Con la massima calma, Carolyn si preparò la prima colazione
a base di toast bene imburrarti e spalmati con marmellata di arance amare, uova
strapazzate ed un profumatissimo tè all’aroma di cannella e frutti rossi. Era sopravvissuta al party annuale dell’ufficio
che, la sera prima, aveva riunito tutti i colleghi intorno ad una grande boule di
grog al rhum ed a dolcetti vari per festeggiare l’imminente Natale e l’ultimo
giorno di lavoro prima di due settimane di ferie. Forse aveva esagerato con i
beveraggi, lasciandosi un po’ andare, e adesso ne scontava le conseguenze con
mal di testa ed occhi gonfi. Questo non impediva al suo umore di tendere al
bello sollevato dagli impegni lavorativi e con la prospettiva di “vivere”
finalmente, concedendosi il tempo per le amicizie ed i suoi hobby. Sedeva al
tavolo di cucina, da dove poteva scorgere la porta di casa e, mentre con gli
occhi ancora semichiusi dal sonno seguiva le ultime notizie trasmesse dal
televisore, intravide una lingua bianca scivolare nell’appartamento attraverso
la fessura tra l’uscio ed il pavimento. “Nooo. – pensò – Un’altra bolletta!
Prima di Natale non vale. Specialmente oggi, primo giorno di libertà, non
possono intristirmi chiedendo soldi. Non la apro. Se ne parla dopo capodanno.”
Ma la curiosità e la paura che, in caso di morosità, le staccassero luce o
telefono la indussero a raccogliere la minacciosa missiva. Studio legale Lawson
& Lawson, lesse stampato sulla busta. “Ahi, ahi!” Piccolo esame di
coscienza. Non aveva tamponato nessuno, il condominio era pagato e non le
risultava di avere lasciato debiti in giro. E’ vero, recentemente si era
lamentata con il suo ex droghiere di fiducia perché la “mozzarella”, che lui
diceva venisse freschissima dall’Italia, era risultata, invece, di origine
prettamente britannica. Aveva preteso i soldi indietro facendogli capire,
magari in maniera un po’ vivace e con qualche colorita espressione, che non
accettava la sua intenzionale fregatura, ma non riteneva questo sufficiente per
essere citata in giudizio. Affrontò le proprie responsabilità ed aprì la
lettera. “Gentile signora Carolyn Marple, – era il freddo ed inquietante
incipit – il nostro Studio, in seguito alla dipartita della sua congiunta signora
Jane Marple, è stato incaricato, come esecutore testamentario, di individuare
l’erede beneficiante di un lascito. Dopo accurate ricerche, abbiamo
individuato, nella sua rispettabile persona, il soggetto avente causa. La
preghiamo, pertanto, di prendere contatto con il nostro avv. Peter Palmer
Lawson al fine di definire la questione. Distinti saluti.”
Jane Marple era stata la sorella di suo nonno. Vecchietta vivace
ed indipendente, aveva vissuto tutta la sua vita di zitella senza figli in un
paesino nella contea del Radfordshire. Carolyn, da bambina, aveva passato da
lei qualche settimana in estate e poi, cresciuta, periodicamente andava a
trovarla per affetto e per assaporare quell’atmosfera di pace così diversa
dalla frenesia di Londra. Sapeva che la nonna, così la chiamava, non aveva
altri parenti diretti, ma mai avrebbe pensato di essere nominata nel suo
testamento, supponendo che il Vicariato locale fosse il favorito nelle sue
preferenze.
Prese, quindi, il telefono e chiamò lo studio legale per un
appuntamento. Carolyn avrebbe ripreso il lavoro dopo due settimane e, quindi,
disponeva di tutto il tempo necessario per occuparsi della faccenda. L’avvocato
P.P. Lawson la convocò per la mattina seguente e, dopo i dovuti accertamenti,
le disse: “Cara signora, rinnovando le mie condoglianze per la dolorosa dipartita,
le comunico di essere stata nominata erede della signora Jane Marple. Il
lascito consiste nel cottage sito in St. Mary Mead, svincolato da ogni peso e
gravame, e della somma di venticinquemila sterline depositata presso la Barclays
Bank locale. Se accetta, dovrà recarsi nella villetta con un nostro impiegato e
prenderne possesso.” Carolyn ricordava il tetto di paglia e le rose rampicanti
sui muri esterni. Le sembrava ancora di sentire l’aroma di lavanda, legno e
vecchio cuoio che aleggiava nelle stanze. Soprattutto ripensava al giardino con
la varietà di forme e la vivacità dei colori delle piante sparse in maniera
apparentemente casuale ma, in realtà, frutto della sapiente ed amorevole
disposizione curata dalla nonna. Non
vedeva l’ora di ritornarci. “Accetto!” rispose con entusiasmo.
“Firmi qui…e qui…e qui. Bene, ecco le chiavi. Buona
giornata.” Il delegato dallo studio legale fece il suo dovere e, redatto
l’apposito verbale, consegnò la proprietà alla nuova padrona. Carolyn congedò
l’ometto e rimase sola nel locale principale al pianterreno della villetta. Non
era cambiato nulla. La grande stanza, dove si trovava, fungeva da salotto e sala
da pranzo con un grande camino d’angolo. A destra, una porta dava sulla cucina
ed, a sinistra, un’altra, più piccola, portava allo scantinato. Dal centro
della parete opposta alla porta d’ingresso, partiva una scala di legno scuro
che conduceva al piano superiore dove erano sistemate le camere da letto ed i
bagni. L’arredamento era ancora tipicamente vittoriano: un trionfo di centrini
di pizzo e statuine in biscuit. Certamente non era quello che Carolyn avrebbe
scelto, ma si intonava perfettamente con la vecchia architettura e
l’ambientazione campestre. Qualche anima pia aveva pensato, sapendo che lei
sarebbe arrivata, di accendere il riscaldamento e, pertanto, anche in quella
fredda mattina di dicembre, l’ambiente era caldo ed accogliente. Stava ancora
analizzando le proprie sensazioni quando squillò il campanello d’ingresso.
Contrariamente a quanto le sarebbe accaduto a Londra, non provò alcun senso di
allarme o diffidenza per il richiamo non previsto ed andò sollecitamente ad
aprire. “La giovane signora Marple?” Sulla soglia, un’anziana signora con un
pelliccione di lapin nero ed un buffo cappellino demodé, la stava scrutando con
un’espressione talmente curiosa da sconfinare nella sfacciataggine. “Sono io.
Posso esserle utile?” “Oh cara – disse la donna – in realtà potrei io essere
utile a lei. Mi chiamo Marjorie Hubbard e sono la sua vicina. Ho notato il suo
arrivo e mi sono permessa di venirla a salutare per darle il benvenuto. Posso
entrare?” “La prego, si accomodi” disse Carolyn anche se non era particolarmente
felice di essere disturbata in quel momento. “Non me l’aspettavo così giovane e
di bell’aspetto” esordì la signora con un pizzico di cortese adulazione per
entrare in simpatia. “Quanti anni ha cara? Mi posso permettere di chiederlo
visto che potrei essere sua madre. E che classe. Si vede che è la nipote della
cara Jane e che viene dalla City. Sembra un’attrice.” “La ringrazio, mrs.
Hubbard, ma ho ben trentadue anni e la vita di città certamente non favorisce
la mia forma fisica.” Si può dire che l’aspetto di Carolyn fosse più
rispondente ai complimenti della visitatrice che alla immagine che la ragazza aveva
di sé. Le avevano già detto che assomigliava ad una diva del cinema. In particolare
l’accostavano spesso a Renee Zellweger, anche se lei sospettava si riferissero
più che altro al personaggio di Bridget Jones specialmente per la leggera
abbondanza sui fianchi che, come la protagonista del film, aveva da tempo smesso
di combattere. “Gradisce una tazza di tè?” disse Carolyn-Bridget. “No, no
grazie. Non la voglio disturbare ancora, avevo solo intenzione di conoscerla.
Avrei anche il piacere di invitarla alla riunione settimanale presso il
Vicariato per farle incontrare i componenti della nostra piccola comunità. Ci
riuniamo ogni giovedì sera per aggiornarci sulle ultime novità del paese e
discutere i nostri problemi, ma è soprattutto un occasione per stare insieme in
amicizia” L’iniziativa sembrava, alla ragazza, particolarmente meritevole visto
che nel suo condominio londinese salutava appena il dirimpettaio e si ignorava
con gli altri inquilini. “Verrò senz’altro con molto piacere e, se tutti sono
così cordiali e gentili come lei, sarà un piacere per me trascorre qui più
tempo che potrò.” Mrs. Hubbard se ne andò lusingata da quelle osservazioni e compiacendosi
di aver trovato una nuova vicina così compita ed educata.
“Per prima cosa, diamo il benvenuto alla nipote della nostra
compianta mrs. Jane Marple: la signorina Carolyn Marple!” alle parole del
Vicario, padre Leonard Clement, tutti si volsero verso di lei sorridendo ed
indirizzandole un piccolo applauso. “Dopo di che, apriamo la nostra riunione
settimanale che, oggi, avrà in discussione i seguenti argomenti: la colletta
per la vedova del capostazione; i lavori di riparazione nel sottotetto della
Chiesa…” Il prelato continuò l’elenco per una decina di argomenti mentre
Carolyn, cullata da quella voce cantilenante, si abbandonava ad una dolce
sonnolenza. Era in quella sospensione temporale, tra sonno e veglia, dove tutto
è un po’ confuso ed irreale, quando avvertì che i convenuti si erano alzati in
piedi. Bruscamente sollecitata, si levò anche lei senza conoscerne il motivo.
“Preghiamo adesso, cari fratelli, per l’anima del defunto mr. Haydock. Il corpo
è stato trovato, senza vita, nello studio della sua abitazione. Requiescat in
pacem.” Seguì un’orazione, più o meno blaterata dai presenti, dopo di che, il Vicario
sciolse l’assemblea.
Carolyn salutò rapidamente i suoi nuovi compaesani avviandosi
verso il cottage. Le si affiancò la signora Hubbard prendendola sottobraccio.
“Allora, cara, che impressione le hanno fatto gli abitanti del nostro
villaggio?” Seguendo gli impulsi del suo carattere, la ragazza stava per
sciogliersi in maniera brusca da quella amicizia proditoriamente imposta, ma si
frenò per rispetto dell’età della signora Marjorie e della memoria di sua
nonna. “Sono tutti molto cordiali.” Rispose miss Marple anche se, in realtà,
ricordava a malapena qualche volto tra i molti a cui era stata presentata. “Si,
ma non è tutto oro quello che luccica e non tutto è così tranquillo come
potrebbe sembrare.” La incalzò l’anziana signora. “Ad esempio la morte del
povero signor Haydock non è affatto chiara e la polizia sta indagando. E’ stato
trovato riverso vicino alla sua scrivania con un foro alla tempia ed un
revolver vicino al corpo. Il dubbio, nel supposto suicidio, è sul movente. Non
ci sono biglietti ed, apparentemente, non esistono motivazioni, economiche o
passionali, che giustifichino l’insano gesto.” Carolyn stava a sentire per pura
cortesia. Allungò il passo verso casa, ma la sua nuova amica si adeguò
all’andatura non avendo alcuna intenzione di abbandonare quel succoso
argomento. “La cara miss Marple, sua nonna, avrebbe subito colto l’incongruenza
della situazione e, con la sua apprezzatissima arguzia, avrebbe sicuramente
trovato il bandolo di questa oscura matassa!” La signora Hubbard, maliziosamente,
lanciava il guanto di sfida alla nipote della compianta paesana per saggiarne
la reazione. Come dicevano le sue amiche: “E’ buona e cara, ma non stuzzicarla.
Si rischiano tutte le reazioni che il segno astrologico dell’ariete e la
mancanza di un fidanzato possono scatenare in una ragazza.” Cosa credeva,
quella vecchietta melliflua ed insinuante, che lei fosse sprovveduta, ingenua e
non all’altezza di sua nonna? Carolyn
capì che si doveva, in qualche modo, impegnare per farsi rispettare e
conquistare l’approvazione della comunità.
“Cara Marjorie, ti posso chiamare per nome, ti dispiace?”
“Oh, Carolyn, ti prego…” fece la signora sentendosi un po’ più giovane per il
solo fatto di avere conquistato la confidenza di una trentenne. “Dimmi: cos’è,
esattamente, che non convince gli inquirenti?” Non parse vero alla signora di
poter continuare nella confidenza “border-line” tra informazione e
pettegolezzo. “Ti ho detto della mancanza di movente, ma devi anche sapere che
il figlio aspettava, da tempo, l’eredità paterna per sistemare tanti suoi
problemi dei quali il genitore non voleva assolutamente sentir parlare. Si dice
che faccia uso di droghe e sia indebitato con i suoi fornitori. Il padre, non
volendo accondiscendere al suo vizio, gli aveva, come si suol dire, chiuso i
rubinetti. La mancanza di soldi e la conseguente impossibilità di rifornirsi,
avevano creato una situazione di forte tensione tra i due.” “Beh, questa non è
una prova.” Disse Carolyn. “E’ quello che dice anche la polizia, ma la
storia…puzza!” Mrs. Hubbard se ne uscì con questa espressione, un po’ volgare, che
risultava stonata provenendo da sotto una distinta veletta nera.
Arrivarono al cancelletto che delimitava il giardino del
cottage di Carolyn e si lasciarono salutandosi come vecchie amiche. La giovane
entrò nella villetta, si preparò una tisana e andò a letto rimuginando su quanto
aveva appreso. C’era un delitto, un ottimo, presunto, esecutore ma non uno
straccio di prova. Come fare per collegare i due soggetti, vittima e carnefice?
Ma, le suggerì la sua coscienza razionale, soprattutto, perché non farsi i
fatti propri e soprassedere al problema? La giovane stava ancora dibattendo tra
sé l’impellente dilemma quando, cedendo alla forza del rilassante infuso,
scivolò in un sonno senza sogni.
Si svegliò, il giorno dopo, determinata ad incontrare il figlio
di mr. Haydock. “Marjorie, - disse Carolyn telefonando alla vicina – come posso
incontrare il sospetto? E, a proposito, come si chiama?” “Il suo nome è George
– rispose l’interlocutrice – e lo trovi tutte le sere, al pub del paese, dalle
sette in poi. Ha suppergiù la tua età e lo potrai riconoscere perché porta un
orecchino e, normalmente, un giubbotto di pelle nera.”
Puntuale, alle sette della stessa sera, Carolyn uscì da casa
avviandosi verso la High Street che attraversava, da nord a sud, tutto il
paese. Arrivò al pub “The Blue Boar” ed entrò nel locale già, a quell’ora,
piuttosto affollato. Qualche avventore si voltò verso di lei incuriosito dalla
nuova venuta, ma la maggior parte continuò la conversazione o la bevuta in
corso. La ragazza prese posto in un tavolino d’angolo, un po’ defilata, da dove
poteva scorgere l’insieme del bar ed i suoi frequentatori. Non le ci volle
molto per individuare la sua preda. Vicino al bancone, appoggiato sui gomiti,
sedeva un giovane corrispondente alla descrizione di mrs. Hubbard. Sembrava
ipnotizzato dal fondo del suo boccale di birra tanto era immobile ed assorto in
chi sa quali pensieri o preoccupazioni. La ragazza capì che doveva essere lei a
prendere l’iniziativa per attaccare discorso. Aveva qualche esperienza in
merito poichè, non essendo una bellezza appariscente, quando usciva per
andare in qualche locale con le sue amiche, non era infrequente che dovesse
fare il primo passo per farsi notare dal ragazzo che aveva occasionalmente
puntato. Quindi, prendendo coraggio, si alzò dal tavolino ed andò ad
appollaiarsi sullo sgabello accanto a George. “Scusami se ti disturbo. Sono
nuova in Paese e sto cercando di orientarmi un po’. Ti dispiacerebbe darmi
qualche informazione?” Il giovane si riscosse dalla fissità e voltò solamente
la testa nella sua direzione come una lucertola che vede una mosca passargli vicino.
Era un bel ragazzo sulla trentina, dai lineamenti marcati, vestito in maniera
un po’ trasandata ma con abiti di buona qualità. Focalizzò gli occhi sulla
vicina tornando, forse di malavoglia, alla realtà circostante. “Beh, se devo
essere onesto, non mi va molto di fare conversazione – rispose bruscamente – ma
non si dica mai che un abitante di St. Mary Mead non aiuti chi si trova in
difficoltà! Sono a tua disposizione.” Uno scintillio nello sguardo del giovane
sottolineava l’ironia della risposta.” Vabbè, se ti distraggo tanto dal
bicchiere, me ne vado.” Si finse offesa Carolyn. Poi, sbattendo lievemente le
ciglia con atteggiamento vagamente civettuolo, proseguì: “Mi sono rivolta a te,
fra gli altri, perché siamo più o meno coetanei, ma non pensavo di recarti
tanto fastidio. Me ne vado, ciao!” Carolyn fece la finta di alzarsi aspettando
il richiamo che arrivò puntualmente. “Fermati. Scusa. Sto passando un
periodaccio e ho scordato le buone maniere. Per farmi perdonare, ti offro una birra.
Andiamo a sederci insieme, sono pronto ad introdurti nelle segrete cose del
nostro piccolo ma vivace paesotto.” Accompagnando queste parole con un sorriso,
George prese con una mano il suo bicchiere e con l’altra, sottobraccio, Carolyn
e si accomodò al tavolo.
Il pub si era riempito per l’ultima bevuta della giornata,
ed il rumore delle conversazioni intervallate da risate ed occasionali cori e
battimani, consentì ai giovani di crearsi una nicchia di riservatezza
all’angolo del locale. Dopo le dovute presentazioni ed essere entrati in
confidenza, Carolyn portò il discorso dove voleva. “Ho saputo che tuo padre è
morto da poco. Mi dispiace molto per te. E’ un dolore grande.” “Grazie, ma non
ti dispiacere visto che io non ne soffro di certo. Non voglio sembrati crudele
o cinico, ma mio padre, il tanto stimato signor Haydock, M.B.E. e maggiorente
del villaggio, non era affatto quello che mostrava ai compaesani.” Queste
parole stupirono la ragazza facendo intravedere un personaggio del tutto
opposto a quello che il Vicario aveva descritto. “Ti va di raccontare?” gli
domandò. “Si, mi farà bene sfogarmi con te.” Disse George continuando.” Mio
padre, tutte le settimane, trascorreva cinque giorni qui a St. Mary Mead e due
giorni a Londra. Nel villaggio era uno stimato gentiluomo, benvoluto da tutti,
che viveva sulla rendita del suo patrimonio, ma la sua vera attività, dalla
quale ricavava ingenti somme di denaro, la svolgeva nella capitale. Per dirla
in parole povere, era il più turpe e spietato strozzino che tu possa
immaginare. Non aveva compassione per le sue vittime e, di conseguenza si era
fatto molti nemici. Suppongo che uno di questi, esasperato e disperato, abbia
compiuto la sua vendetta uccidendo l’aguzzino.” “Tu sai che la polizia sospetta
di te?” chiese Carolyn. “Si. Mi hanno interrogato più volte, ma non possono
incastrarmi senza prove. Credo anche che non sappiano della vita parallela di
mio padre e, di conseguenza, dove cercare veramente. Io, d'altronde, non ho
alcuna intenzione di dirglielo.” “Per quale motivo?” “Mio padre ha meritato la
sua fine e il mondo è migliore senza di lui. A meno che non ne vada della mia
libertà, non metterò le forze dell’ordine sulle tracce del suo assassino che,
immagino, sia passato attraverso la più profonda disperazione.” “Io non credo –
disse Carolyn – che sia giusto, per nessun motivo, sostituirsi alla giustizia ed
avallare un omicidio. Dovresti parlare con la polizia.” “Sai Carolyn, mi sembra
di esserti amico da tanto tempo anche se è poco che ci conosciamo.” Gli occhi
di George si riempirono di lacrime e, con voce velata da un profondo dolore,
continuò. “Ho vissuto una infanzia infelice sotto la tirannia di quel
delinquente con il terrore per le sue minacce in caso avessi mai rilevato anche
la minima parte di quel che sapevo. Mia madre morì di crepacuore per la pena di
non potermi aiutare ed a causa delle continue vessazioni del marito. E’ stato
tutto un incubo finché non sono scappato di casa e mi sono arrangiato a vivere
da solo. Mio padre era contento di tenermi lontano ed, anzi, mi passava qualche
sterlina per farmi stare tranquillo. Quando ho saputo della sua morte, che Dio
mi perdoni, ho gioito e ringraziato, mentalmente, la mano del giustiziere.”
Carolyn uscì sconvolta da quell’incontro. Aveva, forse per
la prima volta nella sua vita, visto da vicino l’abisso di nefandezza nel quale
può cadere un uomo e le conseguenze di tale diabolica malvagità. Adesso, non sapeva cosa fare. Marjorie
l’aveva sfidata a confrontarsi con l’abilità di sua nonna e, in un certo senso,
lei aveva raggiunto dei risultati con la sua, sia pur breve, indagine. Infatti,
contrariamente alla polizia, aveva trovato il movente che supportava l’ipotesi
di omicidio e, anche se non sapeva esattamente il nome dell’assassino, avrebbe
potuto indirizzare le indagini verso la ristretta cerchia delle persone vittime
di mr. Haydock.
Sentiva, però, che le cose erano andate come una Giustizia superiore
a quella terrena aveva disposto. In fondo il morto aveva raccolto quello che
aveva seminato e, con la fine della sua vita, liberava il figlio ed i suoi
debitori ai quali, involontariamente, con quest’ultimo atto, rimetteva i loro
debiti. Chi era lei, Carolyn Marple, per intromettersi nei divini disegni?
Decise, quindi, che non avrebbe rivelato a nessuno il contenuto dell’incontro
con George Haydock. Si ripromise, inoltre, di coltivare la neonata amicizia e
di consolare il giovane che l’aveva tanto colpita con la sua pietosa storia e
la sensibilità dell’animo, oltre che per il gradevole aspetto. Avrebbe
comunicato a Marjorie che non le interessava approfondire il caso.
“Amica mia,” - disse mrs. Hubbard sorseggiando la tazza di
tè che Carolyn le stava offrendo dopo averla invitata nel salotto del suo cottage.
- “l’arguzia e le intuizioni della cara Jane, tua nonna, sono difficilmente
uguagliabili. Non avvilirti se ancora non ne sei all’altezza. In fondo sei
così…giovane.” L’aria di compatimento e leggero scherno della anziana
interlocutrice accesero un fuoco dentro Carolyn che, punta sul vivo da quella
ingiusta affermazione, sbottò: “Che vuoi dire, che devo diventare vecchia per
dimostrarmi intelligente? Allora sappi che…” Si fermò appena in tempo per non
rivelare tutto quello che aveva appreso. Sacrificò il suo orgoglio mordendosi
la lingua. “Sappi – riprese, dicendo e non dicendo, – che, come scrisse
l’immortale Bardo, ci sono più cose in cielo e in terra eccetera… eccetera…”
Accompagnò l’affermazione con un’occhiata alla maniera di qualcuno che la
sapeva lunga, ma non poteva parlare. La signora Hubbard la guardò stupita
pensando: “Cosa c’è da aspettarsi da una ragazza venuta da Londra?”