Aveva sei palle e ci teneva a metterle bene in vista. Il
Barone Esteban Zingales degli Stracci non perdeva, infatti, l’occasione di
esporre la corona dello stemma araldico, con le sfere in numero proporzionale
al grado nobiliare, su tutte le sue proprietà. Il Casato possedeva un palazzo a
Roma in prossimità di Villa Medici, di proprietà vaticana, e faceva parte della
ristretta cerchia degli addetti al Soglio Pontificio. Discendeva da una antica
Famiglia di fedeltà borbonica con rami, più o meno cadetti, sparsi tra le Due
Sicilie e la Spagna. C’erano particolari legami con la Catalogna dove risiedeva
una cugina, figlia di don Pedro Gomez y Pasubio e dell’infanta della Regina,
con la quale, le rispettive famiglie, avevano fatto un progetto di matrimonio
per rinsaldare i legami di sangue ed unire i patrimoni. All’epoca, ad Esteban
avevano inviato una miniatura che ritraeva la nobile donzella ma, evidentemente
nel tragitto si era un po’ rovinata o il pittore non era particolarmente abile,
poiché la beltà, da tutti decantata, non veniva adeguatamente rappresentata.
Sul volto sembrava esserci uno sbaffo di pittura, come fosse un irsuto neo, ma
ciò non risultava dai rapporti dei pronubi messaggeri. Quello che aveva destato
un certo distaccato interesse nel nobile romano, era un altro piccolo dipinto a
figura intera nel quale sembrava che la cugina indossasse un paio di calzari in
quel momento molto in voga nelle corti più raffinate evidenziando, in tal modo,
gusto estetico ed attitudine alla mondanità che il barone riteneva essere
ottime qualità in una donna da marito.
L’affare non si concluse, anche se sembrava fatto, in quanto
voci tendenziose, poi rivelatesi false, fecero sorgere qualche dubbio sulla
morigeratezza della fanciulla. Piuttosto che correre il rischio di sconvolgere
la chiusa mentalità del Circolo degli Scacchi, il barone si defilò,
elegantemente, dal periglioso vincolo.
Il tempo, pur galantuomo con l’aspetto esteriore del
Zingales, non faceva sconti a nessuno ed il nobile si avviava alla quarantina
con viva preoccupazione della Baronessa madre che non voleva lasciare il casato
privo di eredi di sua diretta genia. Il fascino dei capelli appena brizzolati
lasciati, volutamente, un po’ lunghi e tenuti in acconciatura con il più
profumato grasso di balena proveniente da Parigi, il fisico agile con ben
distribuite lipidini a sottolineare l’agio della vita condotta in alternanza
tra tenzoni alla pallacorda e ricche libagioni, e la sua naturale convivialità
rendevano il nobile romano uno dei più contesi scapoli ancora disponibili.
Questa voce era giunta alla duchessa Zimoninen Hohlen von Kuchen
che dal castello di St. Vigil in Enneberg, nel cuore dell’Impero Asburgico,
aveva mandato propri fidi verso tutto il Sud Tirol per indagare sui migliori
pretendenti alla mano della sorella minore, la duchessina Zuzanne, Zuzi per gli
amici. Non avendo trovato degni partiti
al nord, aveva esteso, con un leggero moto di insofferenza, la ricerca verso le
terre del sud dove, sorvolando sugli usi ed i costumi tanto diversi rispetto a
quelli ai quali era consona, si potevano combinare buoni contratti
matrimoniali. Dopo aver scartato un cadetto Visconti di Modrone, un conte della
Gherardesca ed un nobile patrizio dei principi di Salaparuta, vagliò la
candidatura del Zingales degli Stracci. Veniva dalla corte del Santo Padre, era
stato allevato da una tata della Marca Trevigiana, era di buone sostanze e,
dicevano, di prestanza fuori dal comune pertanto, pensò la duchessa, si poteva
prendere in prudente considerazione.
La Hohlen von Kuchen chiamo la sua fida dama di compagnia
dicendole: “Mein lieber Franziska, considerando la tua provenienza dal Regno
Pontificio ti ritengo adatta a prendere i necessari accordi con i tuoi
conterranei ed avviare un rapporto epistolare che introduca l’ipotesi di un
connubio tra la Zuzi e quel barone romano. Chiediamo uno scambio di miniature
accompagnato da bolle di referenza per valutare i partiti, e poi, nel caso,
combineremo un incontro.” La buona Franziska che, da una vita, era avvezza alle
disposizioni, oltre che ai capricci, della titolata amica, si attivò con lena
e, tramite il corriere asburgico, si fece portavoce presso la nobile famiglia
romana. “Schnell!” la spronò la duchessa.
Dopo un adeguato lasso di tempo, e viste le corrette
premesse dell’eventuale unione, il barone Esteban mandò alla duchessina un suo
ritratto equestre in sella a Vespa, la sua giumenta preferita. Indossava un
pastrano di soffice vello che, il rampante destriero, faceva svolazzare
mostrando le ricche vestimenta borchiate con la “Z” del casato. Riccioli scompigliati e sguardo pieno di
fascinazione. Per la giovane e, quasi del tutto, innocente Zuzi fu un “coup de
foudre” come avrebbe detto Dacia, sua cugina dell’Alta Savoia, molto più
smaliziata di lei.
Incominciò a sognare Esteban ed a fare pressioni sulla buona
Franziska affinché perorasse il suo desiderio presso l’arcigna sorella alla
quale era demandato l’esito della vicenda.
Anche lo Zingales, visto il ritratto proveniente dalle terre
del Grande Freddo, rimase favorevolmente impressionato. Notava la lunga bionda
capigliatura ed i chiari occhi dolci. Gli facevano tenerezza la fossetta sul
mento ed il timido sorriso. Nell’altro dipinto, a figura intera, sperava che il
ben pronunciato “derrier” che si intuiva sotto l’ampia gonna, non fosse solo
un’imbottitura estetica, ma il velato segnale di un nascosto giardino delle
delizie.
Quindi non pose ostacoli quando gli pervenne, dal castello
di St. Vigil, l’invito per una visita di conoscenza.
Chiamò il paggio di camera dando disposizioni per la
partenza. Fece preparare la carrozza imbottita ed i bauli con il guardaroba più
pesante e, dopo avere avvisato la Santa Sede che lo sostituissero come portantino
della Sedia Gestatoria per non creare imbarazzanti zoppie al papa nelle
prossime processioni, con la benedizione del Cappellano di palazzo, partì.
Aveva un solo cruccio. La successiva domenica, seconda
dell’Avvento, si sarebbe tenuto, al Circo Massimo, il Palio dei Rioni della
Città Eterna. La competizione del gioco della palla, sul genere di quella
disputata a Firenze, era molto attesa dal popolo e dai sostenitori delle varie
contrade. In particolare, quel giorno, ci sarebbe stata la sfida tra la
compagine della Lupa, con i colori giallo e rosso, e quella dell’Aquila vestita
di bianco e celeste. La prima, favorita, agli ordini di un nuovo Capitano del Popolo
di origini francesi e la seconda con un Capitano di Ventura slavo che, visti i
risultati, era prossimo alla cacciata con infamia. Siccome, per queste
competizioni valeva lo stesso detto relativo ai conclavi, cioè che chi ne
entrava come papa ne usciva come cardinale, a significare che il favorito,
spesso, risultava perdente, il risultato era sempre molto incerto. Il barone,
fervente sostenitore della Lupa, aveva scommesso una discreta somma sull’esito
della partita ed il fatto di non potervi assistere, lo disturbava non poco.
Ma “noblesse oblige” ed all’alba, ovvero per lui alle dieci
e trenta del mattino, di un giorno di metà Novembre, accompagnato dal paggio e
due lacchè addetti alla vettura, lascio palazzo avviandosi per la strada
consolare Cassia verso nord.
Prevedeva che il viaggio sarebbe durato dieci o quindici
giorni, in relazione alle soste ed alla clemenza, od all’asprezza, delle
condizioni metereologiche imprevedibili per quel lungo tragitto. Non si poteva però esimere, passando nei
pressi della Tomba di Nerone, dal fermarsi per una visita di cortesia da troppo
tempo rimandata, presso dei cari amici di famiglia. Si fermò quindi, sul finire
del primo giorno di viaggio, nella suburbana residenza di don Paolo, Duca
dell’Aquila e della Spada. Costui, Cavaliere del Sacro Romano Impero, da tempo
si era ritirato dalla mondanità dell’Urbe e viveva con la Principessa di
Montereale sua moglie, di molto più giovane, e della figliolanza, in una villa
in campagna dove coltivava, oltre ad i prodotti dell’orto, i suoi interessi
nello studio della filosofia e nella contemplazione ombelicale. La gestione del
maniero era demandata, interamente, all’efficiente consorte che, oltre agli
acciacchi del marito, si faceva carico anche di ogni altra incombenza, compresa
la compagnia della Principessa Madre ormai più che novantenne.
“Carissimo duca!” salutò il barone. “Duca, duca, du…ca-pelli!”
rispose il padrone di casa con la solita scherzosa battuta alla quale, pur ben
conoscendola, erano tutti obbligati a mostrarsi divertiti. “Come sta’? Come scorre
la vita?” domandò Esteban. Grave errore. Mai fare questa domanda ad una persona
anziana salvo destinare le successive due ore alla minuziosa descrizione degli
acciacchi patiti dall’interlocutore, dei clisteri, e dei ripetuti salassi con
le sanguisughe ad alleviare la spinta del flusso sanguigno. Passò anche quel
tempo e, quando l’anfitrione chiese all’ospite il motivo della sua venuta, il
barone rispose: “Vado ad incontrare la futura baronessa.” Il duca, attingendo
dalla saggezza degli antichi pensatori, gli consigliò: “Sei sicuro, mio caro,
di quello che fai? Ti ricordo che, come disse Socrate e confermò Santippe, è
sempre meglio…” “Ho capito – lo fermò subito l’altro intuendo dove stava
andando a parare – ma son determinato alla bisogna e, dopo aver omaggiato
vostra signoria e la principessa, con il vostro permesso, proseguirò il
viaggio” Il nobile degli Stracci, con l’usuale perspicacia, comprese come
l’intelletto dell’interlocutore fosse ormai poco ancorato alle realtà
circostanti e, quindi, per evitare imbarazzanti situazioni si accomiatò con
cortese sollecitudine.
Il tiro a quattro fu rilanciato sulla consolare scorrendo
sull’acciottolato che vide nei secoli, passare barbari e patrizi lungo la
dorsale dell’italico stivale.
Dopo il tempo che ci volle, a Dio piacendo, arrivò a Bozen. Da
là, la sua meta, distava, all’incirca una giornata di viaggio e, quindi, il
barone mandò avanti uno dei lacchè per avvisare del suo imminente arrivo.
La carrozza percorse i tornanti della Val Pusteria passando
per Kardaun, Blumau, Vols am Schlern, St. Kostantin, Seis, Kastelruth, Sankt
Ulrich, Wolkenstein in Groden, Kurfar, Stern, Sankt Martin in Thurn per poi
giungere a St. Vigil. Insomma, come ebbe a sintetizzare bene il nobile, “Un
vero e proprio giro di Peppe” causato dalla confusione sulla scelta del tragitto
più veloce che frullava nella testa del primo lacchè di vettura che, non si sa
bene il motivo, in famiglia, era chiamato Tom-Tom.
Nel castello fervevano i preparativi per l’accoglienza
dell’illustre e desiderato ospite. La duchessa Zimoninen aveva fatto lucidare
l’argenteria e sprimacciare i divani. Aveva dato disposizione di accendere il
fuoco in tutti i camini del castello per riscaldare le stanze e spazzare dalla
neve il cortile d’onore. La servitù si era impegnata a rimettere in ordine
l’appartamento imperiale per ospitare il barone romano dove, si tramandava senza
prove certe, aveva dormito il Barbarossa passando da quelle parti. Aveva anche
chiamato la De Carlis, sua sarta personale, e si era fatta confezionare un
vestito di broccato rifinito con pelli d’ermellino da indossare con la parure
di zaffiri tirata fuori, per l’occasione, dallo scrigno dei gioielli.
Anche la giovane Zuzi viveva momenti di nervosa impazienza.
Non si curava tanto dell’abbigliamento da mostrare, quanto di rendere lucidi,
spazzolandoli, i lunghi capelli biondi e di trovare la cipria della tonalità
giusta che colorisse lievemente il suo naturale pallore senza rinunciare ad
un’aria vagamente emaciata e virginale che voleva trasmettere come impressione.
Soprattutto, cercava di tenere a freno i battiti del cuore
che, come una carica degli Ussari, partiva al galoppo ogni volta che sentiva
uno rumore di zoccoli nel cortile o una voce mandare un richiamo che poteva
essere l’avviso dell’arrivo del suo sospirato corteggiatore.
E’ notorio che dentro ogni nobiluomo romano, alligna un
popolano che non si manifesta apertamente nei rapporti quotidiani, ma che
commenta e chiosa gli avvenimenti con l’ironico cinismo proprio del volgo
capitolino.
Così arrivando alla porta del castello, dopo i lungo
viaggio, intirizzito, senza aver saputo il risultato della disfida tra la Lupa
e l’Aquila, don Esteban trovò ad accoglierlo la gentildonna e disse: “E’ un
onore per me visitare questa avita magione ed incontrare una sì nobile e
splendente castellana”. In realtà pensava: “Ahó, anvedi ‘ndo stanno messi
questi. Con sto freddo da lupi me se stanno a gelà pure quelle della corona”.
“Benvenuto, barone degli Stracci, sia questa modesta dimora asilo e rifugio per
il viaggiatore che accogliamo con rispetto e benevolenza.” Il pensiero vero
della duchessa era: “Blick auf das rote Nase sieht aus wie eine Kartoffel. Hoffentlich
gut! – trad. – Guarda che naso rosso, sembra una patata. Speriamo bene!”
Il Zingales fu accompagnato nelle stanze a lui destinate per
rinfrescarsi in vista del banchetto serale di presentazione alla Zuzanne.
“Belle anche se un po’ cupe queste stanze.” – fu l’impressione, forbita, del
nobiluomo – “Tanto ce rimango meno che pozzo. Acchiappo la regazza e la porto a
vive a palazzo. Mica se po’ sta qui in mezzo deli pinquini!” – l’altra parte di
pensiero.
Si agghindò e scese nel salone d’onore dove una lunga
tavolata, imbandita con ogni possibile leccornia, mostrava, tra piume di
fagiani, argenti, candele accese e brocche di cristallo, l’opulenza e la
generosità dell’ospite.
L’attenzione di Esteban si distrasse subito da
quell’immagine magnificente quando, per la prima volta incrociò gli occhi con
quelli della spendente giovane Zuzi. Non fu facile per lui ignorare, in quel
momento, i richiami insistenti del suo stomaco che, parte volgare, solleticato
dagli effluvi dei manicaretti imbanditi, si sentiva trascurato da troppo tempo.
Ma quello che non aveva mai creduto possibile, in un attimo accadde. Come
descritto nelle più sdolcinate romanze dei trovatori provenzali, il suo cuore
fece un balzo e improvvisamente capì che il suo destino era compiuto
incontrando quello che non aveva mai creduto esistesse: la sua anima gemella.
“Ecco, te ce sei infognato. E mo’ so…” si riassunse tra se e se.
A Zuzanne Hohlen von Kuchen fu chiaro che il Fato aveva
creato la “Coppia” e chi era lei per opporsi alle frecce di Cupido?
La saggia Zimoninen aiutata da Franziska, nei giorni
seguenti organizzò tutta una serie di colloqui tendenti ad esaminare il
pretendente, ma avessero avuto un esito favorevole o avessero, altrimenti,
mostrato l’indegnità del candidato, non avrebbero avuto più alcun senso dopo
che i giovani si erano scelti e, di nascosto, nei cortili innevati, scambiati
promesse d’amore.
Sulla porta del castello di St. Vigil in Enneberg, la
duchessa Zimoninen Hohlen von Kuchen, con accanto dama Franziska in un mare di
lacrime, abbracciò la sorella in partenza per Roma con l’ormai ufficiale
fidanzato e così li benedisse: “Achten Sie darauf, sie gut zu behandeln sonst
nach Rom und Chaos kommen!” “Grazie” rispose, commosso, il nobile romano senza
aver capito una parola e non rendendosi conto della minaccia che, insita in
quelle parole, avrebbe per sempre gravato sul suo capo. Infatti un passante
teutonico avrebbe così tradotto:” Stai attento di trattarla bene altrimenti
vengo a Roma e ti sfracello!”
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