Verso il tramonto di una sera d’estate, un vecchio pescatore
sedeva fuori di una baracca in riva al mare, con in mano un bicchiere di vino,
e lo sguardo perso all’orizzonte. “Scusate, mi sapete dire dove si trova la
Locanda del Cartello?” Mi dispiacque interrompere quello che sembrava un
intenso raccoglimento di fronte al maestoso spettacolo che la natura stava mettendo
in scena, ma mi ero perso ed avevo bisogno d’aiuto. “Signorì, la locanda è
chiusa. Gli affari non andavano tanto bene ed i fratelli che la gestivano hanno
litigato. Si sono spartiti quello che c’era, e hanno chiuso il locale.” Questa
era una piccola delusione. Mi avevano raccomandato il locale per la sua cucina,
ancora fatta di prodotti genuini, e per la vista spettacolare del golfo di
Sorrento che si poteva godere dalla terrazza. Il pescatore notò come fossi
contrariato e, per consolarmi, mi fece una proposta. “E’ ancora presto per la
cena. Dopo vi indicherò un altro posto di un compare amico mio che vi tratterà
bene. Vi assicuro che, se assaggerete il suo fritto di paranza, più tardi mi
ringrazierete. Per fare ora, se non avete altri posti dove andare, gradite un
bicchiere di vino con me.” Come prima impressione, non avrei detto che quell’uomo
anziano, assorto nei suoi pensieri, fosse una persona particolarmente
socievole, ma forse ero capitato in uno di quei momenti in cui si sente il
bisogno di sturare la propria anima e lasciar traboccare quello che di troppo
vi è compresso. Il pescatore, dopo avermi versato un’abbondate dose di un
bianco asprigno, mi fece accomodare su una sedia accanto alla sua. In quel
momento pensai che non c’era al mondo nessun cinque stelle lusso che potesse
offrire di più di quel mare, di quel vino e di quella pace. E di come fosse
bella la vita. Ma, come dicevo, il vecchio, aveva bisogno di parlare. “Vedete,
signorì, com’è bello qui. Non vi fate ingannare: è una fregatura. La vita è una
fregatura. Mi ricordo di un fogliettino dei Baci Perugina e, cambiando un po’
quello che c’era scritto, posso affermare che “la vita è l’apostrofo grigio tra
le parole aggia’amurì”. Veniamo dal niente, se vuole, da una casuale
combinazione biochimica, e finiremo nel nulla. Però noi ci raccontiamo che
questa “vita” sia importante. Ma è solo perché l’abbiamo. Anche una vacca è
importante per il contadino che la possiede come una casa per il proprietario e
così via, ma che valore ha una cosa della quale non possiamo disporre come
vogliamo e che, soprattutto, spesso ci rende più infelici che soddisfatti? E
poi è fetente, la vita. Gioca con noi, alle tre carte. Ci fa vedere una carta
con l’amore e la felicità dei sentimenti, poi la copre, poggia le carte sul
banchetto, le muove e chiede, se vogliamo vincere, di indicare qual è la carta che
aveva mostrato. Noi, ovviamente ingannati dall’abilità della vita truffatrice,
indichiamo quella sbagliata, e perdiamo. Poi fa lo stesso con le carte della
ricchezza e del successo, ma ancora ci inganna. Se è particolarmente carogna
tira fuori la carta della salute e gioca facendoci perdere anche con quella. E questa
è la vita che noi dovremmo amare? Io, signorì, sono ignorante, ma ho tanti anni
sulle spalle e ancora non ho capito il senso dello stare al mondo, ma Bonolis,
in televisione, lo chiedeva a tutti e mi sembra che ognuno avesse una risposta
diversa. Quindi non esiste una sola e vera risposta, come nessun filosofo o
teologo, in tutti i secoli passati, credo sia mai riuscito a dare. Per quanto
mi riguarda c’è soltanto il ricatto dei sentimenti, ovvero il senso di colpa
nei confronti dei mei cari che mi tiene legato a tutta questa pantomima. Altre motivazioni,
più l’artrite mi impedisce di riparare le reti per la pesca, meno riesco a
trovarle.” Lo guardai negli occhi azzurri e profondi, immersi in un mare increspato
di rughe, che da soli parlavano in quel viso bruciato dal sole e sbiancato
dalla barba ormai incanutita. Come non serve nessun insegnamento per trovare il
seno di una madre, così non contano mille anni di studio per trovare una
risposta che non c’è o che è diversa per ciascuno di noi. Così risposi nella
sola, insoddisfacente, maniera che a quella domanda mi ero anch’io dato. “Amico
mio, per alcuni la risposta è la fede. Motivano sofferenze e sottomissioni con
una ipotetica e mai provata ricompensa in un’altra vita. Altri credono che
questa sia solo una consolazione per i patimenti quotidiani ed i soprusi dei
potenti e, quindi, niente abbia a che vedere con l’etica naturale non trovando
alcun senso alla vita. Io, più semplicemente, credo che sediamo in un vagoncino
agganciato al convoglio che corre sulle montagne russe. Ormai ci siamo. Non
possiamo scendere, cerchiamo di spaventarci il meno possibile e, anzi, di
divertirci se ci riusciamo. Urliamo, piangiamo, diciamo parolacce e speriamo
che, alla fine del percorso, scenderemo con un sorriso.” “Tu sì nù babà!” In
quel momento il sole si inabissò lasciando un cielo rosso con la promessa di un
nuovo incontro dopo l’intervallo della notte.
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