martedì 12 novembre 2013

Le Palle di Esteban

Aveva sei palle e ci teneva a metterle bene in vista. Il Barone Esteban Zingales degli Stracci non perdeva, infatti, l’occasione di esporre la corona dello stemma araldico, con le sfere in numero proporzionale al grado nobiliare, su tutte le sue proprietà. Il Casato possedeva un palazzo a Roma in prossimità di Villa Medici, di proprietà vaticana, e faceva parte della ristretta cerchia degli addetti al Soglio Pontificio. Discendeva da una antica Famiglia di fedeltà borbonica con rami, più o meno cadetti, sparsi tra le Due Sicilie e la Spagna. C’erano particolari legami con la Catalogna dove risiedeva una cugina, figlia di don Pedro Gomez y Pasubio e dell’infanta della Regina, con la quale, le rispettive famiglie, avevano fatto un progetto di matrimonio per rinsaldare i legami di sangue ed unire i patrimoni. All’epoca, ad Esteban avevano inviato una miniatura che ritraeva la nobile donzella ma, evidentemente nel tragitto si era un po’ rovinata o il pittore non era particolarmente abile, poiché la beltà, da tutti decantata, non veniva adeguatamente rappresentata. Sul volto sembrava esserci uno sbaffo di pittura, come fosse un irsuto neo, ma ciò non risultava dai rapporti dei pronubi messaggeri. Quello che aveva destato un certo distaccato interesse nel nobile romano, era un altro piccolo dipinto a figura intera nel quale sembrava che la cugina indossasse un paio di calzari in quel momento molto in voga nelle corti più raffinate evidenziando, in tal modo, gusto estetico ed attitudine alla mondanità che il barone riteneva essere ottime qualità in una donna da marito.
L’affare non si concluse, anche se sembrava fatto, in quanto voci tendenziose, poi rivelatesi false, fecero sorgere qualche dubbio sulla morigeratezza della fanciulla. Piuttosto che correre il rischio di sconvolgere la chiusa mentalità del Circolo degli Scacchi, il barone si defilò, elegantemente, dal periglioso vincolo.
Il tempo, pur galantuomo con l’aspetto esteriore del Zingales, non faceva sconti a nessuno ed il nobile si avviava alla quarantina con viva preoccupazione della Baronessa madre che non voleva lasciare il casato privo di eredi di sua diretta genia. Il fascino dei capelli appena brizzolati lasciati, volutamente, un po’ lunghi e tenuti in acconciatura con il più profumato grasso di balena proveniente da Parigi, il fisico agile con ben distribuite lipidini a sottolineare l’agio della vita condotta in alternanza tra tenzoni alla pallacorda e ricche libagioni, e la sua naturale convivialità rendevano il nobile romano uno dei più contesi scapoli ancora disponibili.
Questa voce era giunta alla duchessa Zimoninen Hohlen von Kuchen che dal castello di St. Vigil in Enneberg, nel cuore dell’Impero Asburgico, aveva mandato propri fidi verso tutto il Sud Tirol per indagare sui migliori pretendenti alla mano della sorella minore, la duchessina Zuzanne, Zuzi per gli amici.  Non avendo trovato degni partiti al nord, aveva esteso, con un leggero moto di insofferenza, la ricerca verso le terre del sud dove, sorvolando sugli usi ed i costumi tanto diversi rispetto a quelli ai quali era consona, si potevano combinare buoni contratti matrimoniali. Dopo aver scartato un cadetto Visconti di Modrone, un conte della Gherardesca ed un nobile patrizio dei principi di Salaparuta, vagliò la candidatura del Zingales degli Stracci. Veniva dalla corte del Santo Padre, era stato allevato da una tata della Marca Trevigiana, era di buone sostanze e, dicevano, di prestanza fuori dal comune pertanto, pensò la duchessa, si poteva prendere in prudente considerazione.
La Hohlen von Kuchen chiamo la sua fida dama di compagnia dicendole: “Mein lieber Franziska, considerando la tua provenienza dal Regno Pontificio ti ritengo adatta a prendere i necessari accordi con i tuoi conterranei ed avviare un rapporto epistolare che introduca l’ipotesi di un connubio tra la Zuzi e quel barone romano. Chiediamo uno scambio di miniature accompagnato da bolle di referenza per valutare i partiti, e poi, nel caso, combineremo un incontro.” La buona Franziska che, da una vita, era avvezza alle disposizioni, oltre che ai capricci, della titolata amica, si attivò con lena e, tramite il corriere asburgico, si fece portavoce presso la nobile famiglia romana. “Schnell!” la spronò la duchessa.
Dopo un adeguato lasso di tempo, e viste le corrette premesse dell’eventuale unione, il barone Esteban mandò alla duchessina un suo ritratto equestre in sella a Vespa, la sua giumenta preferita. Indossava un pastrano di soffice vello che, il rampante destriero, faceva svolazzare mostrando le ricche vestimenta borchiate con la “Z” del casato.  Riccioli scompigliati e sguardo pieno di fascinazione. Per la giovane e, quasi del tutto, innocente Zuzi fu un “coup de foudre” come avrebbe detto Dacia, sua cugina dell’Alta Savoia, molto più smaliziata di lei.
Incominciò a sognare Esteban ed a fare pressioni sulla buona Franziska affinché perorasse il suo desiderio presso l’arcigna sorella alla quale era demandato l’esito della vicenda.
Anche lo Zingales, visto il ritratto proveniente dalle terre del Grande Freddo, rimase favorevolmente impressionato. Notava la lunga bionda capigliatura ed i chiari occhi dolci. Gli facevano tenerezza la fossetta sul mento ed il timido sorriso. Nell’altro dipinto, a figura intera, sperava che il ben pronunciato “derrier” che si intuiva sotto l’ampia gonna, non fosse solo un’imbottitura estetica, ma il velato segnale di un nascosto giardino delle delizie.
Quindi non pose ostacoli quando gli pervenne, dal castello di St. Vigil, l’invito per una visita di conoscenza.
Chiamò il paggio di camera dando disposizioni per la partenza. Fece preparare la carrozza imbottita ed i bauli con il guardaroba più pesante e, dopo avere avvisato la Santa Sede che lo sostituissero come portantino della Sedia Gestatoria per non creare imbarazzanti zoppie al papa nelle prossime processioni, con la benedizione del Cappellano di palazzo, partì.
Aveva un solo cruccio. La successiva domenica, seconda dell’Avvento, si sarebbe tenuto, al Circo Massimo, il Palio dei Rioni della Città Eterna. La competizione del gioco della palla, sul genere di quella disputata a Firenze, era molto attesa dal popolo e dai sostenitori delle varie contrade. In particolare, quel giorno, ci sarebbe stata la sfida tra la compagine della Lupa, con i colori giallo e rosso, e quella dell’Aquila vestita di bianco e celeste. La prima, favorita, agli ordini di un nuovo Capitano del Popolo di origini francesi e la seconda con un Capitano di Ventura slavo che, visti i risultati, era prossimo alla cacciata con infamia. Siccome, per queste competizioni valeva lo stesso detto relativo ai conclavi, cioè che chi ne entrava come papa ne usciva come cardinale, a significare che il favorito, spesso, risultava perdente, il risultato era sempre molto incerto. Il barone, fervente sostenitore della Lupa, aveva scommesso una discreta somma sull’esito della partita ed il fatto di non potervi assistere, lo disturbava non poco.
Ma “noblesse oblige” ed all’alba, ovvero per lui alle dieci e trenta del mattino, di un giorno di metà Novembre, accompagnato dal paggio e due lacchè addetti alla vettura, lascio palazzo avviandosi per la strada consolare Cassia verso nord.
Prevedeva che il viaggio sarebbe durato dieci o quindici giorni, in relazione alle soste ed alla clemenza, od all’asprezza, delle condizioni metereologiche imprevedibili per quel lungo tragitto.  Non si poteva però esimere, passando nei pressi della Tomba di Nerone, dal fermarsi per una visita di cortesia da troppo tempo rimandata, presso dei cari amici di famiglia. Si fermò quindi, sul finire del primo giorno di viaggio, nella suburbana residenza di don Paolo, Duca dell’Aquila e della Spada. Costui, Cavaliere del Sacro Romano Impero, da tempo si era ritirato dalla mondanità dell’Urbe e viveva con la Principessa di Montereale sua moglie, di molto più giovane, e della figliolanza, in una villa in campagna dove coltivava, oltre ad i prodotti dell’orto, i suoi interessi nello studio della filosofia e nella contemplazione ombelicale. La gestione del maniero era demandata, interamente, all’efficiente consorte che, oltre agli acciacchi del marito, si faceva carico anche di ogni altra incombenza, compresa la compagnia della Principessa Madre ormai più che novantenne.
“Carissimo duca!” salutò il barone. “Duca, duca, du…ca-pelli!” rispose il padrone di casa con la solita scherzosa battuta alla quale, pur ben conoscendola, erano tutti obbligati a mostrarsi divertiti. “Come sta’? Come scorre la vita?” domandò Esteban. Grave errore. Mai fare questa domanda ad una persona anziana salvo destinare le successive due ore alla minuziosa descrizione degli acciacchi patiti dall’interlocutore, dei clisteri, e dei ripetuti salassi con le sanguisughe ad alleviare la spinta del flusso sanguigno. Passò anche quel tempo e, quando l’anfitrione chiese all’ospite il motivo della sua venuta, il barone rispose: “Vado ad incontrare la futura baronessa.” Il duca, attingendo dalla saggezza degli antichi pensatori, gli consigliò: “Sei sicuro, mio caro, di quello che fai? Ti ricordo che, come disse Socrate e confermò Santippe, è sempre meglio…” “Ho capito – lo fermò subito l’altro intuendo dove stava andando a parare – ma son determinato alla bisogna e, dopo aver omaggiato vostra signoria e la principessa, con il vostro permesso, proseguirò il viaggio” Il nobile degli Stracci, con l’usuale perspicacia, comprese come l’intelletto dell’interlocutore fosse ormai poco ancorato alle realtà circostanti e, quindi, per evitare imbarazzanti situazioni si accomiatò con cortese sollecitudine.
Il tiro a quattro fu rilanciato sulla consolare scorrendo sull’acciottolato che vide nei secoli, passare barbari e patrizi lungo la dorsale dell’italico stivale.
Dopo il tempo che ci volle, a Dio piacendo, arrivò a Bozen. Da là, la sua meta, distava, all’incirca una giornata di viaggio e, quindi, il barone mandò avanti uno dei lacchè per avvisare del suo imminente arrivo.
La carrozza percorse i tornanti della Val Pusteria passando per Kardaun, Blumau, Vols am Schlern, St. Kostantin, Seis, Kastelruth, Sankt Ulrich, Wolkenstein in Groden, Kurfar, Stern, Sankt Martin in Thurn per poi giungere a St. Vigil. Insomma, come ebbe a sintetizzare bene il nobile, “Un vero e proprio giro di Peppe” causato dalla confusione sulla scelta del tragitto più veloce che frullava nella testa del primo lacchè di vettura che, non si sa bene il motivo, in famiglia, era chiamato Tom-Tom.
Nel castello fervevano i preparativi per l’accoglienza dell’illustre e desiderato ospite. La duchessa Zimoninen aveva fatto lucidare l’argenteria e sprimacciare i divani. Aveva dato disposizione di accendere il fuoco in tutti i camini del castello per riscaldare le stanze e spazzare dalla neve il cortile d’onore. La servitù si era impegnata a rimettere in ordine l’appartamento imperiale per ospitare il barone romano dove, si tramandava senza prove certe, aveva dormito il Barbarossa passando da quelle parti. Aveva anche chiamato la De Carlis, sua sarta personale, e si era fatta confezionare un vestito di broccato rifinito con pelli d’ermellino da indossare con la parure di zaffiri tirata fuori, per l’occasione, dallo scrigno dei gioielli.
Anche la giovane Zuzi viveva momenti di nervosa impazienza. Non si curava tanto dell’abbigliamento da mostrare, quanto di rendere lucidi, spazzolandoli, i lunghi capelli biondi e di trovare la cipria della tonalità giusta che colorisse lievemente il suo naturale pallore senza rinunciare ad un’aria vagamente emaciata e virginale che voleva trasmettere come impressione.
Soprattutto, cercava di tenere a freno i battiti del cuore che, come una carica degli Ussari, partiva al galoppo ogni volta che sentiva uno rumore di zoccoli nel cortile o una voce mandare un richiamo che poteva essere l’avviso dell’arrivo del suo sospirato corteggiatore.
E’ notorio che dentro ogni nobiluomo romano, alligna un popolano che non si manifesta apertamente nei rapporti quotidiani, ma che commenta e chiosa gli avvenimenti con l’ironico cinismo proprio del volgo capitolino.
Così arrivando alla porta del castello, dopo i lungo viaggio, intirizzito, senza aver saputo il risultato della disfida tra la Lupa e l’Aquila, don Esteban trovò ad accoglierlo la gentildonna e disse: “E’ un onore per me visitare questa avita magione ed incontrare una sì nobile e splendente castellana”. In realtà pensava: “Ahó, anvedi ‘ndo stanno messi questi. Con sto freddo da lupi me se stanno a gelà pure quelle della corona”. “Benvenuto, barone degli Stracci, sia questa modesta dimora asilo e rifugio per il viaggiatore che accogliamo con rispetto e benevolenza.” Il pensiero vero della duchessa era: “Blick auf das rote Nase sieht aus wie eine Kartoffel. Hoffentlich gut! – trad. – Guarda che naso rosso, sembra una patata. Speriamo bene!”
Il Zingales fu accompagnato nelle stanze a lui destinate per rinfrescarsi in vista del banchetto serale di presentazione alla Zuzanne. “Belle anche se un po’ cupe queste stanze.” – fu l’impressione, forbita, del nobiluomo – “Tanto ce rimango meno che pozzo. Acchiappo la regazza e la porto a vive a palazzo. Mica se po’ sta qui in mezzo deli pinquini!” – l’altra parte di pensiero.
Si agghindò e scese nel salone d’onore dove una lunga tavolata, imbandita con ogni possibile leccornia, mostrava, tra piume di fagiani, argenti, candele accese e brocche di cristallo, l’opulenza e la generosità dell’ospite.
L’attenzione di Esteban si distrasse subito da quell’immagine magnificente quando, per la prima volta incrociò gli occhi con quelli della spendente giovane Zuzi. Non fu facile per lui ignorare, in quel momento, i richiami insistenti del suo stomaco che, parte volgare, solleticato dagli effluvi dei manicaretti imbanditi, si sentiva trascurato da troppo tempo. Ma quello che non aveva mai creduto possibile, in un attimo accadde. Come descritto nelle più sdolcinate romanze dei trovatori provenzali, il suo cuore fece un balzo e improvvisamente capì che il suo destino era compiuto incontrando quello che non aveva mai creduto esistesse: la sua anima gemella. “Ecco, te ce sei infognato. E mo’ so…” si riassunse tra se e se. 
A Zuzanne Hohlen von Kuchen fu chiaro che il Fato aveva creato la “Coppia” e chi era lei per opporsi alle frecce di Cupido?
La saggia Zimoninen aiutata da Franziska, nei giorni seguenti organizzò tutta una serie di colloqui tendenti ad esaminare il pretendente, ma avessero avuto un esito favorevole o avessero, altrimenti, mostrato l’indegnità del candidato, non avrebbero avuto più alcun senso dopo che i giovani si erano scelti e, di nascosto, nei cortili innevati, scambiati promesse d’amore.
Sulla porta del castello di St. Vigil in Enneberg, la duchessa Zimoninen Hohlen von Kuchen, con accanto dama Franziska in un mare di lacrime, abbracciò la sorella in partenza per Roma con l’ormai ufficiale fidanzato e così li benedisse: “Achten Sie darauf, sie gut zu behandeln sonst nach Rom und Chaos kommen!” “Grazie” rispose, commosso, il nobile romano senza aver capito una parola e non rendendosi conto della minaccia che, insita in quelle parole, avrebbe per sempre gravato sul suo capo. Infatti un passante teutonico avrebbe così tradotto:” Stai attento di trattarla bene altrimenti vengo a Roma e ti sfracello!”











Nessun commento:

Posta un commento