sabato 23 novembre 2013

Ciao, Cì!

“Ciao, Cì!” mi salutò Massimo. Io non mi chiamo né Ciriaco, né Cirillo né, tanto meno Ciccio, ma questo è il suo intercalare e, dopo tanto tempo che lo conosco, ormai ci sono abituato. Ero andato a trovare l’amico presso il suo ufficio perché, avendo un po’ di tempo libero nei miei giri per la città, avevo pensato di prendere un caffè insieme e metterlo al corrente delle ultime novità. Sono un Vice Questore Aggiunto distaccato, attualmente, presso il Ministero dell’Interno al Viminale. Il lavoro mi piace molto ed oltre ad essere di notevole responsabilità e rilevanza sociale, mi fornisce anche la libertà di poter gestire i miei impegni. Nell’ambito delle mie competenze, infatti, organizzo gli spostamenti miei e dei miei collaboratori non legandomi alla scrivania ma, anzi, spaziando verso ogni direzione susciti il mio interesse. Ultimamente al Ministro erano giunte segnalazioni dall’Interpol relative a possibili ramificazioni di un caso internazionale che si supponeva potesse avere sviluppi sul nostro territorio ed io ero stato incaricato delle indagini. “Come stai, Cì? Andiamoci a prendere il caffè al bar qui vicino” Massimo è una persona molto cordiale e lavorando in quell’ufficio da molti anni, conosce tutto della zona ed è in confidenza con i vicini e gli esercenti dei vari locali. Ci avvicinammo al bancone e lui passò l’ordinazione al barista: “Mi fai, per favore, un caffè lungo, qualità arabica, miscela d’importazione, tazza calda, schiumato con latte della Centrale a mezza scrematura, possibilmente di giornata. Grazie” Il tipo, al di là del bancone, lo guardò da sotto in su dicendo, visto che lo conosceva, “Va bene, come al solito.” In realtà pensando: “Ahò, te dovrei chiedere cinque euri per tutte ste cose, mica novanta centesimi!” “Per lei?” chiese rivolto a me. “Un macchiato caldo”: tre parole per lo stesso concetto. “Allora, Cì, mi dovevi dire qualcosa?” mi chiese Massimo sorseggiando la bevanda alla quale aveva aggiunto mezzo cucchiaino di zucchero di canna girato cinque volte in senso antiorario. “Si – risposi – Oggi mi ha chiamato il Ministro e…” “A Cì, aspetta, aspetta che ti devo raccontare che m’è successo oggi con la moto.” Io, pensando fosse una cosa grave, accettai l’interruzione e lo lasciai proseguire capendo come per lui potesse essere rilevante che la sua amata Harley avesse avuto qualche inconveniente. Bisogna sapere che Massimo è un fiero ed orgoglioso centauro. Descriverei il mio amico come una persona di circa cinquant’anni ben portati. Snello, con una eleganza sportiva che abbina foularini in tinta con giacche sfoderate e camperos, capelli scompigliati ad arte e movenze agili. Potrei anche dire che, forse, non è altissimo e questo si nota in particolare quando è in sella al suo mostro meccanico. Qualcuno ricorderà il noto comico romano Renato Rascel quando, nella macchietta che gli dette la notorietà, interpretava il corazziere. Anche lui non era, diciamo, una stanga e, facendo la parte di uno di quei militari che sono alti ameno un metro e novanta, si presentava in palcoscenico con un pastrano che spolverava per terra, uno sciabolone che gli arrivava alla fronte ed uno spropositato elmo con pennacchio. Attaccava cantando “Mamma ti ricordi quando ero piccoletto…” Nei teatri di avanspettacolo anni ‘50, l’effetto comico era assicurato. Sono sicuro che l’amico non si offenderà, ma quando Massimo inforca l’Harley Davidson, si vede una gran “cazzerola” (pentola, in romanesco – casco per translata immagine) su un insieme di cromature e rombo di motore che un po’, me ne scuso, mi fa tornare in mente Rascel. Dopo che ho perso un’amicizia, posso continuare nel racconto. La digressione serve per far intendere come quando lui mi prospettò un problema, io gli cedetti la precedenza nella conversazione. Non voglio annoiare il lettore riportando i sintomi di fasce dei pistoni lente o simili, anche perché ad un certo punto mi persi anch’io nelle sue lamentele. “Hai capito, Cì, che mi è successo? E mo’ che devo fa? Piuttosto che mi stavi raccontando?” riprese il mio (ex?) amico. “Adesso tocca a me.” Pensai. “Ti dicevo che mi ha chiamato il Capo di Gabinetto e, insieme, siamo andati dal Ministro che…” “Pronto, Alvaro?” mi interruppe Massimo prendendo il cellulare che aveva cominciato ad emettere il suo fastidioso jingle. “Scusa, Cì, ma stavo aspettando la chiamata.” “Fai, fai.” Risposi paziente. La telefonata durò poco, ma, a quel punto, mi era passato l’entusiasmo di raccontare le mie novità e, quando riattaccò cambiai discorso. “Che fai oggi?” gli chiesi per conversazione. “Non me ne parlare. Sto incasinatissimo. Devo andare da Maiorana a comprare gli astici per fare la catalana. Oh, intendiamoci: quelli blu della Sardegna mica gli altri che vengono dall’Atlantico. Lo so, costano 28 euro e cinquanta al chilo contro i 13 e sessantacinque degli altri, ma con la cipolla di Tropea, la scorzetta di arancio biologico ed un filo d’olio extravergine della Sabina occidentale, sono un’altra cosa!” “E’ naturale.” Dissi io con un marcato aumento della salivazione evocato dal piatto da lui descritto. “E poi – proseguì Massimo – devo andare alla Toyota a ritirare la macchina a cui ho fatto fare il tagliando e riportarla a casa.” Si era fatta ormai l’ora di pranzo e quindi gli proposi: “Se vuoi, ti accompagno e poi ci mangiamo una cosa insieme.” “Dai, Cì, mi fa piacere. Andiamo.” Chiuse l’ufficio, andammo a ritirare l’autovettura riparata e, quindi, ci avviamo verso la sua villa appena fuori città.
Arrivati a casa, ci corse subito incontro Gina, la gatta, che Massimo accolse con una tenerezza per me del tutto incomprensibile vista anche l’allergia che il pelo dei subdoli felini mi provoca. “Vieni dento, Cì, che ci facciamo preparare un’insalatina veloce con gherigli di noce Pecam, germogli di spinacino e radicchio trevigiano colto a mano in una notte di luna piena(?!?)” “Bon!” risposi, pensando che un sano spago “aglio e oglio” avrebbe meglio sopito i giustificati lamenti del mio apparato digerente.
“Facciamo una sorpresa a Daniela che non mi aspettava a quest’ora.” Mi disse l’amico avviandosi verso il suo studio dove si intravedeva la moglie alla scrivania concentrata a digitare su una tastiera di pc. Le arrivammo alle spalle senza che se ne avvedesse. “Ciao!” dissi io facendole fare un salto sulla sedia del quale, se l’avesse vista, Gina sarebbe stata molto invidiosa. “Come Stai? Che stai facendo? Un momento, ferma!” Esclamai rendendomi conto, improvvisamente, che la signora non solo stava al computer, ma era circondata da almeno tre monitor tutti accesi su differenti schermate. Una piccola consolle teneva in carica due telefoni cellulari ed altri due stavano sul tavolo. Vidi distintamente i siti con i quali era connessa e la mole di dati che, su un display stava scaricando.
Tornando al mio nuovo incarico, che non avevo potuto comunicare a Massimo, l’informativa che ci era pervenuta al Ministero parlava di hackers che, dalla zona di Roma Nord, si insinuavano nei data base delle multinazionali boicottando le comunicazioni limitando, in tal modo, la possibilità del libero commercio. In particolare si erano introdotti, interrompendoli, nei contatti tra la più grande Compagnia di Pesca alla Balena giapponese e le sue unità navali causando l’interruzione della caccia al cetaceo con una gravissima perdita economica. Avevo accettato l’incarico di trovare il colpevole con qualche riserva mentale dettata dalla simpatia che quell’anonimo disturbatore mi suscitava facendo sospendere, anche se solo momentaneamente, un odioso sterminio che stava mettendo a rischio la sopravvivenza del gigante dei mari.
Adesso, non volendo, avevo trovato il responsabile. “Dani, che stai facendo?” Ripetei. “Senti, caro amico, - mi rispose – tutti, nel nostro piccolo, dobbiamo contribuire alla salvezza del Pianeta ed alla salvaguardia della Natura per noi e per i nostri figli. So che sei un poliziotto. M’hai beccato. Fai quello che devi.” “A CI’I’I’I’…” Gridò Massimo “Che vuoi fare?” Dentro il mio animo si scontrava il dovere con l’amicizia, l’obbedienza con la coscienza civica, la limitata soddisfazione di aver portato a termine il mio compito con la soddisfazione ben più grande di nuocere a cinici speculatori. E, quindi, dopo un breve conflitto interiore, dissi: “Spengi tutto. M’è calata improvvisamente la vista e non ho scorto niente su quegli schermi. Non mi tornerà soltanto a patto che possa dare io le disposizioni a Brigi per il pranzo.” “Fai pure” dissero, sollevati, Massimo e Daniela.
“Brigitta!” chiamai con la mia intonazione più stentorea la collaboratrice di Massimo addetta alla cucina. “Quell’insalatina dalla a Gina, prepara tre etti di linguine sciuè sciuè come sai fare tu e, con un bicchiere di Vermentino, portiamoci i piatti nel patio a godere gli ultimi raggi del sole.


1 commento:

  1. Partito in modo che ci si aspettava un finale con retate e sparatorie e finite in maniera altrettanto rumorosa, come soltantoil colpo di scena ben riuscito sa dare.
    Mi è piaciuto. Complimenti
    Patricia Moll

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