sabato 25 ottobre 2014

Los Supervivientes

Bruciato nel bunker? A Buenos Aires giurano che, anche negli ultimi anni settanta dello scorso secolo, se si capitava nei giardini di Plaza Alemania – che coincidenza! – si poteva vedere un ragazzetto passeggiare per mano con un vecchio dai lunghi capelli bianchi e lisci e con un ciuffetto di peli grigi sotto il naso. Non ci avrebbe fatto caso nessuno se non per la curiosa abitudine dell’uomo di voltarsi di scatto e guardare fisso le persone con aria spiritata. Portavano a spasso un pastore tedesco che rispondeva ai richiami del padrone quando urlava “Blondi, herkommen!” Quasi sempre, dopo aver camminato per una mezz’oretta, si dirigevano verso un portone in Avenida del Libertador sormontato da una insegna che diceva: “Club De Los Supervivientes”. Già in quegli anni, ma anche dopo, chi viveva in quel palazzo si lamentava di essere spesso svegliato nel cuore della notte dalla musica a tutto volume che proveniva dal Circolo. Qualcuno più curioso e attento, raccontò di aver sentito spesso le note di “Blue Suede Shoes” uscire dalle finestre aperte del club, affermando che fosse cantato così bene da poter essere scambiato con l’originale interpretato da Elvis. Il ragazzetto del bar sulla strada giurava di aver portato dentro le sale del club un whisky per un signore dal gran ciuffo, il sorriso storto e con una bellissima giacca bianca con le frange, ma si pensava lo dicesse solo per farsi bello agli occhi degli amici. La cosa strabiliante accadde il 25 ottobre 1983. Il señor Emilio Torres, portiere dello stabile, verso le nove di sera, fece un giro di telefonate a tutti i suoi parenti e agli amici più cari. Raccontò che era dal pomeriggio che stava osservando un frenetico via vai dal portone del circolo e che fino ad allora aveva sentito un gran rumore, come delle prove di strumenti ad alto volume. Voleva quasi chiamare la policía, ma poi c’era stato un susseguirsi di limousine che, come pantere, arrivavano e si acquattavano ai lati della strada. Gli era venuta l’idea che doveva trattarsi di una riunione di pezzi grossi e che forse stavano organizzando una festa con musica. Siccome era un avvenimento eccezionale per il quartiere, voleva renderne partecipi i suoi cari. Fu così che, dopo poco tempo, una ventina di persone si trovarono affacciate alle finestre dell’appartamento del portiere. Non videro entrare nessuno ma improvvisamente, a tutto volume, una band cominciò a suonare. Pedro Caliente, cugino di primo grado del padrone di casa, si vantava di essere un esperto di rock, specialmente quello classico a cavallo degli anni settanta, e si mise ad ululare di godimento quando riconobbe le note di alcune delle sue canzoni preferite. Si sentì in obbligo di manifestare la sua cultura enunciando titolo ed interprete dei brani man mano che venivano eseguiti. “Light my fire – Jim Morrison” fu il primo, e poi in successione: “Little wing – Jimi Endrix; Satisfation – Brian Jones dei Rolling; Me and Bobby Mc Gee – Janis Joplin; On the Road Again – Alan Wilson dei Canned Heat; Friend of the Devil – Ron Mc Kerman dei Grateful Dead…”

Il concerto durò fino a tarda notte, e dopo i macchinoni neri accolsero gli anziani personaggi che, un po’ barcollanti ma visibilmente soddisfatti, uscirono dal portone dello stabile. L’evento, a detta del señor Emilio, non si ripeté più, ma quello che infastidì veramente il portiere fu che, quando ne parlò in giro, nessuno credette a quella strana riunione di miti scomparsi da tempo, prendendolo in giro e tacciandolo di aver inventato tutto. Per fortuna aveva i testimoni che, con lui, giurarono di aver visto e sentito tutti quei componenti del “club del 27” per una sera riuniti insieme, ospiti dell’altro club… quello “De Los Supervivientes”.

lunedì 13 ottobre 2014

La metafora della vita

Camminando lungo la spiaggia, sul bagnasciuga, lascio le mie impronte sulla rena bianca e scura. Viene un’onda che cancella le tracce del passaggio, mentre affondo nella fanghiglia che si è improvvisamente creata. Perdo un po’ l’equilibrio, ma mi riprendo e faccio un altro passo. Poi con la punta di un piede traccio un disegno nella liscia tavola sotto di me. E’ solo un arco di piccoli solchi che ricorda un arcobaleno dopo la pioggia e, come un mandala, viene subito cancellato dalla risacca. Il sole del tardo pomeriggio mi brucia la schiena mentre seguo l’insenatura fino alla barriera degli scogli. Non è una meta, è solo la fine del cammino. Una passeggiata che non lascia una traccia dietro di sé e che vale solo per il segno dei prossimi passi. Ma la bellezza sta in se stessa. Nella perfezione di un momento, nella commozione della natura, nella vanità di ogni affanno. E poi questo cammino ha rivoltato la sabbia e niente è più come era prima. Giocherò ancora con il mare e con la sabbia, fino a quando una dolce marea ritirerà la sua schiuma prima di una mia orma.