dire: Contro il vento non si può pisciare. Cioè non possiamo farci niente, quindi non stemo così abbacchiati.” Quindi, come per dimostrare che si doveva reagire, si arrotolò le maniche della camicia fino ai bicipiti e servì a tutti un’altra tazza di caffè. Kathia era pensierosa e stava con la testa china quando vide sotto il suo naso l’avambraccio muscoloso e tatuato dell’amico. Fece una piccola smorfia e si riscosse, riconoscendo che Walter non aveva, forse, tutti i torti. Ma, in quel momento, nella sua testa squillarono campanelli, campane, sirene trombe e trombette per segnalare l’allarme. Il sub (cosciente, ma spesso incosciente) avvisava che il trait d’union cercato tutta la notte si era, in qualche maniera manifestato. “Scusate – disse la donna alzandosi da tavola bruscamente – devo andare a fumare una sigaretta fuori, in giardino.” “Vai cara, sparecchio io.” Le rispose Roberta.

Sola, inspirando la prima malefica nuvoletta della giornata, La Kathia chiuse gli occhi. Come per magia le apparirono davanti tre cime montuose che sovrastavano un globo terrestre e poi una scritta: “IVBV”. Un braccio…ecco! Quello era il tatuaggio sull’avambraccio della donna morta. Bene, e quindi? Però…ma sì, no, non poteva essere! “Ragazzi devo andare a fare una commissione” La padrona di casa, rientrando, si rivolse così agli amici che, vedendola turbata ed assente, ritennero che dovesse andare in farmacia per un calmante o qualcosa di simile. La Kathia prese la sua fedele Panda 4X4 e si precipitò, compatibilmente con le prestazioni del mezzo meccanico, su per la salita che da Borgo Carige porta a Capalbio. Dopo pochi minuti suonò al campanello della Stazione dei Carabinieri. “Guarda, adesso non è il momento.” Viglietti voleva congedare rapidamente l’amica, pressato com’era dai superiori e dalla pubblica opinione, in persona di un giornalista rompiballe, per la risoluzione del delitto sulla spiaggia. Già si immaginava i titoli del Tirreno il giorno successivo: “Delitto al campo nudisti. Gli inquirenti non sanno dove attaccarsi pur avendone tante possibilità” Forse non sarebbe stato un doppio senso tanto volgare e allusivo, ma era sicuro che ci sarebbero andati vicino. “Fammi parlare, ti conviene” Notando il tono dell’amica, la fece accomodare in ufficio. “Sentiamo” “La faccio breve, poi sarai tu a verificare. – dopo una pausa per riordinare le idee, continuò: “La vittima era completamente nuda e, forse per questo, notai l’unico ornamento del suo corpo: il tatuaggio. Non sembrava particolarmente bello, però era abbastanza grande e particolare. Non ne avevo mai visto uno uguale prima, se non quando…Walter si tolse le mutande arrivando sulla spiaggia. Infatti, vicino all’inguine, mostrava un tatuaggio uguale a quello della donna morta. Normalmente non lo si nota, ma in quell’occasione non poté nasconderlo. Ecco, questo è il collegamento tra i due. Adesso sta a te verificare e capire il come ed il perché.” Il maresciallo era sbalordito ed incredulo di come la soluzione di un caso che sembrava impossibile gli fosse miracolosamente piovuta tra le braccia.

Epilogo: Il tatoo era l’emblema delle guide alpine tirolesi. Walter e la povera Stella avevano fatto parte dello stesso gruppo e fra loro era nata una relazione. Come spesso accade, per lui era solo un’altra conquista mentre la ragazza voleva una storia seria, minacciando di dire tutto a Roberta. L’uomo questo non poteva permetterlo e quando, casualmente, aveva rivisto la sua amante sulla spiaggia, si era sentito perso. Con la scusa della corsetta si era allontanato da solo e lei l’aveva raggiunto dietro le dune. Un’accesa discussione e Stella si era pecipitata in riva al mare decisa ad affrontare Roberta. In quel momento il destino aveva voluto che né Vittorio né Kathia con l’amica fossero tornati dalla passeggiata o dal bagno a largo. Quindi la donna si era distesa, riparandosi la testa col cappello, restando in attesa. Il montanaro non girava mai senza la sua piccola calibro ventidue che spesso gli era servita contro gli animali che lo disturbavano. Con la sua solita prontezza di decisioni ed azione, aveva estratto l’arma dalla sua sacca e commesso il delitto. Era corso immediatamente via, per poi farsi rivedere quando gli altri erano già di nuovo al loro posto in spiaggia.

“Dai, non fare così.” La Kathia consolava Roberta, anche se l’amica era molto meno inconsolabile di quanto lei si fosse aspettata. Antonella, aiutante parrucchiera ed apprendista nel negozio della Kathia, si fece incontro alla padrona sventolando “Il Tirreno” appena uscito. Il titolo, su quattro colonne in prima, strillava: “Tutti nudi con la morte! Solo lo spirito di osservazione di una nostra concittadina, che sulla spiaggia nudista ha guardato tutto con attenzione, consente di risolvere il caso.” La Kathia avvampò sulle guance diventando tutta rossa.