81 Jermyn Street St James's, London, England SW1Y 6JF
Cara Susanna,
avevo promesso che ti avrei scritto una lettera dopo questa
giornata londinese e mantengo la parola. Sono andato all’appuntamento con mrs.
Agatha Collins, capo acquisti del Childrens’ Department, presso il suo ufficio
nei magazzini Harrods. Mi ha ricevuto puntualissima, e con grande cortesia, in
una vasta sala all’ultimo piano dell’edificio in Brompton Road accompagnata da
tre suoi collaboratori. Dopo l’inevitabile offerta di una “cup of tea”, ci
siamo messi a parlare dei nostri progetti e delle loro intenzioni. Aveva già
ricevuto le scatole contenenti la collezione di abiti da te disegnata e mi ha
detto che, dopo averla paragonata con le altre che loro già trattano, ritiene
opportuno fare un inserimento per la prossima stagione. Mi ha invitato, quindi,
a lasciare il listino prezzi con l’ulteriore condizione di un diritto di reso
del 20% sulla merce invenduta promettendo di inviarci un ordine via mail. A
questo punto, mi sono alzato, ho sbattuto la cartellina sul tavolo e ho detto:
“No, Thanks!” e me ne sono andato……….Ferma! Immagino che stai già prendendo il
cellulare per allertare un neurologo dal quale portarmi appena arrivo. Sto
scherzando. Ovviamente ho ringraziato mrs. Collins con dignitoso e quasi
distaccato compiacimento, come se per noi fosse cosa normale avere un cliente
di quel rango e, trattenendomi dal camminare saltellando di contentezza, mi
sono avviato verso l’uscita principale del negozio. Mi è stato molto utile
l’ammiraglio che faceva funzione di portiere appena fuori dalle porte girevoli,
al quale ho chiesto le indicazioni per raggiungere il pub più vicino dove ho
festeggiato la conclusione dell’affare ordinando una pinta della loro Guinness
più scura.
Erano tanti anni che non venivo a Londra. Come sai, passai
qui una vacanza/studio di tre mesi alla fine degli anni sessanta ma, da allora,
anche se ho visitato quasi tutte le capitali europee oltre che gli Stati Uniti
ed altro, stranamente, non mi è mai più capitata l’occasione di tornare nel
Regno Unito.
All’epoca avevo sui
quindici anni e vivevo presso una famiglia che un conoscente londinese di mio
padre gli aveva raccomandato come alloggio e pensione. Durante il giorno andavo
a scuola per imparare la lingua facendo un lungo tragitto dalla periferia, dove
abitavo, fino in centro. Prima prendevo un bus che mi portava alla stazione
dell’underground e, finalmente, dopo più di un’ora di viaggio arrivavo a
destinazione. A scuola avevo fatto qualche amicizia e, con loro, passavo il
tempo libero. I ricordi che ho della città e degli abitanti di allora sono
impressi nella mia mente perché del tutto particolari. “Mi spieghi perché il
professore non si cambia mai la camicia?” chiesi un giorno al mio compagno di
banco. L’istitutore, infatti, portava, durante la settimana, giacche blu, nere
o marroni, ma la camicia era sempre a righine bianche e rosa con il colletto ed
i polsi bianchi. “Non è che non si cambia la camicia – mi rispose l’amico – qui
si usano camice con colletto e polsini staccabili in modo da cambiare solo quelli
che, essendo bianchi e a più diretto contatto con la pelle, si sporcano
maggiormente. Il corpo della camicia, salvaguardato dalla giacca e dalla
canottiera, viene cambiato solo quando è veramente necessario quindi, spesso,
dopo svariati giorni.” A me abituato al cambio della biancheria quotidiano, ed
anche vedendo i miei che cambiavano la camicia tassativamente una o due volte
al giorno, apparve un’abitudine molto poco igienica.
Quando entravo nel “tube”, l’odore era la prima cosa che mi
assaliva. Di gomma bruciata mista a polvere e spazzatura. Poi, scendendo la
scala mobile di legno, nella fioca illuminazione, data da molte ma deboli
lampadine gialle, la moltitudine di gente silenziosa, dove una buona parte era
di impiegati con la bombetta, l’ombrello, la borsa sotto il braccio e l’aria
triste. Quando tornavo alla luce era per modo di dire. Ovvero, anche durante il
giorno, la mattina e la sera scendeva la nebbia, a volte fittissima, e quando
si riusciva a vedere il cielo, tutto era di un colore smorto e grigiastro a
causa dei sedimenti dello smog su palazzi e monumenti. Qualche volta uscivo la
sera per una pizza o un cinema. Chiedevo alla mia landlady “Is it raining?”
“Noouuu!!” Rispondeva lei con un sorrisino di dileggio sottintendendo la mia
mediterranea vulnerabilità di fronte agli elementi atmosferici. Io, fidandomi,
uscivo senza ombrello ed, in effetti non pioveva ma “drizzles”. Cioè non faceva
gli scroscioni ma una fitta pioggerellina che non ti induceva a ripararti ma
era sufficiente ad inzupparti per bene. Quando poi capitavo in King’s Road o
nella mitica Carnaby Street, scordavo tutti gli aspetti negativi e godevo
dell’atmosfera beat con i colori, la musica, i personaggi e la moda che si
vedevano per la strada e che si incastonavano come un fiore dai mille colori in
una zolla di fango.
In definitiva sono stato, fino ad oggi, innamorato di Londra
per i miei ricordi legati al suo carattere particolare. Ai suoi contrasti, alle
abitudini ed agli atteggiamenti dei suoi abitanti, al modo di vivere, di mangiare,
di rapportarsi socialmente, alle architetture ed ai paesaggi del tutto
differenti da quelli a quali ero abituato. Le altre grandi città, poi
successivamente visitate, mi hanno dato sensazioni completamente differenti e non
hanno mai potuto competere con il ricordo di quell’ammaliante atmosfera.
Ora non so dove mi trovo. Sono andato in metropolitana ed
era…pulita e ben illuminata. Ancora un vago odore di gomma, ma una massa di
gente più omologata senza bombette a sottolineare differenti ruoli. Tutti, più
o meno, ben vestiti con quel low cost di massa targato Zara o H&M. Non c’è
più lo smog. Hanno ripulito gli edifici e ho visto per due mattine un sole
pieno. Girando per le strade, resistono i vecchi negozi storici, ma il contorno
è fatto di griffe internazionali intervallate da kebab e sushi bar. Sono stato
da Fortnum & Mason ed i commessi abbigliati in tight una volta davano
l’idea della massima distinzione in un contorno di eleganza, attualmente fanno
un po’ la parte di comparse travestite per una commedia senza più protagonisti.
Oggi un inglese potrebbe vivere indifferentemente a Londra
come a New York o Parigi o Milano. La globalizzazione, l’apertura delle
frontiere con la Comunità Europea e poi la revisione del WTO che dal 1994 ha
fatto entrare anche la Cina e gli altri Paesi emergenti nei trattati di libero
scambio commerciale, hanno fatto di tutto il mondo un unico mercato dove, come
in ogni economia, vince chi offre il prodotto al costo più basso. Questo a
scapito della qualità, della individualità e della riconoscibilità dei prodotti
che non appartengono più ad una nazione o ad un popolo ma alle multinazionali.
Noi mangiamo pomodori che vengono dalla Cina, i francesi fanno fare la Haute Couture
in Malesia o Bangladesh, gli inglesi importano ingegneri e brevetti dall’India.
A qualcuno questo sembra un progresso nel senso che la
libertà e la sempre maggiore facilità degli interscambi economici e culturali
dovrebbero arricchire il nostro sentire comune e dare maggiori opportunità di
iniziativa. Io credo che i vantaggi, al momento, siano solo per quei paesi che
venendo da situazioni sociali senza protezione ed, a volte, di evidente
sfruttamento, riescono ad espellere dal mercato le imprese già sul territorio
vincolate da giusti impegni sociali e di civiltà e che, quindi, non riescono a
competere dovendo, giustamente ripeto, vivere anche eticamente la loro attività
subendone i costi relativi.
Ci sono maggiori opportunità? Certamente, ma il numero dei
giovani disoccupati è cresciuto drammaticamente. Il PIL è aumentato? Ovviamente
si, rispetto a trent’anni fa, anche se, allora, quando si sposava un figlio gli
si regalava un appartamento e i giovani laureati, ancora relativamente pochi,
trovavano lavoro in Italia senza dovere andare all’estero. Il benessere sociale
è cresciuto? Non credo, se oggi i vecchi devono mantenere i giovani con quello
che hanno guadagnato allora e la povertà sta aggredendo anche la fascia media. Si,
ma la lira veniva svalutata. Eggià, perché adesso non subiamo imposizioni e
restrizioni fiscali da Brussels, ovvero da Berlino, che valgono quanto una
svalutazione?
Allora è tutta colpa del MURO? Si!!
Quando c’era ancora lui (il muro) si sapeva da che parte
stavano i buoni e da quale i cattivi. Lo sceriffo aveva il cappello bianco e il
bandito nero. Le frontiere proteggevano dagli immigrati clandestini e le dogane
da droghe, merce contraffatta e traffico di valuta. Il Paese Italia si
riconosceva, ed era riconosciuto, con un’identità molte volte d’eccellenza ed,
a tratti, negativa, ma, comunque, peculiare. E lo stesso valeva per gli altri
Paesi Europei compresa la Gran Bretagna.
I nuovi urbanisti a Londra hanno messo un suppostone di
vetro e cemento vicino alla Tower Bridge e se un cittadino di Manhattan venisse
catapultato, a sua insaputa, nella City, sostituirebbe il bourbon con il
whisky, ma per il resto noterebbe poco la differenza.
Si stava meglio quando si stava meglio.
Questa, cara Susy, è la mia impressione di viaggio. Sto prendendo
contatti anche per mandare un vestitino a George Alexander Louis, hai visto
mai…
Ti abbraccio forte,
tuo Stefano
P.S. Per ulteriori smancerie & effusioni, girare pagina.
Da casuccia, chiotta, chiotta.
Caro Stefano,
me lo dovevo aspettare da quella volta che mi mandasti una
lettera nella quale la prima facciata era scritta in maniera tutta tremolante
dicendo che eri disperato e in preda all’alcol e poi, girando pagina,
smascheravi la burla e tutto il tuo infantilismo. Dovevo capire all’epoca, quando
ero in tempo, ma ormai…vabbè!
Potrei anche essere d’accordo con la pappardella sul muro
anche se poi mi spiegherai perché hai comprato su internet un pezzo di
calcinaccio che secondo me appartiene al cantiere all’angolo anche se c’è
scritto che viene da Berlino.
Se ce l’hai tanto coi cinesi, vai da Burberry’s, fai il
signore, e comprami una bag come si deve. Poi chiama Teng e digli che non gli
prendi più quella che gli avevi prenotato per Natale a cinquanta euro.
E poi, se tanto ti scoccia andare a Londra, la prossima
volta ci vado io. Magari in coincidenza con i SALES.
Ti aspetto a braccia aperte, sempre tua
Susy.
P.S. Smancerie & effusioni direttamente al destinatario
al momento dell’arrivo.