lunedì 11 novembre 2013

Il Delitto del Frigidaire

“Adelina, come stai? Disturbo?” Telefonò Kathia alla sua vicina di casa. “Figurati - rispose l’altra - sto aiutando quella capra del mio figliolo con la matematica, ma sudo più io di lui! Dimmi tutto.” “Mi stavo chiedendo se ti andrebbe di venire, stasera, a cena da noi con Paolo.” Perché no? Devo solo organizzare con la nonna per badare al piccolo e poi, ben volentieri!” Bene, allora vi aspettiamo alle otto e mezza. A dopo!” “Ciao, porto da bere!” Chiuse l’amica. 
Il giorno di riposo infrasettimanale per i parrucchieri della provincia di Grosseto, la Kathia se lo godeva tutto. Mentre la domenica era dedicata alla famiglia, nel giorno feriale il marito era al lavoro e la figlia faceva il tempo lungo a scuola uscendo non prima delle diciotto. “Solitudo, sola beatitudo!” veniva da pensare alla parrucchiera dopo che tutto il resto della settimana era a contatto con il pubblico delle sue clienti. La mattina era dedicata ai lavori domestici arretrati, mentre, il pomeriggio, dopo un breve sonnellino ritemprante, con un sorriso di beatitudine sul volto, si poneva il solito dilemma. Andare per negozi, dall’estetista per la pulizia del viso o fare una corsetta sul tapis-roulant della palestra? Nove volte su dieci l’attività fisica veniva subito scartata con un pizzico di senso di colpa dovuto anche al fatto che continuava a pagare l’abbonamento per dimostrare a se stessa la buona volontà, ma poi si prendeva in giro con mille scuse per non andarci. Quindi, come alternativa, rimaneva rinchiudersi in un salone per la cura del suo aspetto o farsi un paio di “vasche” (andata e ritorno da un capo all’altro della strada) lungo il corso di Orbetello. Era una bella giornata e passeggiare guardando le vetrine, forse premiandosi con un piccolo acquisto, sembrava, alla Kathia, una cosa buona e giusta.
In quel giovedì di inizio Ottobre, la parrucchiera prese la sua Panda 4X4 color senape e si diresse verso la cittadina a pochi chilometri di distanza. Dieci minuti di Aurelia, poi la deviazione verso la laguna ed, in poco tempo, arrivò in via Veneto circumnavigando il giardinetto centrale alla ricerca di un parcheggio.
La mancanza del turismo estivo e la giornata, per gli altri, lavorativa, offrivano ampi spazi vuoti in cui lasciare la vettura. Fece il dovuto ticket di pagamento, barando solo un po’ sull’orario di sosta, e si incamminò decisa verso l’imbocco di Corso Italia. Camminando con calma, si lasciava affascinare principalmente dai negozi di abbigliamento, ma anche dalla bottega dei saponi e dalla libreria dove spesso rinunciava all’acquisto per l’imbarazzo nella scelta tra i mille volumi esposti. Ogni volta che andava, trovava sempre qualcosa di desiderabile sulla quale fare un pensierino.
Con un po’ di “coquetterie” era solita fermarsi davanti all’esposizione di “Intimissimi”. A parte il fatto che i manichini girevoli, modellati per mostrare corpi che in natura sono rari da reperire, rappresentano solo una presa in giro per una donna normale ed un sogno per il di lei compagno, i completini esposti erano molto evocativi.
Si immaginava, la sera dopo aver messo a dormire la bambina e spento il televisore, di indossare quella guepierre nera, coordinata con le mutandine a string e le calze velate, e presentarsi così a suo marito. Lei, con il completino osé avvolta in una nuvola di Chanel n° 5 ed il consorte steso sul letto, con il pigiama in maglina marca Cagi sui toni del beige e verdino, al massimo deodorato con l’AXE Africa, mentre le dà un’occhiata distratta indeciso su quale sia la tentazione più forte: la moglie o la Gazzetta dello Sport che stava leggendo. Se avesse comprato quella “mise” sarebbero stati soldi buttati.
Passò, quindi, avanti e non dovendo più fare la pin up (nella sua fantasia), si fermo al bar vicino per un bombolone alla crema ed una tazza di tè.
Un’occhiata all’orologio e si accorse che erano già le cinque. Tra un’oretta la figlia sarebbe tornata a casa ed era quasi finita, anche per lei, la libera uscita. Contenta per la passeggiata, tornò verso la macchina con l’euforia che l’aria frizzantina del primo autunno non mancava mai di procurarle. Non si sentiva affatto stanca, anzi avrebbe voluto, in qualche modo, ancora occupare il tempo che le restava ed, allora le venne in mente di preparare, per la sera, un piattino “dei suoi”. La Kathia era un’ottima cuoca senza smancerie di scuola, ma con la sana manualità che le avevano insegnato la nonna e la madre guardandole in cucina a spadellare. Visto che stava in paese, poteva fare un salto da Covitto per comprare un po’ di pesce e preparare una sorpresa per la famiglia. Beh, tanto valeva allargare l’invito a qualche conoscente ed organizzare una simpatica serata in allegria. Le sembrò un’ottima idea. Prese il cellulare e digitò il numero della Adelina.
Ora si poneva il problema del menù. Non poteva fare torto alla sua fama e, quindi, doveva scegliere qualcosa che le venisse bene e che fosse particolarmente gustoso. Ripassò mentalmente i suoi cavalli di battaglia e, dopo un breve ballottaggio tra qualche alternativa, decise per un ricco antipasto ed un primo sostanzioso. Niente secondo. Avrebbe comprato, tornando, un dolce dalla Pasticceria Ferrini e poi tozzetti e vin santo a volontà.
Per antipasto pensava ad un piatto con un misto di affettati di cinghiale e dei crostoni di salciccia e stracchino. Per il prosciutto ed il salame non c’era problema, mentre i crostoni li avrebbe dovuti preparare all’arrivo degli ospiti. Per farli si taglia una baguette a piccole fette o del pane senza sale. Si prepara un impasto di stracchino (si può sostituire con una fetta di mozzarella) ed il ripieno di salciccia di maiale. Si spalma il composto, che non deve essere troppo molle, sul pane e si inforna per 6-7 minuti servendo i crostoni ben caldi.
Il primo doveva essere il piatto forte e, quindi, un po’ più complicato. Aveva pensato alla “Zuppa dell’Argentario” un piatto che si perde nella storia, fra Porto Ercole e Porto santo Stefano, tra gli scogli e le reti da pesca. Si fa così. Innanzitutto, per quattro persone, procurarsi: 200g. di polpo, 200g. di seppie,  1 scorfano, 1 san pietro, 6 cicale di mare (pannocchie di mare o spernocchie, come le si vuole chiamare),    1 gronco senza coda, 1 fragolino, ed una manciata di patelle e granitole o, in alternativa, vongole.
Mettere in un tegame di coccio una cipolla tritata insieme al prezzemolo ed all’olio d’oliva. Quando la cipolla sarà imbiondita, unire il polpo a pezzi e le seppie e lasciare cuocere fino a quando il polpo non sarà rosolato ed avrà preso il suo colore caratteristico. A questo punto versate un bicchiere di buon vino bianco, meglio se Ansonica dell’Argentario, una punta di peperoncino ed il pomodoro concentrato. Quando il vino sarà assorbito, aggiungere acqua calda o, preferibilmente, brodo e continuare la cottura unendo anche il gronco a pezzi e, dopo (per evitare che i pesci più teneri si sfaldino), lo scorfano, il fragolino, il san pietro, le cicale di mare, le lampatelle e le granitole (lumache di mare). Abbrustolire leggermente il pane strusciandovi sopra l’aglio per poi impiattare singolarmente. Quando il sugo sarà sufficientemente addensato, versate sul pane sia il pesce che il sugo.
Da leccarsi le dita. La Kathia fece tutta la spesa e corse, nei limiti della Panda 4X4, a casa a preparare.
Non credo ci sia da dilungarsi sull’andamento della cena. Gli amici era simpatici, il cibo all’altezza della fama della cuoca, le tre bottiglie di “Poggio Argentato” portate da Paolo e Adelina, fresche e presto vuote.
Quando la padrona di casa lasciò solo i tozzetti ed il vin santo a tavola, Paolo, polemico come sempre, se ne uscì:” I sardi dovrebbero fare un monumento equestre a Karim Aga Khan da sistemare in mezzo alla piazzetta di Porto Cervo e chiamare tutti i primogeniti con il nome del principe islamico. Gavino “Karim” Piras o Graziano “Karim” Cuccureddu. Così come noi dovremmo mettere, al posto del leone sullo stemma di Capalbio, un garofano ed un sigaro in ricordo di quel socialista, ex presidente della RAI ed esponente della cosiddetta intellighenzia di sinistra che, negli anni ottanta, prese casa qui creando un enclave di intellettuali ed uomini politici che hanno fatto conoscere e valorizzato tutta la zona. Oggi gli abitanti dell’isola rinnegano il turismo di massa accusandolo di tutta la degenerazione consumistica e del conseguente degrado ambientale. Dimenticano, però, che, se non fosse stato per gli imprenditori stranieri o del nord Italia, i sardi sarebbero ancora identificati con l’Anonima Sequestri ed il pecorino, come negli anni ’60. E gli abitanti dell’entroterra alla spalle della Costa d’Argento, senza quei personaggi, oggi tanto discussi, guarderebbero ancora le auto sfrecciare sull’Aurelia, senza fermarsi, in direzione di Cala Galera e posti limitrofi dove la Roma bene ormeggiava le barche. Non avremmo sentito, cari amici,- continuò il convitato - neanche l’odore del benessere che ci è capitato fra capo e collo.” “Che vuoi dire?” chiese Kathia. “Voglio dire che tutti sono pronti a salire sul carro del vincitore od a esaltarlo, nascondendo i mugugni, fino a quando il personaggio è sulla cresta dell’onda o l’aria che tira va in quella direzione. Poi, quando le crisi economiche o politiche, cambiano le carte in tavola, l’Aga Khan viene ricordato unicamente come uno speculatore ed i personaggi dell’entourage che ha fatto la fortuna dell’”Ultima Spiaggia”, e non solo, diventano sfruttatori delle nostre risorse e del paesaggio circostante, come se tutto il territorio non avesse ricavato, dalla loro presenza, un enorme beneficio in notorietà e, quindi, in turismo e denaro.””Già – si intromise Vittorio, il marito della Kathia – è come la storia del presidente della Lazio dello scudetto.” Ovviamente lui interveniva portando gli esempi tratti dai suoi testi di riferimento, ovvero “la rosa”, Tuttosport ed il Corriere…dello Sport. “Finché poteva permettersi di comprare i giocatori migliori e la squadra vinceva le Coppe, i tifosi lo esaltavano e godevano. Poi, quando si scoprì che i soldi se li era procurati in maniera illecita, tutto quello che aveva fatto per la società di calcio non contò più niente ed, anzi, era giudicato solo negativamente.” Adelina, essendo maestra elementare, con una botta di cultura, chiosò:” Sic transit gloria mundi!”
Seguendo la saggia regola di andare dalla gradazione inferiore a quella più alta, il vin santo fu sostituito dalla grappa locale insaporita al miele, per le signore, e bianca per gli uomini. Con l’andar dei bicchierini, la discussione sui massimi sistemi scivolò nel pettegolezzo locale e la superiore saggezza delle argomentazioni cedette il passo al chiacchiericcio di paese.
N.d.A.: Si toglie moltissimo all’atmosfera creata nel convivio ed alla sapidità della conversazione non riportando i colloqui nel dialetto, con le inflessioni, le cadenze e le espressioni in realtà pronunciate ma, così come un milanese non sa invocare i morti alla maniera di un abitante della Capitale ed un romano non capisce tutte le parole di “Mia Bela Madunnina”, ugualmente, per chi scrive, è impossibile, a scapito del racconto, rendere tutte le coloriture di questi dialoghi. Si chiede venia e collaborazione immaginativa al lettore.
“Hi, hi, hi” ridacchiò Adelina già un po’ alticcia, “passando di palo in frasca, che ne pensate del delitto del Frigidaire?” “Vuoi dire del cadavere rinvenuto nel bagno dello stabilimento balneare?” chiese Paolo. “Certo. Sai bene che hanno scoperto, morto nel bagno, il proprietario dell’Industria Ittica di Ansedonia con un sacchetto di cellophane in testa a soffocargli il respiro.” Rispose la moglie. “Ma è un’azienda assolutamente fiorente e lui, lo conoscevo, una persona equilibrata. Che ragione avrà mai avuto per suicidarsi?” e poi in quel posto ed in quel modo?” Chiese Kathia. “Mah, sai com’è la gente.” Contribuì alla discussione Vittorio. “Dicono gli inquirenti – riprese Adelina – che non è chiara la motivazione dell’accaduto anche perché, contrariamente a quanto succede di solito, non è stato trovato un biglietto di spiegazione vicino al cadavere. Però la porta del bagno era chiusa dall’interno, tant’è che l’hanno dovuta sfondare e, quindi, non c’era altra possibilità del suicidio.”
“Mumble, mumble” e gran dolore all’articolazione del ginocchio della Kathia che, come un cane da tartufo ben addestrato, avvertì subito la padrona che c’era qualcosa da scoprire ovvero che, metaforicamente parlando, c’era dell’arrosto bruciato sotto la nuvola di fumo di quella notizia.
Le venne, quindi, un’idea che le avrebbe permesso di mettere il naso nella storia senza dichiararlo apertamente. “Sentite un po’ – disse agli amici – perché, approfittando delle ultime belle giornate, non organizziamo un pic-nic sulla spiaggia per domenica prossima? Possiamo portare qualcosa da mangiare e lasciare i nostri figli a giocare mentre noi prendiamo il sole. Anzi, direi di andare proprio al Frigidaire che tiene aperto il bar ancora qualche fine settimana in modo da poterci prendere un caffè caldo o un gelato.”  ”Ottima idea” aderì subito Adelina, “io preparo il frittatone con le patate.” “Ed io porto il pallone” disse Vittorio approfittando di ogni occasione per praticare il suo hobby.
Così, il successivo giorno di festa, si ritrovarono sull’arenile addirittura in costume, visto che la temperatura era sui 25 gradi ed il sole scottava come a luglio.
Kathia non perse l’occasione per fare un sopralluogo sulla scena del delitto (il ginocchio affermava che il ritrovamento del cadavere dovesse classificarsi i tal modo.) “Ragazzi vado a fare pipì.” Disse agli amici lasciando la spiaggia ed avviandosi verso la costruzione in legno, su palafitte, che ospitava il bar ed i servizi igienici.
Andò direttamente verso i bagni che si trovavano dietro l’angolo dell’edificio. C’erano due porte contigue: maschi e femmine. Il morto era stato trovato nella toilette per gli uomini che, attualmente, era occupata. Anche in quella delle donne c’era qualcuno e, quindi, lei si mise in paziente attesa del suo turno. Intanto si guardava intorno e, la prima cosa della quale si accorse, fu che la porta del locale riservato ai maschi era stata cambiata da poco. Si notava perché mostrava un colore diverso, più brillante, rispetto all’altra. Sembrava anche…più leggera, non così massiccia come la compagna. I due bagni erano in un corridoio abbastanza buio rispetto al chiarore esterno. La luce accesa dall’utente della famigerata toilette filtrava non solo da sotto la porta, e questo era normale, ma anche tra lo stipite ed il battente dell’anta, che erano distanziati lasciando uno spazio di qualche millimetro tra loro. Ciò non impediva la chiusura e non permetteva di vedere niente dell’interno, ma la separazione si distingueva chiaramente. “Guarda come fanno i lavori oggi” pensò Kathia “non sanno neanche prendere le misure esatte.” In quel momento si liberò la toilette di sua spettanza e, con un sorrisetto imbarazzato, diede il cambio alla signora uscente. Mentre stava facendo quello per cui era andata là, lo sguardo le cadde sul sistema di chiusura della porta. Come nella maggioranza dei bagni pubblici, la chiave era stata tolta per evitare possibili malfunzionamenti del meccanismo e, per chiudere, bisognava usare un piccolo catenaccio. Questo era una sbarretta di ferro sull’anta che, a caduta, andava a posizionarsi dentro una staffetta sullo stipite. Semplice ed adatto allo scopo. Molto probabilmente lo stesso sistema era montato nella toilette accanto. La posizione assunta in quel momento dalla sua padrona dette modo al dolore dell’articolazione di farsi sentire con maggiore intensità, ma non le voleva suggerire solamente di alzarsi il prima possibile, bensì anche di stare attenta. Il ritrovamento del morto veniva classificato come un caso di suicidio perché la porta del bagno era stata trovata serrata dall’interno, ma era veramente impossibile chiuderla dall’esterno? All’apparenza sembrava di sì. Non c’era chiave ed il catenaccio era montato solo dalla parte dei sanitari.
La Kathia tornò pensierosa dai suoi amici e si stese sulla sabbia, con le palpebre abbassate, non rispondendo alle loro sollecitazioni e facendo finta di dormire mentre, in realtà, pensava e ripensava.
Poi, d’improvviso, e facendo fare un salto di spavento al marito seduto vicino, si alzò in piedi dicendo: “Vittorio, dammi subito il cellulare!” “Che l’è?” fece il consorte allarmato. “Non ti preoccupare, chiamo il maresciallo dei Carabinieri” “CHE L’E’?” gridò lui, adesso, spaventato veramente.
“Maresciallo, come va?” Ormai con il sottufficiale erano entrati in confidenza ed, il previdente militare, le aveva dato il suo numero di cellulare insieme alla propria amicizia. “Sono la Kathia. Dove stai?” “Sto facendo una passeggiata in Feniglia con mia moglie” “Benissimo, siamo vicini! Vieni al Frigidaire che ti offro un caffè.” “Volentieri. Ci vediamo a breve.”
Il maresciallo arrivò presto e Kathia insistette per mantenere la promessa portandolo al bar dello stabilimento. “Vedi – disse la donna al carabiniere – c’era qualcosa che non mi quadrava nel suicidio che avete trovato qui. Ed, allora – continuò abbozzando una falsamente imbarazzata risatina – mi sono voluta mettere nei tuoi panni e fare un sopralluogo.” “Beh? Sentiamo la scoperta.” La prese velatamente in giro l’altro. “Ecco quello che credo è che NON sia impossibile aprire la porta del bagno dall’esterno. Anzi, sia molto facile.” ”E come?” Chiese l’investigatore rientrando immediatamente nel suo ruolo. “Vieni, ti faccio vedere.” Lo condusse di fronte alle porte dei bagni. “Guarda l’anta della toilette dove è stato trovato il presunto suicida. Lascia uno spazio con lo stipite. Ho pensate che se volessi manovrare il catenaccio interno da fuori, mi basterebbe muovere una calamita che, esercitando la propria attrazione sul ferro della levetta, attraverso la fessura, mi permetterebbe di sollevare ed abbassare il braccino pur rimanendo esternamente.
Il maresciallo sbarrò gli occhi. Con quel semplice espediente tutta la teoria del suicidio andava a farsi benedire ed il caso si riapriva. “Non solo. – proseguì imperterrita la parrucchiera/detective – Non può essere un caso che la porta sia stata fatta in modo da lasciare quello spazio. Infatti, se fosse stato uno sbaglio, il proprietario del bar che l’aveva commissionata l’avrebbe notato e fatta rifare. Quindi lui, il titolare dell’esercizio, aveva dato quelle misure apposta per mettere in atto il trucchetto. Guarda un po’ – continuò sfoderando un gran sorriso – in un botta sola ti ho spiegato come è avvenuto il delitto e trovato il colpevole. Merito una medaglia?” “Alt. Ferma. Verificheremo, vedremo, controlleremo gli alibi e poi parleremo di ricompense.” “Va bene, mi farai sapere. Adesso raggiungiamo gli altri.” E, con queste parole, tornarono sulla spiaggia a formare le squadre per la sfida a pallavolo.
Dopo pochi giorni una macchina della Benemerita si fermò davanti al negozio della parrucchiera e ne scese il maresciallo in perfetta uniforme. Si affacciò dentro al salone e disse alla titolare: “Vieni, questa volta te lo offro io il caffè e ti racconto come è andata a finire.” “Corro! Antonella, prenditi tu cura della signora: io torno subito.”
Seduti al bar, il carabiniere attaccò:” Avevi ragione QUASI su tutti i fronti. L’imprenditore era un giocatore d’azzardo accanito e tutte le sere, nel locale chiuso al pubblico, il barista organizzava una bisca clandestina. Come per tutti i dannati da quel vizio, le perdite del poveretto erano sempre più ingenti. Una sera, forse sospettando un imbroglio, era scoppiata una lite ed il malvivente aveva soffocato, con un cuscino, la vittima. Poi aveva organizzato la messinscena approfittando di quella porta che, veramente, era stata fatta male. Come vedi non c’era la premeditazione, ma hai indovinato tutto il resto. Pertanto – finì scherzando il militare – mi sono consultato con il Comando di Regione ed abbiamo concordato che non hai diritto alla medaglia, ma a spese del sottoscritto, come ringraziamento, e con molto piacere, invito te e Vittorio nel migliore ristorante di Capalbio almeno tuo marito, per una sera, mangerà bene!”
Chi fosse passato in quel momento, avrebbe visto un uomo indivisa sottrarsi agilmente allo schiaffone che, un po’ per scherzo ed un po’ a ragion veduta, la parrucchiera cercava di appioppargli.












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