mercoledì 6 agosto 2014

Un Altro Finale

Il grande piroscafo mollò gli ormeggi staccandosi dalla banchina del porto di Southampton. Virginia Von Zingen, con un lungo sospiro, lasciò il ponte della nave avviandosi verso la sua cabina sul camminamento esterno di prua.
 Aveva ancora negli occhi l’immagine dei genitori a terra che la salutavano con la mano mal nascondendo la commozione per la partenza della giovane. Herr Stephen e Frau Suzanne erano due stimati commercianti in tessuti che scambiavano con il Nuovo Mondo e la figlia seguiva le loro orme facendo spesso la spola tra le due sponde dell’Oceano.
Non era la prima volta che Virgy faceva  quel viaggio. Negli anni precedenti si era recata in America già due volte affrontando la traversata con coraggio, vincendo il  timore che le incuteva la vastità del mare e l’angoscia nel sentirsi tanto lontana da casa.
Nelle precedenti occasioni, però, era stata scortata da almeno un genitore che, a causa della giovane età della fanciulla, l’aveva accompagnata, ed in qualche maniera protetta e consigliata, affrontando con lei le novità proposte dal contatto con culture così diverse ed esotiche.
In quell’aprile del 1912, invece, improrogabili impegni trattenevano Herr e Frau Von Zingen presso i loro magazzini mentre da New York arrivavano dispacci che sollecitavano la presenza in quella città per concludere un importante accordo con Mr. William Carter.
Questo era un imprenditore nel nuovissimo settore degli abiti già confezionati. Conoscendo la fama della famiglia Von Zingen, prima di impiantare la propria fabbrica ed avviare il “business”, aveva richiesto la loro consulenza proponendo di entrare come socio, anche di minoranza, in quel settore di cui, all’epoca, egli non aveva alcuna esperienza. L’incontro, però, doveva avvenire a breve e, quindi, Virgy si offrì di andare, anche da sola, ad incontrare l’americano.
Per compensarla del disagio della solitudine ed assicurarle il massimo della comodità possibile durante il viaggio, Herr Stephen, forzando la propria encomiabile sparagnina natura, offrì alla giovane un biglietto di prima classe per il viaggio inaugurale che l’orgoglio dei mari di quel tempo avrebbe effettuato in quei giorni con destinazione New York.

E’ vero, il biglietto costava molto, ma l’eccitazione per il viaggio a bordo di  quello che era descritto come l’albergo più lussuoso che solcasse i sette mari, compensava la spesa. Senza contare che, comunque, la somma  sarebbe stata in carico alla “Sieben Hügel“ la società di famiglia preposta agli affari  oltreoceano.
Virginia si stava ambientando a bordo della RMS Titanic anche se ancora non aveva fatto amicizia con nessuno. Ripensava a come si era divertita nell’ultima vacanza, l’estate precedente, che aveva trascorso con Tess la sua amica del cuore. La ragazza era una promettentissimo soprano di origini irlandesi, Tess O’ Rhona, che si esibiva nei Café Chantant della riviera italiana con riconoscimenti ancora di molto inferiori a quelli che la sua limpida voce avrebbe meritato.
La vita, durante le lunghe giornate di navigazione, scorreva tra giochi di ponte, tè danzanti e lettura stando bene attenti a non esporsi ai raggi del sole che, come era noto, risultavano altamente nocivi per la pelle delle giovani ed, inoltre, conferivano quella tinta scura propria delle classi inferiori abituate a lavorare all’aperto.
In definitiva: una noia! Virgy avrebbe almeno voluto fare quattro chiacchere con qualcuno della sua età, ma in prima classe erano tutti anziani, ben oltre i quarant’anni, e poco disponibili per una giovane che, per il solo fatto di essere una bella ragazza e viaggiare da sola, aveva un’aria quasi equivoca.
Una sera, dopo aver fatto onore alla cena, coerentemente con la sana filosofia del “tanto è già tutto pagato”,  mentre sorbiva una tisana digestiva che, nelle sue aspettative, avrebbe dovuto contrastare e vincere quel fastidioso senso di pesantezza che, inopinatamente, la seconda porzione del tortino di peperoni, tonno e melanzane aveva stabilmente allocato nel proprio stomaco, Virginia sentì una musica provenire dal ponte inferiore riservato ai passeggeri di seconda classe.
Essendo una appassionata del genere, la ragazza non resistette e, disobbedendo alle calde e ripetute raccomandazioni della mutter Frau Suzy, scese la scala di collegamento ed…era un altro mondo!
Quello che in prima era noia e routine, nella seconda classe sembrava essere allegria e divertimento. Anche il rapporto generazionale era invertito. Alla maggioranza di “vecchi” di sopra, corrispondeva un gruppo di ragazzi che, riuniti intorno ad uno di loro con la chitarra, cantavano e ballavano con tutta la spensieratezza della loro età.
Virginia si sedette accanto a loro e, trascinata dalla musica, cantò, rise e ballò  fin quasi allo sfinimento.

In una pausa per riprender fiato, si guardò attorno. I visi degli altri erano simpatici e aperti ma una strana attrazione calamitò gli occhi della fanciulla verso un ragazzo che, un po’ in disparte, cercava di strizzare l’ultimo goccio da una bottiglia di Jagermaister.
Da sempre gli scienziati hanno studiato se fosse il caso di dare la colpa del cosiddetto “coup de foudre” ai feromoni o alle compatibilità d’aura piuttosto che all’odore animale o alle combinazioni astrali, ma ancora non hanno saputo dare una risposta convincente.
Fatto sta che, tra i due giovani, scoccò la scintilla, ma la decenza nonché la supposta impazienza del lettore di questa storia, ci induce a sorvolare i preliminari e l’evoluzione di una conoscenza che presto si tramutò in amore.
Conosciamo, quindi, l’oggetto di tanto “scapricciamento”. Il ragazzo si chiamava Giuggio ed era uno scugnizzo napoletano di vivace intelligenza e pieno di aspettative per il suo futuro. Andava a New York per esercitare sul più vasto pubblico possibile, le proprie capacità persuasive affinate, nel tempo, dalla maestria nel gioco delle tre carte.
Gli avevano detto che, nella metropoli, molti commercianti o industriali, per vendere la loro mercanzia, cercavano persone intraprendenti e con idee nuove. La scuola dei vicoli partenopei rilasciava diplomi di venditore di qualsiasi cosa a qualsiasi persona e Giuggio si era distinto tra i migliori.
Aveva un curioso modo di esprimersi. In particolare quando era eccitato o entusiasta se ne usciva con una peculiare esclamazione: “Aggia vist’? Chist’ cosa è genial’! Anzi viral’!” E più era coinvolto o stupito, più i due aggettivi, geniale e virale, sembravano soddisfarlo. 
Erano circa le undici di sera del 14 aprile. I due ragazzi stavano sul ponte del Titanic rimirando il cielo sereno e pieno di stelle. Faceva freddo ma loro non lo sentivano presi l’uno dall’altro. Ogni tanto lanciavano uno sguardo verso il mare che rifletteva la luce della luna in mille piccole argentee scintille.
Giuggio immerse il viso tra i capelli di Virginia e poi alzò lo sguardo verso l’orizzonte. Quale fu il suo stupore nel vedere profilarsi, sopra l’immensa distesa d’acqua, una montagna che sembrava di cristallo.
Il chiarore stellare accendeva quella massa enorme di una luce quasi soprannaturale scomponendola in colori e sfumature che rimandavano uno spettacolo magico e mai, prima d’allora, visto. La nave si muoveva lenta verso l’iceberg come ipnotizzata da tanta spaventosa bellezza.
Il ragazzo provò una fortissima sconvolgente emozione e quindi, coerente con le sue abitudini gridò: “Chist’ è veramente viral’…VIRAL’…VIRAL’VIRAAAAAL’!!!”
La notte era silente e questo urlo fu chiaramente sentito dal Comandante della nave che si era momentaneamente assopito sul Ponte di Comando. In realtà il Capitano non capì “viral” con l’accento sulla “i” ovvero “virale”, ma “VIRA” come fosse un ordine che, nel dormiveglia, provenisse direttamente dal Signore degli Oceani.
Prontamente ubbidì e, buttandosi sul timone, procedette alla virata della nave. Il transatlantico, riluttante, eseguì la manovra modificando la rotta e passò vicino sfiorando, ma senza toccare, il minaccioso ostacolo imprevisto.
Il Titanic era salvo per merito di Giuggio e Virgy che festeggiarono lo scampato pericolo insieme all’equipaggio ed i passeggeri che, per riconoscenza, comprarono tutti i prodotti della linea food della “Sieben Hugel” che ( hai visto mai?) la ragazza aveva portato con se.



     



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