Un lupo guarda nella valle che si apre di fronte a lui e non
vede prede, non sente l’odore della carne. Avverte il senso della fame, sente
il vento che gli scompiglia il pelo sulla groppa, che gli fa socchiudere gli
occhi e rizzare le orecchie. Poi, lentamente, volge il muso ad afferrare le
molecole sospese che lo porteranno al soddisfacimento del suo bisogno. Non
sempre quello è il luogo o il momento. Ma il lupo torna sul ciglio del burrone
ed annusa, finché non avverte qualcosa. E’ una vittima, ma è la sopravvivenza.
Niente va sprecato. Non è una voglia, ma un bisogno. Il lupo segue ne segue l’odore
e, con calma, avvicina la sua preda. Un sacrificio non è mai invano né privo di
significato. Il capriolo è innocente, indifeso se non per la capacità delle sue
esili zampe di scappare, ed opporsi al predatore. E’ giusto che provi a
fuggire. L’istinto gli dice di correre, correre, correre. Ma il lupo lo sa, e
sa anche come rendere vani quegli sforzi.
Se il lupo ha fame, il capriolo deve soccombere. C’è il lungo aggiramento
da parte del cacciatore attorno alla preda, quasi volesse rispettare la vita
che sta per togliere con un’attesa colma di riconoscenza. Poi l’attacco e la
vana difesa. Un appetito saziato e una vita spezzata. Tutto nell’ordine del
creato. Cosa vuol dire? Che siamo tessere di un mosaico del quale non riusciamo
ad intravedere il disegno. Il nostro ruolo, o destino, va accettato e tutto ha
un significato ed uno scopo anche se a noi sembra crudele, ingiusto o,
addirittura, vano. A volte siamo predatori ed a volte vittime. A volte siamo
giusti ed a volte ingiusti. A volte siamo su una retta via, a volte ne deviamo.
Siamo sempre responsabili di noi stessi o semplicemente burattini i cui fili vengono
tirati dal Fato con capriccio e, forse, divertimento?
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