venerdì 30 maggio 2014

Piccole ali

Piccole ali sbattono nel vento come fatui spiriti
che si perdono verso indefinite speranze.
Va tutto bene, dice l’ectoplasma, mentre avvolge  
la titubante anima.
Raccogli le paure, le incertezze, la tua fragilità e prendi
da me quello che vuoi.
Vola, vola, e sospinto dal vento, abbandona il grave peso
che zavorra le tue paure.
Sorrisi, fate, zebre, raggi di luna, tutto va bene per delle piccole
ali che, tra le nuvole, si lasciano trasportare verso un orizzonte senza tramonto.  


mercoledì 28 maggio 2014

Crimson and Clover

Lo so che mi fa male. Dovrei dormire, ma sto ascoltando una compilation di brani anni ’70 e ’80. Come faccio a lasciare Joan Jett o Suzie Quatro, i Credence Clearwater Revaival o i Gun’s and Roses? Non è solo la musica che mi tiene incollato alle cuffie, ma i ricordi, e forse i rimpianti per quello che non ho vissuto, con la consapevolezza che sono illusioni di un sogno immaginato e non reale. La mente vola in mondi paralleli vagando in una psichedelica astrazione solo occasionalmente combaciante con la pesante fisicità quotidiana. Come faccio a lasciare Santino Rocchetti con “I miei giorni felici”? Sarebbe come abbandonare un amico al bar mentre ti sta confidando la sua storia d’amore. La musica mi toglie gli anni di dosso. Suzie Quatro non è invecchiata. Ha sempre la sua tutina di pelle e con il chitarrone, più grande di lei, guida il gruppo che l’accompagna nei locali di Amburgo. Io mi sento lì, come al Cavern di Liverpool a vedere i Beatles o a Fregene mentre scavalco l’incannucciata del “Tirreno” che separa la spiaggia dal locale nel quale i Pooh cantano Piccola Kathie. Su “Google immagini” digito il nome della cantante tedesca ed appare un volto di una signora, probabilmente sessantenne, segnata dalle rughe del tempo ed appesantita nello sguardo. Non è più lei. Mi convinco che gli artisti, attori o cantanti, devono morire giovani. Marylin, James Dean, Kurt Kobain, Janis, Jimi, Brian, e tanti altri, hanno il grandissimo merito, chiudendo il loro ciclo di vita nel pieno della creatività, di aver lasciato un mito che, altrimenti, come molte delle cose che infiammano la giovinezza, sarebbe sfiorito con la loro vecchiaia. Ci sarà una ragione per la quale Alessandro Magno e Napoleone hanno conquistato il massimo del loro potere intorno ai trent’anni ed, al giorno d’oggi, il giovane Zuckenberg, o chi per lui, guidano l’innovazione che condiziona il nostro modo di vivere? Questo è l’inizio di un discorso che mi piacerebbe fare confutando chi, anche ultimamente, mi ha detto quanto sono belli i vecchi e come la vecchiaia abbia la sua giustificazione nell’arco di una vita. Cazzate! I vecchi sono tenuti in vita dall’amore dei loro cari, ma non possono dare più niente. Sarebbe bello bruciare come una canna, donando sogni e felicità… se fosse possibile scegliere.

sabato 10 maggio 2014

Al Prado.

Cosa c’è nella mente di un artista? Può l’arte essere visionaria, quasi preveggente? Una porta sul futuro o nel profondo che sveli quello che alle persone normali non è dato vedere? Fra pochi giorni tornerò a Madrid e, se avrò tempo, farò una nuova visita al Prado per vedere le opere di uno degli artisti che più mi ha sconcertato nel suo cammino espressivo. Quando si entra nel museo che gli spagnoli esibiscono orgogliosamente al centro della loro capitale, molto dello spazio è dedicato a Francisco Goya. Nella mia mediocre ignoranza, o cultura, la prima volta che visitai quelle sale, avevo come riferimento la famosa Maja sia “vestida”, ma soprattutto “desnuda”, che una qualche pruriginosa curiosità mi aveva destato da quando, fin da piccolo, l’avevo vista sui libri di storia dell’arte. Nella prima visita al museo, passai per una sala al pian terreno dove è esposto “Guernica” di Picasso. Lo credevo più piccolo, come dimensione. In quell’occasione, capii come vedere le foto dei quadri sui libri, non renda l’impatto che l’opera, vista da vicino, trasmette all’osservatore. Non è la rappresentazione di una testa di cavallo o una lampadina in una scomposizione di volumi, ma pura angoscia e grido di dolore. Salendo di un piano, sorvolando il cortigiano Velasquez, cominciano le sale dedicate al Goya. Prima ritratti di nobili rampolli o scene dipinte su commissione al fine di abbellire piacevolmente le pareti di qualche dimora reale. Poi, in uno spazio a parte, di non grandi dimensioni, ed anche non particolarmente bella o affasciante, la famosa Maja. Non si sa come, il pittore le fa quasi una radiografia, non facendole spostare un muscolo togliendole i panni di dosso per mostrare quello su cui Rubens avrebbe abbondato generosamente. Poi si passa nella sala contigua e si ha l’impressione di avere sbagliato sezione del museo. Ti avvicini alla targhetta sotto al quadro e vedi che quel dipinto, su fondo scuro, dal quale emerge un viso stravolto con gli occhi sbarrati e allucinati, appartiene allo stesso Goya. Il personaggio sta dilaniando un corpo che sembra umano con la disperazione o la follia che sole possono indurre a tale immondo comportamento. Mi venne subito in mente il dantesco conte Ugolino con “la bocca sollevò dal fiero pasto il peccator forbendola ai capelli del capo che egli avea sul retro guasto.” Mi sembrò che fosse la rappresentazione del volto di un uomo che trasforma la sua natura per abbandonarsi all’istinto bestiale. Solo l’animo sensibile ed empatico di un artista, può immaginare e rappresentare una situazione tanto estrema ed al limite dell’assurdo. In realtà il titolo del quadro è “Saturno che divora i figli”. Non conosco la storia, o la mitologia, alla base del dipinto, ma non penso abbia molta importanza. L’impressione che maggiormente ricevetti da quella visita al Museo del Prado, fu la conoscenza di questo artista che, per vivere agiatamente, dipinse ritratti un po’ cochon, o di maniera, per la corte iberica, ma dentro di sé sentiva urgere la necessità di manifestare l’espressione delle strazianti contradizioni dell’animo. Ecco, forse, quello che differenzia un artista dall’uomo comune. Egli vede, o sente, oltre. L’unica condizione è che deve essere sincero al limite del sacrificio, altrimenti, specialmente in questi tempi di cinico mercantilismo, rende irriconoscibile quella piccola fiammella di divinità che è l’arte.