giovedì 2 gennaio 2014

La giovane signora Marple

Con la massima calma, Carolyn si preparò la prima colazione a base di toast bene imburrarti e spalmati con marmellata di arance amare, uova strapazzate ed un profumatissimo tè all’aroma di cannella e frutti rossi.  Era sopravvissuta al party annuale dell’ufficio che, la sera prima, aveva riunito tutti i colleghi intorno ad una grande boule di grog al rhum ed a dolcetti vari per festeggiare l’imminente Natale e l’ultimo giorno di lavoro prima di due settimane di ferie. Forse aveva esagerato con i beveraggi, lasciandosi un po’ andare, e adesso ne scontava le conseguenze con mal di testa ed occhi gonfi. Questo non impediva al suo umore di tendere al bello sollevato dagli impegni lavorativi e con la prospettiva di “vivere” finalmente, concedendosi il tempo per le amicizie ed i suoi hobby. Sedeva al tavolo di cucina, da dove poteva scorgere la porta di casa e, mentre con gli occhi ancora semichiusi dal sonno seguiva le ultime notizie trasmesse dal televisore, intravide una lingua bianca scivolare nell’appartamento attraverso la fessura tra l’uscio ed il pavimento. “Nooo. – pensò – Un’altra bolletta! Prima di Natale non vale. Specialmente oggi, primo giorno di libertà, non possono intristirmi chiedendo soldi. Non la apro. Se ne parla dopo capodanno.” Ma la curiosità e la paura che, in caso di morosità, le staccassero luce o telefono la indussero a raccogliere la minacciosa missiva. Studio legale Lawson & Lawson, lesse stampato sulla busta. “Ahi, ahi!” Piccolo esame di coscienza. Non aveva tamponato nessuno, il condominio era pagato e non le risultava di avere lasciato debiti in giro. E’ vero, recentemente si era lamentata con il suo ex droghiere di fiducia perché la “mozzarella”, che lui diceva venisse freschissima dall’Italia, era risultata, invece, di origine prettamente britannica. Aveva preteso i soldi indietro facendogli capire, magari in maniera un po’ vivace e con qualche colorita espressione, che non accettava la sua intenzionale fregatura, ma non riteneva questo sufficiente per essere citata in giudizio. Affrontò le proprie responsabilità ed aprì la lettera. “Gentile signora Carolyn Marple, – era il freddo ed inquietante incipit – il nostro Studio, in seguito alla dipartita della sua congiunta signora Jane Marple, è stato incaricato, come esecutore testamentario, di individuare l’erede beneficiante di un lascito. Dopo accurate ricerche, abbiamo individuato, nella sua rispettabile persona, il soggetto avente causa. La preghiamo, pertanto, di prendere contatto con il nostro avv. Peter Palmer Lawson al fine di definire la questione. Distinti saluti.” 
Jane Marple era stata la sorella di suo nonno. Vecchietta vivace ed indipendente, aveva vissuto tutta la sua vita di zitella senza figli in un paesino nella contea del Radfordshire. Carolyn, da bambina, aveva passato da lei qualche settimana in estate e poi, cresciuta, periodicamente andava a trovarla per affetto e per assaporare quell’atmosfera di pace così diversa dalla frenesia di Londra. Sapeva che la nonna, così la chiamava, non aveva altri parenti diretti, ma mai avrebbe pensato di essere nominata nel suo testamento, supponendo che il Vicariato locale fosse il favorito nelle sue preferenze.
Prese, quindi, il telefono e chiamò lo studio legale per un appuntamento. Carolyn avrebbe ripreso il lavoro dopo due settimane e, quindi, disponeva di tutto il tempo necessario per occuparsi della faccenda. L’avvocato P.P. Lawson la convocò per la mattina seguente e, dopo i dovuti accertamenti, le disse: “Cara signora, rinnovando le mie condoglianze per la dolorosa dipartita, le comunico di essere stata nominata erede della signora Jane Marple. Il lascito consiste nel cottage sito in St. Mary Mead, svincolato da ogni peso e gravame, e della somma di venticinquemila sterline depositata presso la Barclays Bank locale. Se accetta, dovrà recarsi nella villetta con un nostro impiegato e prenderne possesso.” Carolyn ricordava il tetto di paglia e le rose rampicanti sui muri esterni. Le sembrava ancora di sentire l’aroma di lavanda, legno e vecchio cuoio che aleggiava nelle stanze. Soprattutto ripensava al giardino con la varietà di forme e la vivacità dei colori delle piante sparse in maniera apparentemente casuale ma, in realtà, frutto della sapiente ed amorevole disposizione curata dalla nonna.  Non vedeva l’ora di ritornarci. “Accetto!” rispose con entusiasmo.
“Firmi qui…e qui…e qui. Bene, ecco le chiavi. Buona giornata.” Il delegato dallo studio legale fece il suo dovere e, redatto l’apposito verbale, consegnò la proprietà alla nuova padrona. Carolyn congedò l’ometto e rimase sola nel locale principale al pianterreno della villetta. Non era cambiato nulla. La grande stanza, dove si trovava, fungeva da salotto e sala da pranzo con un grande camino d’angolo. A destra, una porta dava sulla cucina ed, a sinistra, un’altra, più piccola, portava allo scantinato. Dal centro della parete opposta alla porta d’ingresso, partiva una scala di legno scuro che conduceva al piano superiore dove erano sistemate le camere da letto ed i bagni. L’arredamento era ancora tipicamente vittoriano: un trionfo di centrini di pizzo e statuine in biscuit. Certamente non era quello che Carolyn avrebbe scelto, ma si intonava perfettamente con la vecchia architettura e l’ambientazione campestre. Qualche anima pia aveva pensato, sapendo che lei sarebbe arrivata, di accendere il riscaldamento e, pertanto, anche in quella fredda mattina di dicembre, l’ambiente era caldo ed accogliente. Stava ancora analizzando le proprie sensazioni quando squillò il campanello d’ingresso. Contrariamente a quanto le sarebbe accaduto a Londra, non provò alcun senso di allarme o diffidenza per il richiamo non previsto ed andò sollecitamente ad aprire. “La giovane signora Marple?” Sulla soglia, un’anziana signora con un pelliccione di lapin nero ed un buffo cappellino demodé, la stava scrutando con un’espressione talmente curiosa da sconfinare nella sfacciataggine. “Sono io. Posso esserle utile?” “Oh cara – disse la donna – in realtà potrei io essere utile a lei. Mi chiamo Marjorie Hubbard e sono la sua vicina. Ho notato il suo arrivo e mi sono permessa di venirla a salutare per darle il benvenuto. Posso entrare?” “La prego, si accomodi” disse Carolyn anche se non era particolarmente felice di essere disturbata in quel momento. “Non me l’aspettavo così giovane e di bell’aspetto” esordì la signora con un pizzico di cortese adulazione per entrare in simpatia. “Quanti anni ha cara? Mi posso permettere di chiederlo visto che potrei essere sua madre. E che classe. Si vede che è la nipote della cara Jane e che viene dalla City. Sembra un’attrice.” “La ringrazio, mrs. Hubbard, ma ho ben trentadue anni e la vita di città certamente non favorisce la mia forma fisica.” Si può dire che l’aspetto di Carolyn fosse più rispondente ai complimenti della visitatrice che alla immagine che la ragazza aveva di sé. Le avevano già detto che assomigliava ad una diva del cinema. In particolare l’accostavano spesso a Renee Zellweger, anche se lei sospettava si riferissero più che altro al personaggio di Bridget Jones specialmente per la leggera abbondanza sui fianchi che, come la protagonista del film, aveva da tempo smesso di combattere. “Gradisce una tazza di tè?” disse Carolyn-Bridget. “No, no grazie. Non la voglio disturbare ancora, avevo solo intenzione di conoscerla. Avrei anche il piacere di invitarla alla riunione settimanale presso il Vicariato per farle incontrare i componenti della nostra piccola comunità. Ci riuniamo ogni giovedì sera per aggiornarci sulle ultime novità del paese e discutere i nostri problemi, ma è soprattutto un occasione per stare insieme in amicizia” L’iniziativa sembrava, alla ragazza, particolarmente meritevole visto che nel suo condominio londinese salutava appena il dirimpettaio e si ignorava con gli altri inquilini. “Verrò senz’altro con molto piacere e, se tutti sono così cordiali e gentili come lei, sarà un piacere per me trascorre qui più tempo che potrò.” Mrs. Hubbard se ne andò lusingata da quelle osservazioni e compiacendosi di aver trovato una nuova vicina così compita ed educata.
“Per prima cosa, diamo il benvenuto alla nipote della nostra compianta mrs. Jane Marple: la signorina Carolyn Marple!” alle parole del Vicario, padre Leonard Clement, tutti si volsero verso di lei sorridendo ed indirizzandole un piccolo applauso. “Dopo di che, apriamo la nostra riunione settimanale che, oggi, avrà in discussione i seguenti argomenti: la colletta per la vedova del capostazione; i lavori di riparazione nel sottotetto della Chiesa…” Il prelato continuò l’elenco per una decina di argomenti mentre Carolyn, cullata da quella voce cantilenante, si abbandonava ad una dolce sonnolenza. Era in quella sospensione temporale, tra sonno e veglia, dove tutto è un po’ confuso ed irreale, quando avvertì che i convenuti si erano alzati in piedi. Bruscamente sollecitata, si levò anche lei senza conoscerne il motivo. “Preghiamo adesso, cari fratelli, per l’anima del defunto mr. Haydock. Il corpo è stato trovato, senza vita, nello studio della sua abitazione. Requiescat in pacem.” Seguì un’orazione, più o meno blaterata dai presenti, dopo di che, il Vicario sciolse l’assemblea.
Carolyn salutò rapidamente i suoi nuovi compaesani avviandosi verso il cottage. Le si affiancò la signora Hubbard prendendola sottobraccio. “Allora, cara, che impressione le hanno fatto gli abitanti del nostro villaggio?” Seguendo gli impulsi del suo carattere, la ragazza stava per sciogliersi in maniera brusca da quella amicizia proditoriamente imposta, ma si frenò per rispetto dell’età della signora Marjorie e della memoria di sua nonna. “Sono tutti molto cordiali.” Rispose miss Marple anche se, in realtà, ricordava a malapena qualche volto tra i molti a cui era stata presentata. “Si, ma non è tutto oro quello che luccica e non tutto è così tranquillo come potrebbe sembrare.” La incalzò l’anziana signora. “Ad esempio la morte del povero signor Haydock non è affatto chiara e la polizia sta indagando. E’ stato trovato riverso vicino alla sua scrivania con un foro alla tempia ed un revolver vicino al corpo. Il dubbio, nel supposto suicidio, è sul movente. Non ci sono biglietti ed, apparentemente, non esistono motivazioni, economiche o passionali, che giustifichino l’insano gesto.” Carolyn stava a sentire per pura cortesia. Allungò il passo verso casa, ma la sua nuova amica si adeguò all’andatura non avendo alcuna intenzione di abbandonare quel succoso argomento. “La cara miss Marple, sua nonna, avrebbe subito colto l’incongruenza della situazione e, con la sua apprezzatissima arguzia, avrebbe sicuramente trovato il bandolo di questa oscura matassa!” La signora Hubbard, maliziosamente, lanciava il guanto di sfida alla nipote della compianta paesana per saggiarne la reazione. Come dicevano le sue amiche: “E’ buona e cara, ma non stuzzicarla. Si rischiano tutte le reazioni che il segno astrologico dell’ariete e la mancanza di un fidanzato possono scatenare in una ragazza.” Cosa credeva, quella vecchietta melliflua ed insinuante, che lei fosse sprovveduta, ingenua e non all’altezza di sua nonna?  Carolyn capì che si doveva, in qualche modo, impegnare per farsi rispettare e conquistare l’approvazione della comunità.
“Cara Marjorie, ti posso chiamare per nome, ti dispiace?” “Oh, Carolyn, ti prego…” fece la signora sentendosi un po’ più giovane per il solo fatto di avere conquistato la confidenza di una trentenne. “Dimmi: cos’è, esattamente, che non convince gli inquirenti?” Non parse vero alla signora di poter continuare nella confidenza “border-line” tra informazione e pettegolezzo. “Ti ho detto della mancanza di movente, ma devi anche sapere che il figlio aspettava, da tempo, l’eredità paterna per sistemare tanti suoi problemi dei quali il genitore non voleva assolutamente sentir parlare. Si dice che faccia uso di droghe e sia indebitato con i suoi fornitori. Il padre, non volendo accondiscendere al suo vizio, gli aveva, come si suol dire, chiuso i rubinetti. La mancanza di soldi e la conseguente impossibilità di rifornirsi, avevano creato una situazione di forte tensione tra i due.” “Beh, questa non è una prova.” Disse Carolyn. “E’ quello che dice anche la polizia, ma la storia…puzza!” Mrs. Hubbard se ne uscì con questa espressione, un po’ volgare, che risultava stonata provenendo da sotto una distinta veletta nera.
Arrivarono al cancelletto che delimitava il giardino del cottage di Carolyn e si lasciarono salutandosi come vecchie amiche. La giovane entrò nella villetta, si preparò una tisana e andò a letto rimuginando su quanto aveva appreso. C’era un delitto, un ottimo, presunto, esecutore ma non uno straccio di prova. Come fare per collegare i due soggetti, vittima e carnefice? Ma, le suggerì la sua coscienza razionale, soprattutto, perché non farsi i fatti propri e soprassedere al problema? La giovane stava ancora dibattendo tra sé l’impellente dilemma quando, cedendo alla forza del rilassante infuso, scivolò in un sonno senza sogni. 
Si svegliò, il giorno dopo, determinata ad incontrare il figlio di mr. Haydock. “Marjorie, - disse Carolyn telefonando alla vicina – come posso incontrare il sospetto? E, a proposito, come si chiama?” “Il suo nome è George – rispose l’interlocutrice – e lo trovi tutte le sere, al pub del paese, dalle sette in poi. Ha suppergiù la tua età e lo potrai riconoscere perché porta un orecchino e, normalmente, un giubbotto di pelle nera.”
Puntuale, alle sette della stessa sera, Carolyn uscì da casa avviandosi verso la High Street che attraversava, da nord a sud, tutto il paese. Arrivò al pub “The Blue Boar” ed entrò nel locale già, a quell’ora, piuttosto affollato. Qualche avventore si voltò verso di lei incuriosito dalla nuova venuta, ma la maggior parte continuò la conversazione o la bevuta in corso. La ragazza prese posto in un tavolino d’angolo, un po’ defilata, da dove poteva scorgere l’insieme del bar ed i suoi frequentatori. Non le ci volle molto per individuare la sua preda. Vicino al bancone, appoggiato sui gomiti, sedeva un giovane corrispondente alla descrizione di mrs. Hubbard. Sembrava ipnotizzato dal fondo del suo boccale di birra tanto era immobile ed assorto in chi sa quali pensieri o preoccupazioni. La ragazza capì che doveva essere lei a prendere l’iniziativa per attaccare discorso. Aveva qualche esperienza in merito poichè, non essendo una bellezza appariscente, quando usciva per andare in qualche locale con le sue amiche, non era infrequente che dovesse fare il primo passo per farsi notare dal ragazzo che aveva occasionalmente puntato. Quindi, prendendo coraggio, si alzò dal tavolino ed andò ad appollaiarsi sullo sgabello accanto a George. “Scusami se ti disturbo. Sono nuova in Paese e sto cercando di orientarmi un po’. Ti dispiacerebbe darmi qualche informazione?” Il giovane si riscosse dalla fissità e voltò solamente la testa nella sua direzione come una lucertola che vede una mosca passargli vicino. Era un bel ragazzo sulla trentina, dai lineamenti marcati, vestito in maniera un po’ trasandata ma con abiti di buona qualità. Focalizzò gli occhi sulla vicina tornando, forse di malavoglia, alla realtà circostante. “Beh, se devo essere onesto, non mi va molto di fare conversazione – rispose bruscamente – ma non si dica mai che un abitante di St. Mary Mead non aiuti chi si trova in difficoltà! Sono a tua disposizione.” Uno scintillio nello sguardo del giovane sottolineava l’ironia della risposta.” Vabbè, se ti distraggo tanto dal bicchiere, me ne vado.” Si finse offesa Carolyn. Poi, sbattendo lievemente le ciglia con atteggiamento vagamente civettuolo, proseguì: “Mi sono rivolta a te, fra gli altri, perché siamo più o meno coetanei, ma non pensavo di recarti tanto fastidio. Me ne vado, ciao!” Carolyn fece la finta di alzarsi aspettando il richiamo che arrivò puntualmente. “Fermati. Scusa. Sto passando un periodaccio e ho scordato le buone maniere. Per farmi perdonare, ti offro una birra. Andiamo a sederci insieme, sono pronto ad introdurti nelle segrete cose del nostro piccolo ma vivace paesotto.” Accompagnando queste parole con un sorriso, George prese con una mano il suo bicchiere e con l’altra, sottobraccio, Carolyn e si accomodò al tavolo.
Il pub si era riempito per l’ultima bevuta della giornata, ed il rumore delle conversazioni intervallate da risate ed occasionali cori e battimani, consentì ai giovani di crearsi una nicchia di riservatezza all’angolo del locale. Dopo le dovute presentazioni ed essere entrati in confidenza, Carolyn portò il discorso dove voleva. “Ho saputo che tuo padre è morto da poco. Mi dispiace molto per te. E’ un dolore grande.” “Grazie, ma non ti dispiacere visto che io non ne soffro di certo. Non voglio sembrati crudele o cinico, ma mio padre, il tanto stimato signor Haydock, M.B.E. e maggiorente del villaggio, non era affatto quello che mostrava ai compaesani.” Queste parole stupirono la ragazza facendo intravedere un personaggio del tutto opposto a quello che il Vicario aveva descritto. “Ti va di raccontare?” gli domandò. “Si, mi farà bene sfogarmi con te.” Disse George continuando.” Mio padre, tutte le settimane, trascorreva cinque giorni qui a St. Mary Mead e due giorni a Londra. Nel villaggio era uno stimato gentiluomo, benvoluto da tutti, che viveva sulla rendita del suo patrimonio, ma la sua vera attività, dalla quale ricavava ingenti somme di denaro, la svolgeva nella capitale. Per dirla in parole povere, era il più turpe e spietato strozzino che tu possa immaginare. Non aveva compassione per le sue vittime e, di conseguenza si era fatto molti nemici. Suppongo che uno di questi, esasperato e disperato, abbia compiuto la sua vendetta uccidendo l’aguzzino.” “Tu sai che la polizia sospetta di te?” chiese Carolyn. “Si. Mi hanno interrogato più volte, ma non possono incastrarmi senza prove. Credo anche che non sappiano della vita parallela di mio padre e, di conseguenza, dove cercare veramente. Io, d'altronde, non ho alcuna intenzione di dirglielo.” “Per quale motivo?” “Mio padre ha meritato la sua fine e il mondo è migliore senza di lui. A meno che non ne vada della mia libertà, non metterò le forze dell’ordine sulle tracce del suo assassino che, immagino, sia passato attraverso la più profonda disperazione.” “Io non credo – disse Carolyn – che sia giusto, per nessun motivo, sostituirsi alla giustizia ed avallare un omicidio. Dovresti parlare con la polizia.” “Sai Carolyn, mi sembra di esserti amico da tanto tempo anche se è poco che ci conosciamo.” Gli occhi di George si riempirono di lacrime e, con voce velata da un profondo dolore, continuò. “Ho vissuto una infanzia infelice sotto la tirannia di quel delinquente con il terrore per le sue minacce in caso avessi mai rilevato anche la minima parte di quel che sapevo. Mia madre morì di crepacuore per la pena di non potermi aiutare ed a causa delle continue vessazioni del marito. E’ stato tutto un incubo finché non sono scappato di casa e mi sono arrangiato a vivere da solo. Mio padre era contento di tenermi lontano ed, anzi, mi passava qualche sterlina per farmi stare tranquillo. Quando ho saputo della sua morte, che Dio mi perdoni, ho gioito e ringraziato, mentalmente, la mano del giustiziere.”
Carolyn uscì sconvolta da quell’incontro. Aveva, forse per la prima volta nella sua vita, visto da vicino l’abisso di nefandezza nel quale può cadere un uomo e le conseguenze di tale diabolica malvagità.  Adesso, non sapeva cosa fare. Marjorie l’aveva sfidata a confrontarsi con l’abilità di sua nonna e, in un certo senso, lei aveva raggiunto dei risultati con la sua, sia pur breve, indagine. Infatti, contrariamente alla polizia, aveva trovato il movente che supportava l’ipotesi di omicidio e, anche se non sapeva esattamente il nome dell’assassino, avrebbe potuto indirizzare le indagini verso la ristretta cerchia delle persone vittime di mr. Haydock.
Sentiva, però, che le cose erano andate come una Giustizia superiore a quella terrena aveva disposto. In fondo il morto aveva raccolto quello che aveva seminato e, con la fine della sua vita, liberava il figlio ed i suoi debitori ai quali, involontariamente, con quest’ultimo atto, rimetteva i loro debiti. Chi era lei, Carolyn Marple, per intromettersi nei divini disegni? Decise, quindi, che non avrebbe rivelato a nessuno il contenuto dell’incontro con George Haydock. Si ripromise, inoltre, di coltivare la neonata amicizia e di consolare il giovane che l’aveva tanto colpita con la sua pietosa storia e la sensibilità dell’animo, oltre che per il gradevole aspetto. Avrebbe comunicato a Marjorie che non le interessava approfondire il caso.
“Amica mia,” - disse mrs. Hubbard sorseggiando la tazza di tè che Carolyn le stava offrendo dopo averla invitata nel salotto del suo cottage. - “l’arguzia e le intuizioni della cara Jane, tua nonna, sono difficilmente uguagliabili. Non avvilirti se ancora non ne sei all’altezza. In fondo sei così…giovane.” L’aria di compatimento e leggero scherno della anziana interlocutrice accesero un fuoco dentro Carolyn che, punta sul vivo da quella ingiusta affermazione, sbottò: “Che vuoi dire, che devo diventare vecchia per dimostrarmi intelligente? Allora sappi che…” Si fermò appena in tempo per non rivelare tutto quello che aveva appreso. Sacrificò il suo orgoglio mordendosi la lingua. “Sappi – riprese, dicendo e non dicendo, – che, come scrisse l’immortale Bardo, ci sono più cose in cielo e in terra eccetera… eccetera…” Accompagnò l’affermazione con un’occhiata alla maniera di qualcuno che la sapeva lunga, ma non poteva parlare. La signora Hubbard la guardò stupita pensando: “Cosa c’è da aspettarsi da una ragazza venuta da Londra?”

  




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