“Adelina, come stai? Disturbo?” Telefonò Kathia alla sua vicina di casa. “Figurati - rispose l’altra - sto aiutando quella capra del mio
figliolo con la matematica, ma sudo più io di lui! Dimmi tutto.” “Mi stavo
chiedendo se ti andrebbe di venire, stasera, a cena da noi con Paolo.” Perché
no? Devo solo organizzare con la nonna per badare al piccolo e poi, ben
volentieri!” Bene, allora vi aspettiamo alle otto e mezza. A dopo!” “Ciao,
porto da bere!” Chiuse l’amica.
Il giorno di riposo infrasettimanale per i parrucchieri
della provincia di Grosseto, la Kathia se lo godeva tutto. Mentre la domenica
era dedicata alla famiglia, nel giorno feriale il marito era al lavoro e la
figlia faceva il tempo lungo a scuola uscendo non prima delle diciotto.
“Solitudo, sola beatitudo!” veniva da pensare alla parrucchiera dopo che tutto
il resto della settimana era a contatto con il pubblico delle sue clienti. La
mattina era dedicata ai lavori domestici arretrati, mentre, il pomeriggio, dopo
un breve sonnellino ritemprante, con un sorriso di beatitudine sul volto, si poneva il solito dilemma. Andare per negozi, dall’estetista
per la pulizia del viso o fare una corsetta sul tapis-roulant della palestra?
Nove volte su dieci l’attività fisica veniva subito scartata con un pizzico di
senso di colpa dovuto anche al fatto che continuava a pagare l’abbonamento per
dimostrare a se stessa la buona volontà, ma poi si prendeva in giro con mille
scuse per non andarci. Quindi, come alternativa, rimaneva rinchiudersi in un
salone per la cura del suo aspetto o farsi un paio di “vasche” (andata e
ritorno da un capo all’altro della strada) lungo il corso di Orbetello. Era una
bella giornata e passeggiare guardando le vetrine, forse premiandosi con un
piccolo acquisto, sembrava, alla Kathia, una cosa buona e giusta.
In quel giovedì di inizio Ottobre, la parrucchiera prese la
sua Panda 4X4 color senape e si diresse verso la cittadina a pochi chilometri
di distanza. Dieci minuti di Aurelia, poi la deviazione verso la laguna ed, in
poco tempo, arrivò in via Veneto circumnavigando il giardinetto centrale alla
ricerca di un parcheggio.
La mancanza del turismo estivo e la giornata, per gli altri,
lavorativa, offrivano ampi spazi vuoti in cui lasciare la vettura. Fece il
dovuto ticket di pagamento, barando solo un po’ sull’orario di sosta, e si
incamminò decisa verso l’imbocco di Corso Italia. Camminando con calma, si
lasciava affascinare principalmente dai negozi di abbigliamento, ma anche dalla
bottega dei saponi e dalla libreria dove spesso rinunciava all’acquisto per
l’imbarazzo nella scelta tra i mille volumi esposti. Ogni volta che andava,
trovava sempre qualcosa di desiderabile sulla quale fare un pensierino.
Con un po’ di “coquetterie” era solita fermarsi davanti
all’esposizione di “Intimissimi”. A parte il fatto che i manichini girevoli,
modellati per mostrare corpi che in natura sono rari da reperire, rappresentano
solo una presa in giro per una donna normale ed un sogno per il di lei
compagno, i completini esposti erano molto evocativi.
Si immaginava, la sera dopo aver messo a dormire la bambina
e spento il televisore, di indossare quella guepierre nera, coordinata con le
mutandine a string e le calze velate, e presentarsi così a suo marito. Lei, con
il completino osé avvolta in una nuvola di Chanel n° 5 ed il consorte steso sul
letto, con il pigiama in maglina marca Cagi sui toni del beige e verdino, al
massimo deodorato con l’AXE Africa, mentre le dà un’occhiata distratta indeciso
su quale sia la tentazione più forte: la moglie o la Gazzetta dello Sport che
stava leggendo. Se avesse comprato quella “mise” sarebbero stati soldi buttati.
Passò, quindi, avanti e non dovendo più fare la pin up
(nella sua fantasia), si fermo al bar vicino per un bombolone alla crema ed una
tazza di tè.
Un’occhiata all’orologio e si accorse che erano già le
cinque. Tra un’oretta la figlia sarebbe tornata a casa ed era quasi finita,
anche per lei, la libera uscita. Contenta per la passeggiata, tornò verso la
macchina con l’euforia che l’aria frizzantina del primo autunno non mancava mai
di procurarle. Non si sentiva affatto stanca, anzi avrebbe voluto, in qualche
modo, ancora occupare il tempo che le restava ed, allora le venne in mente di
preparare, per la sera, un piattino “dei suoi”. La Kathia era un’ottima cuoca
senza smancerie di scuola, ma con la sana manualità che le avevano insegnato la
nonna e la madre guardandole in cucina a spadellare. Visto che stava in paese,
poteva fare un salto da Covitto per comprare un po’ di pesce e preparare una
sorpresa per la famiglia. Beh, tanto valeva allargare l’invito a qualche
conoscente ed organizzare una simpatica serata in allegria. Le sembrò un’ottima
idea. Prese il cellulare e digitò il numero della Adelina.
Ora si poneva il problema del menù. Non poteva fare torto
alla sua fama e, quindi, doveva scegliere qualcosa che le venisse bene e che
fosse particolarmente gustoso. Ripassò mentalmente i suoi cavalli di battaglia
e, dopo un breve ballottaggio tra qualche alternativa, decise per un ricco
antipasto ed un primo sostanzioso. Niente secondo. Avrebbe comprato, tornando,
un dolce dalla Pasticceria Ferrini e poi tozzetti e vin santo a volontà.
Per antipasto pensava ad un piatto con un misto di affettati
di cinghiale e dei crostoni di salciccia e stracchino. Per il prosciutto ed il
salame non c’era problema, mentre i crostoni li avrebbe dovuti preparare
all’arrivo degli ospiti. Per farli si taglia una baguette a piccole fette o del
pane senza sale. Si prepara un impasto di stracchino (si può sostituire con una
fetta di mozzarella) ed il ripieno di salciccia di maiale. Si spalma il
composto, che non deve essere troppo molle, sul pane e si inforna per 6-7
minuti servendo i crostoni ben caldi.
Il primo doveva essere il piatto forte e, quindi, un po’ più
complicato. Aveva pensato alla “Zuppa dell’Argentario” un piatto che si perde
nella storia, fra Porto Ercole e Porto santo Stefano, tra gli scogli e le reti
da pesca. Si fa così. Innanzitutto, per quattro persone, procurarsi: 200g. di
polpo, 200g. di seppie, 1 scorfano, 1 san pietro, 6 cicale di mare
(pannocchie di mare o spernocchie, come le si vuole chiamare), 1 gronco senza coda, 1 fragolino, ed una
manciata di patelle e granitole o, in alternativa, vongole.
Mettere in un tegame di coccio una cipolla tritata insieme
al prezzemolo ed all’olio d’oliva. Quando la cipolla sarà imbiondita, unire il
polpo a pezzi e le seppie e lasciare cuocere fino a quando il polpo non sarà
rosolato ed avrà preso il suo colore caratteristico. A questo punto versate un
bicchiere di buon vino bianco, meglio se Ansonica dell’Argentario, una punta di
peperoncino ed il pomodoro concentrato. Quando il vino sarà assorbito,
aggiungere acqua calda o, preferibilmente, brodo e continuare la cottura unendo
anche il gronco a pezzi e, dopo (per evitare che i pesci più teneri si
sfaldino), lo scorfano, il fragolino, il san pietro, le cicale di mare, le
lampatelle e le granitole (lumache di mare). Abbrustolire leggermente il pane
strusciandovi sopra l’aglio per poi impiattare singolarmente. Quando il sugo
sarà sufficientemente addensato, versate sul pane sia il pesce che il sugo.
Da leccarsi le dita. La Kathia fece tutta la spesa e corse, nei
limiti della Panda 4X4, a casa a preparare.
Non credo ci sia da dilungarsi sull’andamento della cena.
Gli amici era simpatici, il cibo all’altezza della fama della cuoca, le tre
bottiglie di “Poggio Argentato” portate da Paolo e Adelina, fresche e presto
vuote.
Quando la padrona di casa lasciò solo i tozzetti ed il vin
santo a tavola, Paolo, polemico come sempre, se ne uscì:” I sardi dovrebbero
fare un monumento equestre a Karim Aga Khan da sistemare in mezzo alla
piazzetta di Porto Cervo e chiamare tutti i primogeniti con il nome del
principe islamico. Gavino “Karim” Piras o Graziano “Karim” Cuccureddu. Così
come noi dovremmo mettere, al posto del leone sullo stemma di Capalbio, un
garofano ed un sigaro in ricordo di quel socialista, ex presidente della RAI ed
esponente della cosiddetta intellighenzia di sinistra che, negli anni ottanta,
prese casa qui creando un enclave di intellettuali ed uomini politici che hanno
fatto conoscere e valorizzato tutta la zona. Oggi gli abitanti dell’isola
rinnegano il turismo di massa accusandolo di tutta la degenerazione
consumistica e del conseguente degrado ambientale. Dimenticano, però, che, se
non fosse stato per gli imprenditori stranieri o del nord Italia, i sardi
sarebbero ancora identificati con l’Anonima Sequestri ed il pecorino, come
negli anni ’60. E gli abitanti dell’entroterra alla spalle della Costa
d’Argento, senza quei personaggi, oggi tanto discussi, guarderebbero ancora le
auto sfrecciare sull’Aurelia, senza fermarsi, in direzione di Cala Galera e
posti limitrofi dove la Roma bene ormeggiava le barche. Non avremmo sentito,
cari amici,- continuò il convitato - neanche l’odore del benessere che ci è capitato
fra capo e collo.” “Che vuoi dire?” chiese Kathia. “Voglio dire che tutti sono
pronti a salire sul carro del vincitore od a esaltarlo, nascondendo i mugugni,
fino a quando il personaggio è sulla cresta dell’onda o l’aria che tira va in
quella direzione. Poi, quando le crisi economiche o politiche, cambiano le
carte in tavola, l’Aga Khan viene ricordato unicamente come uno speculatore ed
i personaggi dell’entourage che ha fatto la fortuna dell’”Ultima Spiaggia”, e
non solo, diventano sfruttatori delle nostre risorse e del paesaggio circostante,
come se tutto il territorio non avesse ricavato, dalla loro presenza, un enorme
beneficio in notorietà e, quindi, in turismo e denaro.””Già – si intromise
Vittorio, il marito della Kathia – è come la storia del presidente della Lazio
dello scudetto.” Ovviamente lui interveniva portando gli esempi tratti dai suoi
testi di riferimento, ovvero “la rosa”, Tuttosport ed il Corriere…dello Sport. “Finché
poteva permettersi di comprare i giocatori migliori e la squadra vinceva le
Coppe, i tifosi lo esaltavano e godevano. Poi, quando si scoprì che i soldi se
li era procurati in maniera illecita, tutto quello che aveva fatto per la società
di calcio non contò più niente ed, anzi, era giudicato solo negativamente.”
Adelina, essendo maestra elementare, con una botta di cultura, chiosò:” Sic
transit gloria mundi!”
Seguendo la saggia regola di andare dalla gradazione
inferiore a quella più alta, il vin santo fu sostituito dalla grappa locale
insaporita al miele, per le signore, e bianca per gli uomini. Con l’andar dei
bicchierini, la discussione sui massimi sistemi scivolò nel pettegolezzo locale
e la superiore saggezza delle argomentazioni cedette il passo al
chiacchiericcio di paese.
N.d.A.: Si toglie moltissimo all’atmosfera creata nel
convivio ed alla sapidità della conversazione non riportando i colloqui nel
dialetto, con le inflessioni, le cadenze e le espressioni in realtà pronunciate
ma, così come un milanese non sa invocare i morti alla maniera di un abitante
della Capitale ed un romano non capisce tutte le parole di “Mia Bela
Madunnina”, ugualmente, per chi scrive, è impossibile, a scapito del racconto,
rendere tutte le coloriture di questi dialoghi. Si chiede venia e
collaborazione immaginativa al lettore.
“Hi, hi, hi” ridacchiò Adelina già un po’ alticcia, “passando
di palo in frasca, che ne pensate del delitto del Frigidaire?” “Vuoi dire del cadavere
rinvenuto nel bagno dello stabilimento balneare?” chiese Paolo. “Certo. Sai
bene che hanno scoperto, morto nel bagno, il proprietario dell’Industria Ittica
di Ansedonia con un sacchetto di cellophane in testa a soffocargli il respiro.”
Rispose la moglie. “Ma è un’azienda assolutamente fiorente e lui, lo conoscevo,
una persona equilibrata. Che ragione avrà mai avuto per suicidarsi?” e poi in
quel posto ed in quel modo?” Chiese Kathia. “Mah, sai com’è la gente.”
Contribuì alla discussione Vittorio. “Dicono gli inquirenti – riprese Adelina –
che non è chiara la motivazione dell’accaduto anche perché, contrariamente a
quanto succede di solito, non è stato trovato un biglietto di spiegazione
vicino al cadavere. Però la porta del bagno era chiusa dall’interno, tant’è che
l’hanno dovuta sfondare e, quindi, non c’era altra possibilità del suicidio.”
“Mumble, mumble” e gran dolore all’articolazione del
ginocchio della Kathia che, come un cane da tartufo ben addestrato, avvertì
subito la padrona che c’era qualcosa da scoprire ovvero che, metaforicamente
parlando, c’era dell’arrosto bruciato sotto la nuvola di fumo di quella
notizia.
Le venne, quindi, un’idea che le avrebbe permesso di mettere
il naso nella storia senza dichiararlo apertamente. “Sentite un po’ – disse
agli amici – perché, approfittando delle ultime belle giornate, non organizziamo
un pic-nic sulla spiaggia per domenica prossima? Possiamo portare qualcosa da
mangiare e lasciare i nostri figli a giocare mentre noi prendiamo il sole.
Anzi, direi di andare proprio al Frigidaire che tiene aperto il bar ancora
qualche fine settimana in modo da poterci prendere un caffè caldo o un gelato.” ”Ottima idea” aderì subito Adelina, “io
preparo il frittatone con le patate.” “Ed io porto il pallone” disse Vittorio
approfittando di ogni occasione per praticare il suo hobby.
Così, il successivo giorno di festa, si ritrovarono
sull’arenile addirittura in costume, visto che la temperatura era sui 25 gradi
ed il sole scottava come a luglio.
Kathia non perse l’occasione per fare un sopralluogo sulla
scena del delitto (il ginocchio affermava che il ritrovamento del cadavere
dovesse classificarsi i tal modo.) “Ragazzi vado a fare pipì.” Disse agli amici
lasciando la spiaggia ed avviandosi verso la costruzione in legno, su
palafitte, che ospitava il bar ed i servizi igienici.
Andò direttamente verso i bagni che si trovavano dietro
l’angolo dell’edificio. C’erano due porte contigue: maschi e femmine. Il morto
era stato trovato nella toilette per gli uomini che, attualmente, era occupata.
Anche in quella delle donne c’era qualcuno e, quindi, lei si mise in paziente
attesa del suo turno. Intanto si guardava intorno e, la prima cosa della quale
si accorse, fu che la porta del locale riservato ai maschi era stata cambiata
da poco. Si notava perché mostrava un colore diverso, più brillante, rispetto
all’altra. Sembrava anche…più leggera, non così massiccia come la compagna. I
due bagni erano in un corridoio abbastanza buio rispetto al chiarore esterno.
La luce accesa dall’utente della famigerata toilette filtrava non solo da sotto
la porta, e questo era normale, ma anche tra lo stipite ed il battente
dell’anta, che erano distanziati lasciando uno spazio di qualche millimetro tra
loro. Ciò non impediva la chiusura e non permetteva di vedere niente
dell’interno, ma la separazione si distingueva chiaramente. “Guarda come fanno
i lavori oggi” pensò Kathia “non sanno neanche prendere le misure esatte.” In quel
momento si liberò la toilette di sua spettanza e, con un sorrisetto
imbarazzato, diede il cambio alla signora uscente. Mentre stava facendo quello
per cui era andata là, lo sguardo le cadde sul sistema di chiusura della porta.
Come nella maggioranza dei bagni pubblici, la chiave era stata tolta per
evitare possibili malfunzionamenti del meccanismo e, per chiudere, bisognava
usare un piccolo catenaccio. Questo era una sbarretta di ferro sull’anta che, a
caduta, andava a posizionarsi dentro una staffetta sullo stipite. Semplice ed
adatto allo scopo. Molto probabilmente lo stesso sistema era montato nella
toilette accanto. La posizione assunta in quel momento dalla sua padrona dette
modo al dolore dell’articolazione di farsi sentire con maggiore intensità, ma non
le voleva suggerire solamente di alzarsi il prima possibile, bensì anche di
stare attenta. Il ritrovamento del morto veniva classificato come un caso di
suicidio perché la porta del bagno era stata trovata serrata dall’interno, ma
era veramente impossibile chiuderla dall’esterno? All’apparenza sembrava di sì.
Non c’era chiave ed il catenaccio era montato solo dalla parte dei sanitari.
La Kathia tornò pensierosa dai suoi amici e si stese sulla
sabbia, con le palpebre abbassate, non rispondendo alle loro sollecitazioni e
facendo finta di dormire mentre, in realtà, pensava e ripensava.
Poi, d’improvviso, e facendo fare un salto di spavento al
marito seduto vicino, si alzò in piedi dicendo: “Vittorio, dammi subito il
cellulare!” “Che l’è?” fece il consorte allarmato. “Non ti preoccupare, chiamo
il maresciallo dei Carabinieri” “CHE L’E’?” gridò lui, adesso, spaventato
veramente.
“Maresciallo, come va?” Ormai con il sottufficiale erano
entrati in confidenza ed, il previdente militare, le aveva dato il suo numero
di cellulare insieme alla propria amicizia. “Sono la Kathia. Dove stai?” “Sto
facendo una passeggiata in Feniglia con mia moglie” “Benissimo, siamo vicini!
Vieni al Frigidaire che ti offro un caffè.” “Volentieri. Ci vediamo a breve.”
Il maresciallo arrivò presto e Kathia insistette per
mantenere la promessa portandolo al bar dello stabilimento. “Vedi – disse la
donna al carabiniere – c’era qualcosa che non mi quadrava nel suicidio che
avete trovato qui. Ed, allora – continuò abbozzando una falsamente imbarazzata
risatina – mi sono voluta mettere nei tuoi panni e fare un sopralluogo.” “Beh?
Sentiamo la scoperta.” La prese velatamente in giro l’altro. “Ecco quello che
credo è che NON sia impossibile aprire la porta del bagno dall’esterno. Anzi,
sia molto facile.” ”E come?” Chiese l’investigatore rientrando immediatamente
nel suo ruolo. “Vieni, ti faccio vedere.” Lo condusse di fronte alle porte dei
bagni. “Guarda l’anta della toilette dove è stato trovato il presunto suicida.
Lascia uno spazio con lo stipite. Ho pensate che se volessi manovrare il
catenaccio interno da fuori, mi basterebbe muovere una calamita che,
esercitando la propria attrazione sul ferro della levetta, attraverso la
fessura, mi permetterebbe di sollevare ed abbassare il braccino pur rimanendo
esternamente.
Il maresciallo sbarrò gli occhi. Con quel semplice
espediente tutta la teoria del suicidio andava a farsi benedire ed il caso si
riapriva. “Non solo. – proseguì imperterrita la parrucchiera/detective – Non può
essere un caso che la porta sia stata fatta in modo da lasciare quello spazio.
Infatti, se fosse stato uno sbaglio, il proprietario del bar che l’aveva
commissionata l’avrebbe notato e fatta rifare. Quindi lui, il titolare
dell’esercizio, aveva dato quelle misure apposta per mettere in atto il
trucchetto. Guarda un po’ – continuò sfoderando un gran sorriso – in un botta
sola ti ho spiegato come è avvenuto il delitto e trovato il colpevole. Merito
una medaglia?” “Alt. Ferma. Verificheremo, vedremo, controlleremo gli alibi e
poi parleremo di ricompense.” “Va bene, mi farai sapere. Adesso raggiungiamo
gli altri.” E, con queste parole, tornarono sulla spiaggia a formare le squadre
per la sfida a pallavolo.
Dopo pochi giorni una macchina della Benemerita si fermò
davanti al negozio della parrucchiera e ne scese il maresciallo in perfetta uniforme.
Si affacciò dentro al salone e disse alla titolare: “Vieni, questa volta te lo
offro io il caffè e ti racconto come è andata a finire.” “Corro! Antonella, prenditi
tu cura della signora: io torno subito.”
Seduti al bar, il carabiniere attaccò:” Avevi ragione QUASI
su tutti i fronti. L’imprenditore era un giocatore d’azzardo accanito e tutte
le sere, nel locale chiuso al pubblico, il barista organizzava una bisca
clandestina. Come per tutti i dannati da quel vizio, le perdite del poveretto
erano sempre più ingenti. Una sera, forse sospettando un imbroglio, era scoppiata
una lite ed il malvivente aveva soffocato, con un cuscino, la vittima. Poi
aveva organizzato la messinscena approfittando di quella porta che, veramente,
era stata fatta male. Come vedi non c’era la premeditazione, ma hai indovinato
tutto il resto. Pertanto – finì scherzando il militare – mi sono consultato con
il Comando di Regione ed abbiamo concordato che non hai diritto alla medaglia,
ma a spese del sottoscritto, come ringraziamento, e con molto piacere, invito
te e Vittorio nel migliore ristorante di Capalbio almeno tuo marito, per una
sera, mangerà bene!”
Chi fosse passato in quel momento, avrebbe visto un uomo
indivisa sottrarsi agilmente allo schiaffone che, un po’ per scherzo ed un po’
a ragion veduta, la parrucchiera cercava di appioppargli.
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